Provvedimento giurisdizionale con il quale il giudice civile, nel processo di cognizione, decide la causa, assolvendo il suo dovere di pronunciarsi sulle domande proposte e le eccezioni sollevate dalle parti.
In ragione della natura tipicamente decisoria del provvedimento, le prescrizioni di forma-contenuto dell’atto sono ispirate a una maggiore solennità rispetto all’ordinanza e al decreto. Più in particolare, la sentenza è pronunciata «in nome del popolo italiano» e reca l’intestazione «Repubblica italiana». Deve contenere l’indicazione del giudice che l’ha pronunciata, delle parti e dei difensori, le conclusioni del pubblico ministero e delle parti, la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto e in diritto della decisione, il dispositivo, la data della deliberazione e la sottoscrizione del giudice. Se il giudice è collegiale è sottoscritta soltanto dal presidente e dal giudice estensore. Di regola la decisione è assunta o deliberata nel segreto della camera di consiglio e successivamente è resa pubblica mediante il deposito della sentenza in cancelleria; tuttavia, nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, è previsto che il giudice possa dare immediata lettura del dispositivo in udienza con contestuale lettura delle concise ragioni di fatto e di diritto che sorreggono la decisione. In tal caso la sentenza si ha per pubblicata con la sottoscrizione da parte del giudice del processo verbale sul quale la decisione è trascritta.
In quanto atto tipicamente decisorio la sentenza ha la funzione elettiva di statuire nel merito, definendo il giudizio. In questo caso la sentenza contiene l’accertamento del rapporto giuridico fatto valere dalle parti, chiudendo il giudizio davanti al giudice che l’ha pronunciata, e per tale ragione è detta sentenza definitiva di merito. Tuttavia, il giudizio può anche chiudersi in rito (per esempio, quando difetti la giurisdizione del giudice adito), ovvero senza che il giudice si pronunci nel merito della causa, dando così luogo a una sentenza definitiva di rito.
Il nostro ordinamento prevede poi la possibilità che durante il processo il giudice decida con sentenza solo alcune delle questioni di rito o di merito che devono essere risolte per addivenire alla decisione finale; si avranno così sentenze non definitive di rito o di merito. Tali sentenze si caratterizzano in quanto, non definendo il giudizio, che deve proseguire verso la sua definizione, non spogliano il giudice del dovere di pronunciarsi sulla domanda. Un’ipotesi particolare è costituita dalla sentenza parziale, anche detta parzialmente definitiva, che ricorre allorquando, in un processo nel quale siano state proposte più domande, il giudice si pronunci soltanto su alcune di queste.
Per quel che riguarda il regime di stabilità del provvedimento, la sentenza, anche non definitiva, è comunque irrevocabile, cioè non può essere revocata da parte dal giudice che l’ha pronunciata e può essere messa in discussione dalle parti solamente mediante i mezzi di impugnazione ordinari e straordinari (Impugnazioni. Diritto processuale civile). Se la sentenza presenta omissioni, errori materiali o di calcolo, poiché si è verificato un errore nella manifestazione della volontà del giudice, può essere sottoposta a correzione. Per quanto concerne, infine, l’efficacia della sentenza, questa dipende dalla domanda proposta e dalla specifica natura dell’azione di cognizione esercitata. Si potranno avere pertanto sentenze di mero accertamento, sentenze di condanna e sentenze costitutive.
Decreto. Diritto processuale civile
Ordinanza. Diritto processuale civile
Provvedimento. Diritto processuale civile
Sulla condizione di adempimento nella sentenza ex art. 2932 c.c. di Romolo Donzelli