segreto Ciò che uno nasconde dentro di sé e non rivela (tranne singole e determinate eccezioni) a nessuno.
Il s. è in varie occasioni oggetto di regolamentazione giuridica. L’esigenza è da una parte quella di limitarne la violazione, dall’altra quella di salvaguardare interessi meritevoli di tutela (come quelli connessi al diritto di cronaca o all’accertamento di fatti anche penalmente rilevanti).
Esprime il potere dello Stato di secretare fatti inerenti questioni politiche o militari meritevoli di particolare protezione. Introdotto dal r.d. 1161/1941, modificato dalla l. 801/1977, è stato disciplinato dalla l. 124/2007 che ha introdotto nel codice penale l’art. 270 bis. Ai sensi di tale articolo, quando l’autorità giudiziaria abbia acquisito, tramite intercettazioni, comunicazioni di servizio di appartenenti al Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza o ai servizi di informazione per la sicurezza, dispone l’immediata secretazione e la custodia in luogo protetto dei documenti, dei supporti e degli atti concernenti tali comunicazioni. Il vincolo può essere disposto esclusivamente dal presidente del Consiglio dei ministri in quanto vertice del potere esecutivo. Non può mai riguardare informazioni relative a fatti eversivi dell’ordine costituzionale (ipotesi già prevista dalla l. 801/1977) o concernenti fatti di terrorismo, delitti di strage, associazione a delinquere di stampo mafioso, scambio elettorale di stampo politico-mafioso (ipotesi aggiunte dalla riforma).
Quando è sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del presidente del Consiglio dei ministri, qualora il conflitto sia risolto nel senso dell’insussistenza del s. di Stato, il presidente del Consiglio dei ministri non può più opporlo con riferimento al medesimo oggetto. Qualora il conflitto sia risolto nel senso della sussistenza del s. di Stato, l’autorità giudiziaria non può né acquisire né utilizzare, direttamente o indirettamente, atti o documenti sui quali è stato opposto il s. di Stato. Con la sentenza 106/2009 la Corte costituzionale ha escluso il sindacato giu;risdizionale sull’individuazione delle notizie che possano costituire s. di Stato invocando il principio della separazione del potere tra gli organi dello Stato. In nessun caso il s. di Stato è opponibile alla Corte costituzionale. La Corte adotta le necessarie garanzie per la segretezza del procedimento.
Regola generale che limita la conoscibilità dei fatti durante le indagini preliminari. L’art. 329 c.p.p. stabilisce, infatti, che gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal s. fino a quando l’imputato (o l’indagato) non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari. Tale vincolo grava su tutti i soggetti che sono a conoscenza dell’atto di indagine e assolve alla funzione di proteggere la ricerca della verità rispetto ad atti che possono precludere la genuina acquisizione della prova. Gli atti segreti rimangono tali fino alla conclusione delle indagini ex art. 415 bis. La violazione dell’obbligo del s. può integrare – allo stato della legislazione vigente, peraltro in via di modifica – almeno due fattispecie: la rivelazione di s. inerenti un procedimento penale (379 bis c.p.), per la quale si punisce chiunque riveli indebitamente notizie segrete concernenti un procedimento penale da lui apprese per aver partecipato o assistito a un atto del procedimento stesso; ovvero la rivelazione del s. d’ufficio (art. 326 c.p.). Derogano alla disciplina del s. istruttorio i cosiddetti atti garantiti (interrogatorio, ispezione e confronto), rispetto ai quali il difensore ha diritto di assistervi e di essere avvisato almeno ventiquattro ore prima del compimento dell’atto.
Il dovere, imposto agli impiegati pubblici, di non comunicare all’esterno dell’amministrazione notizie o informazioni di cui siano venuti a conoscenza nell’esercizio delle loro funzioni, ovvero che riguardino l’attività amministrativa in corso di svolgimento o già conclusa. Nell’ambito del diritto amministrativo, la disciplina del s. d’ufficio, inizialmente prevista nel r.d. 2960/1923, è ora contenuta nell’art. 15 del d.p.r. 3/1957, la cui formulazione originaria era espressione di un contesto socio-normativo improntato al principio della segretezza dell’azione amministrativa. In seguito, la l. 241/1990 (art. 22 e s.) ha riconosciuto il diritto di accesso ai documenti amministrativi come principio generale dell’attività amministrativa, volto ad assicurarne l’imparzialità e la tras;parenza, riformulando il testo del citato art. 15. Di conseguenza, non si verifica una violazione del s. d’ufficio quando la comunicazione di un’informazione o di una notizia avvenga nel rispetto delle norme sul diritto di accesso e all’impiegato pubblico è consentito rilasciare copie ed estratti di documenti nei casi non vietati dall’ordinamento. Inoltre, rispetto alla previgente disciplina, il divieto di divulgazione trova applicazione anche in assenza della possibilità che si verifichi un danno per la pubblica amministrazione. Peraltro, nell’ambito della riforma del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni e con la sottoscrizione dei contratti collettivi di lavoro che ne disciplinano i relativi istituti, il rispetto del s. d’ufficio è stato inserito fra gli obblighi posti a carico del dipendente pubblico per il corretto svolgimento della prestazione lavorativa, al fine di evitare l’utilizzo a fini privati di informazioni e, quindi, comportamenti che possano ledere l’immagine dell’amministrazione.
La violazione del s. d’ufficio può rilevare anche sotto il profilo penale, qualora si verifichi la fattispecie di reato di cui all’art. 326 c.p. Per quanto concerne la tutela processuale del s. d’ufficio, l’art. 201 c.p.p. dispone che i pubblici ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio si astengano dal deporre su fatti conosciuti in ragione del loro ufficio che devono rimanere segreti, salvo i casi in cui vi sia l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria.
S. bancario Dovere di riserbo cui sono tradizionalmente tenute le imprese bancarie in relazione alle operazioni, ai conti e alle posizioni concernenti gli utenti dei servizi da essi erogati, che assume rilevanza come eventuale fonte di responsabilità contrattuale della banca. A tale dovere non corrisponde nei clienti delle banche una posizione giuridica soggettiva costituzionalmente protetta, né un diritto della personalità, poiché la sfera di riservatezza che circonda i conti e le operazioni degli utenti dei servizi bancari è strumentale all’obiettivo della sicurezza e del buon andamento dei traffici commerciali. Il s. bancario non trova fondamento in una specifica disposizione giuridica, ma si ricava da alcune norme che al contrario consentono a determinati soggetti di effettuare indagini bancarie (per es., l’autorità giudiziaria, qualora la documentazione bancaria sia pertinente a un reato; gli uffici finanziari e le commissioni tributarie per l’accertamento di posizioni fiscali; l’amministrazione giudiziaria, al fine dell’accertamento dei redditi), mentre non esiste un diritto dei terzi ad acquisire informazioni e solo il cliente, detentore del s. bancario, può liberare la banca dal dovere di riserbo.
S. sacramentale L’obbligo assoluto (detto anche sigillo) di astenersi dal rivelare ciò che il penitente ha detto in ordine all’assoluzione sacramentale. Sottratto a qualsiasi autorità umana, anche giudiziaria, in quanto considerato di diritto divino, non vincola solo il confessore ma anche quanti in qualsiasi modo fossero venuti a conoscenza del s. stesso (cfr. Codex iuris canonici, can. 983). La violazione diretta del s. sacramentale da parte del confessore è colpita dalla scomunica latae sententiae riservata alla Santa Sede (can. 1388). Il s. sacramentale è di regola tutelato anche dalle legislazioni civili (in Italia art. 351 nr. 1 c.p.p. e l’art. 4 nr. 4 dell’accordo di revisione del Concordato).