Medicina complementare e alternativa
Nel corso degli ultimi decenni si stanno diffondendo nel mondo occidentale, in misura sempre più estesa, diversi tipi di trattamenti, rimedi e filosofie terapeutiche che non sono riconosciuti nel contesto della medicina ufficiale. Queste pratiche, nel loro insieme, sono di volta in volta connotate come: alternative, complementari, integrative, tradizionali, non ortodosse, olistiche, naturali, dolci, ecc. L'espressione con cui in genere ci si riferisce a queste pratiche è Medicine complementari e alternative, MCA (nella letteratura scientifica CAM, Complementary and alternative medicines), con la quale si intende un insieme molto esteso ed eterogeneo di pratiche diagnostico-terapeutiche che non sono ufficialmente incorporate nella moderna medicina scientifica. Queste pratiche non formano un corpo unico di conoscenze né un insieme omogeneo di prassi. In altri termini, le MCA non costituiscono nel loro complesso un sistema medico strutturato.
I modelli teorici che stanno alla base degli approcci diagnostico-terapeutici delle pratiche comprese nelle MCA sono talmente eterogenei da rendere praticamente impossibile l'identificazione di caratteristiche che le possano accomunare. In questo contesto una possibile definizione potrebbe essere la seguente: "con medicine complementari e alternative si intende un insieme vasto di pratiche già disponibili, anche se più o meno estesamente utilizzate, le cui basi teoriche si riferiscono a contesti esplicativi diversi da quelli intrinseci al sistema sanitario di riferimento in un particolare momento e all'interno di una specifica società". In altri termini, queste pratiche non sono integrate nel modello di cura dominante, in quanto in contraddizione con diversi principî di ordine culturale, economico, scientifico, medico e formativo. Le teorie alla base di queste pratiche rappresentano approcci alla gestione della salute e della malattia che differiscono fortemente dalla prospettiva su cui si fonda la medicina ufficiale (come per es., nel caso della bioenergetica, della medicina tradizionale cinese, dell'omeopatia, dell'aromaterapia, ecc.). Altre volte la spiegazione primaria per i fenomeni biologici in queste medicine è basata sul 'vitalismo', sull'esistenza cioè di una 'forza vitale', che non riconosce specifici meccanismi biologici alla base dei fenomeni patologici. All'interno dunque del variegato contenitore delle MCA si può trovare tutto e anche il suo contrario, e ciò fa sì che il problema della valutazione della loro utilità clinica (in termini di efficacia e di sicurezza) sia di enorme complessità, poco affrontato e solo in qualche caso risolto. Tuttavia, sia la richiesta sia l'offerta di questo tipo di cure nella società occidentale sono in continuo aumento, e a tutt'oggi la forza che maggiormente determina questa continua espansione sembra essere proprio il mercato.
Data l'estrema diversità delle pratiche incluse nelle MCA è particolarmente complesso definire un sistema di classificazione esaustivo, anche perché la definizione di ciò che è riconducibile alle MCA è variabile nel tempo. Un tentativo è stato fatto dal National Center for Complementary and Alternative Medicine negli Stati Uniti, che ha proposto di classificare le MCA nelle cinque categorie riportate nella tab. 1; in essa sono anche riportate, per ognuna delle categorie, alcune delle pratiche terapeutiche più note. L'elenco non è ovviamente esaustivo e deve essere considerato puramente esemplificativo, essendo praticamente impossibile il censimento completo di queste pratiche terapeutiche. Inoltre, le categorie non sono tra loro mutuamente esclusive e alcune delle pratiche citate potrebbero essere classificate in più di una categoria, a ulteriore riprova della eterogeneità delle MCA.
Con questa locuzione ci si riferisce a sistemi strutturati di teorie e di pratiche mediche che si sono evoluti indipendentemente o parallelamente all'affermazione della medicina scientifica occidentale. Questi sistemi rappresentano differenti approcci 'filosofici' alla gestione della salute e della malattia. Un caso è rappresentato dalle cosiddette 'medicine tradizionali' (o etnomedicine), la cui peculiarità sta nel radicamento all'interno di specifiche culture sulla base di un'antica tradizione sviluppata da generazioni di terapeuti. Nel corso della loro storia hanno rappresentato il modello medico prevalente nel proprio contesto socioculturale, venendo impiegate da parte di popolazioni anche molto vaste. L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) fornisce la seguente definizione di 'sistema di medicina tradizionale': "La somma di conoscenze, abilità e pratiche basate su teorie, credenze ed esperienze appartenenti a differenti culture, spiegabili o meno, usate per il mantenimento della salute, come pure per la prevenzione, la diagnosi e la cura di malattie fisiche o mentali" (WHO 2000).
Le medicine tradizionali sono dunque per definizione molto diverse le une dalle altre. Ogni comunità ha infatti risposto alla sfida di mantenere la salute e di combattere le malattie sviluppando un proprio autonomo sistema medico (da quelli africani a quelli orientali o a quelli, per es., dell'America Meridionale). Tra le etnomedicine che risultano essere più popolari in Occidente vi è quella cinese e quella ayurvedica di tradizione indiana.
La medicina tradizionale cinese ha radici in una sistematica struttura teorica per la diagnosi e la terapia. La filosofia della medicina tradizionale cinese si basa sui concetti di yin e yang, che esprimono l'idea di fenomeni opposti ma complementari che esistono in uno stato di equilibrio dinamico. Questi due concetti si fondono all'interno del Tao raffigurato in un simbolo molto noto: quello del cerchio suddiviso in due metà sinusoidali. In questo contesto lo yin (la metà di colore nero, con il seme bianco al suo interno) rappresenta il principio femminile, mentre lo yang (la metà bianca con il seme nero) rappresenta il principio opposto e complementare, ovvero quello maschile. La visione filosofica della medicina cinese si completa con la teoria dei cinque elementi (o fasi, o movimenti): legno, fuoco, terra, metallo, acqua. Gli interventi terapeutici della medicina cinese si fondano sul ricorso a erbe medicinali, a tecniche manipolative (tui na) e all'agopuntura. Quest'ultima è forse l'aspetto più noto in Occidente. L'agopuntura si basa sull'inserimento di piccoli aghi in vari punti del corpo per stimolare gli impulsi nervosi. Ciò dovrebbe promuovere il bilanciamento di energia vitale (Qi) che i terapeuti cinesi ritengono muoversi attraverso il corpo lungo specifici canali chiamati 'meridiani'. Vi sono dodici meridiani principali che corrispondono ad altrettante funzioni principali od organi del corpo.
L'ayurveda è un'antica disciplina indiana che si fonda sull'idea dell'equilibrio tra anima, corpo e spirito. La parte terapeutica è basata sulla diagnosi dei tre umori corporei (i dosha), vāta, pitta e kapha, ognuno costituito dai cinque elementi basilari (etere, aria, fuoco, terra, acqua), il cui equilibrio corrisponde alla salute fisica. Le terapie sono sia di tipo spirituale (lo yoga, la meditazione trascendentale), sia basate sulle erbe, i minerali, i massaggi con oli; particolare attenzione è data al cibo, considerato anch'esso come una medicina.
Un esempio non orientale di medicina tradizionale è il curanderismo praticato dalle comunità ispano-americane soprattutto nel Sud-Ovest degli Stati Uniti. Esso include varie tecniche quali la preghiera, le erbe medicinali, i rituali di guarigione, i massaggi. Ai curanderos (guaritori) si affiancano i cosiddetti yerberos (esperti di erbe), le parteras (che sono levatrici) e i sobadores (che usano il massaggio e la manipolazione). Mentre nel caso delle medicine tradizionali le teorie e le prassi si sono sviluppate nell'arco di secoli attraverso la sedimentazione progressiva di esperienze cliniche di molteplici terapeuti, dapprima trasmesse oralmente e successivamente consolidate anche in compendi scritti di riferimento, in altri casi sono stati sviluppati sistemi medici formali sulla base di ipotesi e deduzioni di singoli studiosi. Questi sistemi si sono in genere evoluti in opposizione e concorrenza al modello medico scientifico occidentale e, comunque, non sono mai diventati un modello dominante nel loro contesto socioculturale d'origine. Per esempio l'omeopatia, descritta per la prima volta alla fine del Settecento da Samuel Hahnemann, e la naturopatia introdotta alla fine dell'Ottocento da Benedict Lust.
La prima è un sistema medico secondo il quale le malattie possono essere trattate con dosi infinitesimali di farmaci in grado di produrre gli stessi sintomi della malattia che si intende guarire. Si basa sul principio della 'similitudine' (similia similibus curentur) e su quello delle 'diluizioni seriali' dei medicamenti. In base al primo le sostanze che causano dei sintomi nelle persone sane possono curare quegli stessi sintomi nelle persone malate. Per esempio, a un soggetto che soffre d'insonnia viene somministrato un rimedio a base di caffè (Coffea cruda). Per evitare possibili effetti tossici viene utilizzata la tecnica delle diluizioni seriali (detta anche 'potenza'). Le potenze sono in genere diluizioni 1 a 10 (D, decimali) o 1 a 100 (C, centesimali), nelle quali una parte di sostanza viene diluita in 9 parti di diluente (oppure in 99 parti) e successivamente dinamizzata, ovvero agitata con forza (secondo un procedimento chiamato 'succussione'). In un rimedio con potenza 12C la sostanza originaria è stata diluita per 12 volte, ogni volta 1 a 100, il che equivale dal punto di vista fisico a non poter più evidenziare molecole della sostanza di base perché la diluizione va ampiamente oltre il numero di Avogadro (6,02×1023). La naturopatia si fonda su una filosofia che non si identifica con una specifica terapia. Essa si ispira a principî vitalistici e si basa sulla teoria secondo cui il corpo sarebbe un meccanismo che si autoregola, capace di mantenersi in uno stato di salute e di benessere attraverso un'azione preventiva e l'adozione di corretti stili di vita.
Con questa espressione ci si riferisce a tecniche ritenute in grado di migliorare la capacità della mente di influenzare i sintomi e le funzioni corporee. Questo insieme di pratiche si focalizza sulle possibili interazioni tra il cervello, la mente, il corpo e sulle modalità con le quali fattori emozionali, mentali, spirituali e comportamentali possono influenzare la salute dell'individuo. L'approccio di queste tecniche tende a favorire in ciascun individuo l'autoconoscenza e l'autocura. In questa area possono rientrare lo yoga, la meditazione, l'autoipnosi o tecniche il c ui meccanismo non è nemmeno remotamente compreso (per es., la preghiera per intercessione). Altri esempi noti di terapie di questo tipo sono il biofeedback e la floriterapia. La prima è una strategia terapeutica e riabilitativa tendente a regolare, attraverso un controllo cosciente, alcune funzioni fisiologiche normalmente inconsce (quali la respirazione, il battito cardiaco, la pressione sanguigna), che sono monitorate mediante specifiche apparecchiature elettroniche. Nel caso della floriterapia (in particolare dei fiori di Bach, che devono il loro nome a Edward Bach) viene assunto che occorre ricercare la causa scatenante di una malattia in uno stato mentale disarmonico, del quale il paziente deve prendere coscienza. I fiori, secondo questa teoria, contengono la forza vitale della pianta dalla quale provengono e questa forza viene impressa nell'acqua attraverso l'esposizione al sole. Vi sono 38 diversi tipi di fiori ritenuti utili per sintomi che vanno dalla paura all'incertezza, dalla solitudine allo scoraggiamento, ecc. I fiori di Bach sono raccolti in una giornata di sole e messi in acqua per tre o quattro ore al sole. Sono poi assunti oralmente.
Terapie biologiche. In questa categoria rientrano le pratiche che prevedono l'assunzione di sostanze che si trovano in natura (prodotti botanici, minerali, vitamine, integratori alimentari, diete particolari, ecc.). La maggior parte delle pratiche incluse in questa categoria rientra nella fitoterapia, che può essere definita come la disciplina che utilizza le piante medicinali nella prevenzione e cura delle malattie. Rispetto ad altre MCA la fitoterapia si trova in uno stato di maggior affinità con i paradigmi della medicina convenzionale. L'origine della moderna farmacologia può essere infatti ricondotta all'antica erboristeria, e anche oggi le farmacopee e i prontuari di numerosi Paesi industrializzati contemplano al loro interno la presenza di preparati a base di estratti di piante medicinali. Non vi sono dubbi circa la possibilità che tali preparati possano avere una specifica attività di tipo farmacologico, anche se in moltissimi casi, data la vastità della materia, non sono noti i meccanismi di azione. Una delle principali differenze rispetto alla terapia farmacologica ufficiale risiede nel ricorso a estratti non purificati di erbe, che contengono talvolta anche centinaia di componenti diversi, con la convinzione che questi ultimi possano interagire producendo un esito più grande della semplice somma degli effetti attribuibili ai singoli componenti (effetto sinergico). Inoltre i cultori di queste pratiche sostengono che la tossicità è ridotta quando si utilizza un fitocomplesso piuttosto che i principi attivi isolati (effetto buffering).
Un'altra area importante nell'ambito delle terapie biologiche è quella relativa alla cosiddetta 'terapia nutrizionale', che ricorre alla modifica delle abitudini alimentari (supplementi e integratori dietetici, ecc.) per prevenire e curare patologie. In questo ambito vi sono anche particolari regimi dietetici suggeriti per il trattamento di patologie gravi quali i tumori. La dieta di Bristol, messa a punto presso il Cancer Help Centre di Bristol, è forse quella più nota. Gli alimenti su cui si basa sono cibi integrali, frutta e verdura crude, cereali grezzi, pesce, pollo e uova. Nella dieta sono evitati i latticini, inclusi formaggi e yogurt, le carni rosse, sale, zucchero e caffeina. Un altro tipo di dieta è quella cosiddetta 'di Gerson'. Questi sosteneva che la sua dieta aveva fatto registrare una percentuale di guarigione nel 50% dei pazienti, compresi i malati terminali, ma non esistono prove documentali che lo confermino. La dieta in sé si basa rigorosamente sull'assunzione di frutta e verdura organiche, prese soprattutto sotto forma di succhi preparati con la centrifuga. Inoltre prevede l'assunzione di molti farmaci, compresi ormoni tiroidei ed estratti di fegato, mentre 'clisteri al caffè' vengono effettuati per eliminare le tossine.
In questa categoria rientrano pratiche quali l'osteopatia e la chiropratica, che sono modelli terapeutici formalizzati che trattano il sistema muscolo-scheletrico, sul quale intervengono con tecniche manipolative per diagnosticare e trattare anormalità della struttura e delle funzioni. Nata negli Stati Uniti verso la fine del XIX sec. a opera di Andrew Taylor Still, l'osteopatia si basa sul principio che il corpo è dotato di una propria capacità di autoguarigione, e che i disturbi e le malattie derivano da un'alterazione del corretto assetto della struttura muscolo-scheletrica e del corpo nel suo insieme. L'osteopatia mira a curare i disturbi localizzati nei muscoli, nei tessuti molli e nelle articolazioni usando specifiche tecniche di manipolazione.
La chiropratica nasce negli Stati Uniti alla fine dell'Ottocento a opera di un guaritore canadese, Daniel David Palmer. Tale terapia pone il midollo spinale e il sistema nervoso al centro del benessere di una persona. La tensione sui nervi spinali (sublussazione vertebrale) può essere in grado di causare o mantenere uno stato di malattia. Una volta che queste sublussazioni sono state individuate e corrette (tramite la manipolazione), il corpo usa le sue risorse naturali per ristabilire l'equilibrio fisiologico e la salute.
Vi sono inoltre numerosi tipi di massaggio (che giocano un ruolo importante anche in sistemi medici tradizionali come quello cinese o indiano) quali, per esempio, lo shiatsu e il massaggio svedese, che mirano ad alleviare lo stress, l'ansietà e la tensione muscolare e a migliorare la circolazione. La pratica del massaggio è frequentemente accompagnata anche dall'impiego di oli aromatici finalizzato a ottimizzare la risposta. Le tecniche posturali sono essenzialmente dei sistemi educativi che includono esercizi fisici con lo scopo di migliorare la postura e il movimento. Le più note sono la tecnica di Alexander e il metodo Feldenkrais. La prima è stata proposta alla fine del XIX sec. da Frederick Alexander, allo scopo di prevenire e curare molti squilibri psicofisici partendo dalla correzione della postura. Alexander riteneva, infatti, che le posizioni sbagliate del corpo potessero ripercuotersi negativamente sull'organismo, causando l'insorgenza di numerosi disturbi, quali dolori diffusi o localizzati, mal di testa e altro. La seconda tecnica, ideata da Moshe Feldenkrais, è un metodo per l'apprendimento e l'autoeducazione attraverso il movimento.
La maggior parte delle pratiche riconducibili a quest'area considerano il corpo umano come un campo di energia, la cui funzionalità è modificabile tramite l'interazione con altri campi energetici. Molte di queste terapie non comportano un contatto fisico tra terapeuta e paziente, sulla base del presupposto che i campi energetici si estendono al di là del corpo. Inoltre, i sostenitori di queste pratiche ritengono che la presunta connessione di questi campi individuali attraverso l'esistenza di un 'campo universale' consenta il ricorso a tali terapie anche a distanza. In questa categoria rientrano sia il ricorso a campi energetici esogeni, quali, per esempio, quelli elettromagnetici, sia la modulazione endogena di energie, come nella bioenergetica. Nel primo caso ci si riferisce all'uso non standard di campi magnetici (magnetoterapia), di campi pulsanti ecc.; nel secondo ci si riferisce a tecniche di modulazione dei campi energetici che dovrebbero circondare il corpo, come nel caso del tocco terapeutico che prevede l'uso delle mani, senza un vero contatto fisico, per influenzare l'energia vitale nel tentare di promuovere la guarigione. In aggiunta a queste cinque categorie andrebbero citate anche un insieme di metodiche diagnostiche che assumono approcci di valutazione e indagine alternativi ai processi diagnostici della moderna medicina, quali l'iridologia, il Vegatest, l'analisi dell'aura, la fisiognomia, ecc. La radionica, per esempio, è una pratica basata su strumentazioni elettroniche, che cerca di identificare le patologie prima che queste si manifestino, basandosi sul presupposto che ogni persona è circondata da un campo energetico vibrante invisibile, le cui lunghezze d'onda possono essere analizzate con strumenti ad hoc per identificare eventuali disfunzioni.
Molti studi sul ricorso alle MCA dimostrano che la popolarità di queste pratiche ha raggiunto in anni recenti livelli sorprendenti nel mondo occidentale. Le differenze nei metodi adottati nelle diverse indagini rendono comunque difficile effettuare confronti precisi tra i vari Paesi. Alcuni studi sono stati effettuati intervistando terapisti che praticano le MCA, altri hanno analizzato dati forniti da associazioni di consumatori, altri si sono basati sulla vendita di specifici prodotti, altri ancora hanno indagato campioni della popolazione generale. I periodi temporali cui si riferiscono le osservazioni sulla prevalenza d'uso, così come l'insieme delle terapie prese in esame, sono diversi. Indipendentemente da queste differenze metodologiche, la quota di popolazione che ricorre alle MCA è molto consistente. Negli Stati Uniti, per esempio, è stato stimato che il 36% della popolazione adulta usa una qualche forma di MCA nel corso di un anno. Livelli più bassi di utilizzo sono stati evidenziati in alcuni Paesi europei: nel Regno Unito un recente studio campionario ha stimato che il 10% della popolazione ha fatto ricorso nell'arco di un anno a qualche tipo di MCA, mentre in Italia si stima che questa quota sia del 15,6% nell'arco di tre anni (1997-1999).
In tutti gli studi le MCA più largamente utilizzate nel mondo occidentale sono risultate essere: l'agopuntura, le terapie manipolative (chiropratica e osteopatia), l'omeopatia e la fitoterapia. Anche il profilo dei soggetti che utilizzano le MCA è risultato molto simile: una più alta prevalenza di donne, di elevato livello culturale, con condizioni socioeconomiche medio-alte e che ricorrono contemporaneamente, in grande maggioranza, anche alla medicina ufficiale. La decisione di utilizzare queste pratiche è presa sia sulla base di motivazioni di carattere positivo (per es., la speranza di ricorrere a trattamenti privi di effetti collaterali), sia sulla base di motivazioni di carattere negativo (per es., disaffezione rispetto all'approccio della medicina ufficiale, considerato impersonale e troppo tecnologico).
In alcune condizioni patologiche di particolare gravità (come i tumori) il ricorso alle MCA sembra essere motivato dall'assenza di alternative terapeutiche. Quest'ultimo caso rappresenta un aspetto particolarmente delicato, in quanto starebbe a indicare che alcune delle MCA si possano trovare a operare in aree nelle quali la medicina ufficiale trova difficoltà nell'ottenere successi terapeutici, segnalando con forte evidenza il pericolo che, in alcuni casi, si tratti di 'mercato della speranza'. A parte questo caso estremo, in linea di massima le patologie trattate con le MCA riguardano problemi comuni e di lieve natura. In queste situazioni l'attenzione all'unicità di ogni paziente, considerato non solo nella dimensione organica, ma anche in quella psicologica e sociale, la valorizzazione di un approccio non paternalistico, centrato sulle risorse della persona e sul suo coinvolgimento, rappresentano probabilmente le caratteristiche principali che rendono le MCA apprezzate dai pazienti e dai loro familiari.
Per ciascuna delle pratiche delle MCA bisognerebbe porsi le seguenti domande: è intrinsecamente efficace o i cambiamenti osservati sono attribuibili a un effetto placebo? Se è efficace, come funziona? Per quali condizioni patologiche è efficace? È sicura, ci sono effetti collaterali? Può essere un'alternativa adeguata ad altri trattamenti di provata efficacia già disponibili? In sintesi, la questione da affrontare è quanto sia consistente la conoscenza scientifica disponibile in merito alla efficacia clinica, alla sicurezza d'uso e ai meccanismi di azione delle pratiche delle MCA. L'informazione disponibile su questi argomenti è spesso di tipo puramente enunciativo o basato sulla semplice descrizione di aneddoti. Il più delle volte ci si trova di fronte a forme di sapere soggettive e autoreferenziali, talvolta iniziatiche, che risultano essere refrattarie a forme di verifica pubblica, mentre, in campo medico, vi dovrebbe essere il costante sforzo di consolidare un tipo di conoscenza la quale, in quanto suffragata da sistematici riscontri sperimentali, diviene pubblicamente controllabile e intersoggettiva. Discutere degli aspetti scientifici relativi alle MCA equivale in realtà a discutere delle modalità con le quali viene acquisita la conoscenza anche nell'ambito delle discipline biomediche ufficiali. Di seguito sono illustrati alcuni degli aspetti più importanti in questo ambito.
L'effetto placebo può essere definito come l'insieme delle variazioni fisiologiche o psicologiche che si osservano negli individui quando questi sono sottoposti a un intervento terapeutico (la somministrazione di medicamenti, la messa in opera di procedure, ecc.) e che non sono direttamente riconducibili agli effetti specifici del trattamento. Il concetto di placebo si basa sull'idea che un terapeuta, intervenendo su una condizione clinica, possa produrre sui pazienti un duplice effetto: quello legato all'intervento stesso (l'attività intrinseca, per es., di un farmaco) e quello relativo alla percezione di essere stati trattati. A lungo (fino alla metà del Novecento) nella medicina occidentale la 'pia frode', come veniva definita la somministrazione di placebo, costituita, per esempio, da pillole di pane e da iniezioni sottocutanee di acqua, era parte integrante della pratica clinica. Questa era doppiamente legittimata dal primum non nocere e dall'ut aliquid fieri videatur.
Un ruolo importante per questi aspetti nelle MCA è quello giocato dalla relazione terapeuta-paziente. Infatti, pur in assenza di una comune base teorica, le MCA in genere condividono, distinguendosi in questo dalla medicina convenzionale, l'enfasi posta sull'esperienza soggettiva dei pazienti trattati. Questo approccio, che valorizza un'attenzione personalizzata, ponendo il focus sul paziente nella sua interezza piuttosto che sulla patologia di cui soffre, crea un contesto di guarigione connotato da un forte simbolismo rituale. Lo stile della consultazione dei terapeuti di alcune MCA è basato su un linguaggio semplice, con spiegazioni facilmente comprensibili, tendente a creare un buona relazione interpersonale (credibile, calda, aperta) che facilita lo scambio di informazioni. Tutto ciò può contribuire a sviluppare un effetto placebo e si riflette nel grado di soddisfazione, in genere alto, dichiarato dai pazienti. Nel caso delle pratiche delle MCA, la cui efficacia è spesso sostenuta da teorie che non trovano riscontro nel paradigma scientifico corrente, è dunque importante valutare se le eventuali risposte terapeutiche osservate in singoli casi di trattamento siano riconducibili o meno a un effetto placebo anche in virtù dei processi simbolici che di frequente accompagnano questi interventi.
L'osservazione che alcuni pazienti migliorano dopo aver ricevuto un trattamento può comprensibilmente produrre il convincimento che il miglioramento possa essere causato dal trattamento. Questo convincimento però esemplifica un errore logico. Tale errore, noto come 'fallacia della falsa causa' o post hoc, ergo propter hoc (letteralmente: dopo di ciò, dunque a causa di ciò), nasce dal fatto che il criterio temporale (una causa precede sempre un effetto) rappresenta una condizione necessaria, ma non sufficiente per definire una relazione di causalità. I miglioramenti osservati potrebbero infatti essere dovuti a molteplici fattori, diversi dalla efficacia del trattamento, quali il decorso benigno della patologia, l'attenuazione dei sintomi, la remissione spontanea della malattia, l'effetto placebo. L'approccio più rigoroso che consente di discriminare gli effetti veri di un trattamento è quello della sperimentazione clinica controllata (RCT, Randomised controlled trial).
Per capire la logica sottostante queste sperimentazioni occorre riflettere sulla nozione di effetto e, in una sorta di processo circolare, sulla natura delle cause che determinano questi effetti. Uno dei filosofi che più ha studiato i processi causali è stato David Hume (1711-1776) il quale nel 1748 così definiva una causa: "Possiamo definire una causa come essere un oggetto seguito da un altro dove, se il primo oggetto non ci fosse stato, il secondo non sarebbe mai esistito". Questa definizione, che potrebbe essere parafrasata nel seguente modo: "se C non fosse avvenuto non avrei osservato E", ipotizza cosa sarebbe avvenuto in condizioni contrarie a quelle attuali ed è perciò chiamata 'argomentazione (condizionale) controfattuale'. Un esempio di questo tipo di argomentazione è: "se un'ora fa non avessi preso due aspirine, il mio mal di testa non sarebbe passato". Il problema è, ovviamente, che non possiamo tornare indietro nel tempo e cambiare trattamento per verificare cosa sarebbe accaduto se non avessimo preso le aspirine e siamo quindi costretti a confrontare un risultato osservato con uno non osservato. La manifesta impossibilità di operare questo confronto si supera con una misura indiretta effettuata tramite il confronto tra due gruppi: quello con il trattamento che intendiamo studiare e quello con un trattamento di controllo. L'esperienza derivata dal gruppo di controllo serve per comprendere cosa sarebbe avvenuto ai pazienti se non avessero ricevuto il trattamento, consentendo di discriminare gli esiti causati dal trattamento da quelli causati da altri fattori, come per esempio la progressione naturale della malattia. Il trattamento di controllo è frequentemente un trattamento inerte, un placebo. Il gruppo che assume il placebo diventa allora l'emblema dei miglioramenti osservati nei pazienti non trattati all'interno di una sperimentazione, comprendendo, cioè, tutti gli effetti non specificamente dipendenti dalla terapia in studio (quali, per es., gli effetti della relazione paziente-terapeuta, le aspettative dei pazienti, ecc.).
Naturalmente la qualità della misura di efficacia clinica che si ottiene in una sperimentazione di questo tipo dipende dalla effettiva comparabilità dei due gruppi formati. Questa comparabilità si ottiene tramite un meccanismo casuale di assegnazione dei pazienti ai trattamenti. Un meccanismo di assegnazione è casuale se per ogni paziente la probabilità di essere assegnato al trattamento in studio o al trattamento di controllo è indipendente dall'esito clinico che si intende osservare. Perciò quando un trattamento è confrontato con un placebo, nell'ambito di una sperimentazione, i pazienti dovrebbero differire solo nel trattamento che stanno ricevendo e non in altri aspetti.
In aggiunta al meccanismo di assegnazione casuale, nelle sperimentazioni viene di solito adottata una procedura di 'cecità', vale a dire sono predisposti dei meccanismi di mascheramento dei trattamenti tali da nascondere al paziente, ma spesso anche agli sperimentatori, la vera natura del trattamento somministrato (se quello in studio o quello di controllo). Per consentire questo processo di mascheramento il placebo è realizzato in modo da simulare il più possibile (nella forma, nelle modalità di somministrazione, ecc.) il trattamento che si intende studiare. Anche quando il trattamento da studiare è una procedura medica e non una sostanza si realizzano dei placebo simulando i processi di intervento della procedura, senza che questi abbiano qualità terapeutiche 'attive'. Per esempio, nel caso dell'agopuntura il placebo potrebbe consistere nel porre gli aghi in punti del corpo per i quali non ci si attende a priori nessuna risposta terapeutica. Con questo tipo di studi l'eventuale differenza tra gli esiti osservati al termine della sperimentazione negli individui all'interno dei due gruppi è una stima non distorta di quello che viene chiamato 'effetto causale medio'. È sulla base di questo tipo di studi, per esempio, che vengono oggi autorizzati all'uso i nuovi farmaci in tutto il mondo industrializzato.
Sebbene le sperimentazioni cliniche controllate costituiscano il più forte riferimento operativo attualmente disponibile per valutare e misurare le potenzialità terapeutiche attribuite a determinati trattamenti, queste sono state poco utilizzate nell'ambito delle MCA. Queste terapie per loro natura (si potrebbe dire quasi per definizione) non vengono mai proposte sulla base di risultati sperimentali. Le ragioni sono sostanzialmente due: un'aprioristica opposizione nei riguardi del metodo scientifico e una presunta non praticabilità. Molti sostenitori della medicina non convenzionale ritengono semplicemente che il metodo scientifico non sia applicabile ai loro rimedi, e che l'efficacia possa essere sufficientemente dimostrata sulla base di teorie, convinzioni, testimonianze, aneddoti e opinioni. È certamente possibile sostenere che l'applicazione del metodo scientifico alle MCA comporta difficoltà metodologiche particolari. Queste pratiche coprono uno spettro molto ampio di prodotti, concetti, discipline e metodologie. Alcuni di questi interventi sono di natura fisica e altri coinvolgono aspetti di natura spirituale. Vi sono terapie che sono per loro genere impersonali (quali l'assunzione di pillole che contengono prodotti erboristici). Altre invece sembrano dipendere fortemente da una particolare relazione diadica terapeuta-paziente. Solo poche tra le MCA hanno una base biologica plausibile, mentre per altre il legame tra elementi metafisici e un meccanismo biologico comprensibile sembra inverosimile. Alcuni degli interventi delle MCA sono sufficientemente ben descritti, riproducibili, con esiti misurabili e si riferiscono a gruppi di pazienti che possono essere identificati anche nella medicina convenzionale. In molti altri casi questa strada è semplicemente non praticabile. Di seguito sono discussi i principali elementi di complessità che caratterizzano l'applicazione delle sperimentazioni cliniche controllate nell'ambito delle MCA.
In genere i pazienti che partecipano a una sperimentazione clinica devono essere omogenei rispetto alla definizione della patologia esaminata e ai suoi livelli di gravità. Nel caso delle MCA i pazienti possono essere classificati in modi diversi attraverso dei sintomi non facilmente misurabili o riproducibili (per es., uno sbilanciamento energetico). La quasi totalità di questi approcci terapeutici usa strategie di intervento che variano considerevolmente nei contenuti e nelle modalità, in funzione dei particolari individui cui si rivolgono. La variabilità individuale è considerata tale che l'applicazione di un intervento produrrà risposte differenti se applicato a diverse persone, o anche a una stessa persona in tempi differenti, e in diversi stadi della storia naturale della malattia. Ciò comporta un elevato grado di interazione tra pazienti e operatori (come per es., la procedura di repertorizzazione di cui si serve la medicina omeopatica), tale da rendere arduo il compito di individuare gruppi di controllo adeguati. Vi sono altre situazioni, come nel caso delle tecniche di manipolazione o nell'ipnosi, in cui il mascheramento dei trattamenti può essere problematico rendendo complicata l'applicazione della procedura di cecità. La difficoltà nell'identificare adeguati gruppi di controllo non è comunque una caratteristica specifica delle MCA. Vi sono molti casi anche nella medicina convenzionale, nei quali si possono incontrare analoghe difficoltà (per es., in studi clinici sperimentali riguardanti la psicoterapia). In queste situazioni la progettazione della sperimentazione deve concentrarsi sulle modalità che consentono di ridurre le potenziali distorsioni nella fase di valutazione degli esiti.
Alcuni approcci assumono che interventi di limitato impatto (l'introduzione di un ago in un punto specifico del corpo, l'assunzione di dosi omeopatiche, ecc.) se somministrati singolarmente e specificamente possono produrre variazioni sistemiche molto consistenti. Secondo questa visione, l'identificazione di esiti oggettivamente valutabili/misurabili (per es., la valutazione di particolari marker sierologici) può essere molto complessa. Inoltre alcune MCA assumono anche paradigmi operazionali relativi all'anatomia e alla fisiopatologia, che semplicemente non sono considerati reali dalla scienza attuale come, per esempio, la misurazione dei livelli di una 'sottile energia' (il Qi), la quale comporterebbe il ricorso a strumentazioni il cui funzionamento sarebbe basato su teorie che le leggi della fisica non hanno mai finora contemplato o identificato. Sulla base di queste considerazioni, definire chiaramente e operativamente l'obiettivo e gli scopi di uno studio clinico riguardante tali terapie può essere di notevole complessità.
Uno degli scopi principali di una sperimentazione controllata verso un trattamento inerte (placebo) è quello di separare l'influenza della terapia da altri fattori quali, per esempio, gli effetti psicologici del trattamento o quelli della relazione terapeuta-paziente. Il problema è quanto una sperimentazione possa riuscire a valutare l'efficacia di una specifica pratica, riproducendo le modalità con le quali questa è effettivamente utilizzata nella pratica applicata dai terapeuti. Gli argomenti sin qui discussi caratterizzano alcuni degli aspetti di complessità del processo di valutazione dell'efficacia delle pratiche delle MCA, ma queste difficoltà non costituiscono ostacoli insormontabili alla conduzione di studi di questo tipo, né ragioni epistemologiche di non praticabilità. La conseguenza pratica dello scarso ricorso al metodo sperimentale per la verifica dell'efficacia delle MCA è che oggi la conoscenza scientifica è limitata e spesso la domanda se una specifica pratica alternativa o complementare sia o meno di efficacia superiore a un trattamento inerte rimane inevasa.
La conoscenza disponibile nei riguardi dell'efficacia delle pratiche delle MCA potrebbe essere complessivamente oggi definita come 'elusiva': solo per alcune di queste pratiche (agopuntura, omeopatia, talune erbe medicinali) sono state effettuate delle valutazioni sistematiche i risultati delle quali si sono rivelati spesso non conclusivi. In uno studio recente sugli articoli scientifici pubblicati sulle MCA e indicizzati nella principale banca dati della letteratura scientifica in campo biomedico (la MedLine) è risultato che nell'arco di 6 anni (1997-2002) sono stati pubblicati, in tutto il mondo, circa 20.000 articoli scientifici sulle MCA (lo 0,7% di tutti gli articoli scientifici). Di questi solo l'8% circa riguardava sperimentazioni cliniche controllate, condotte principalmente su agopuntura e fitoterapia. La qualità di questi studi è risultata complessivamente piuttosto bassa, a causa della ridotta dimensione degli studi, di procedure di randomizzazione non idonee, o ancora di limitazioni nel processo di valutazione dei pazienti, ecc.
Ogni intervento medico può comportare anche dei rischi, quali, per esempio, l'insorgenza di reazioni avverse a seguito dell'assunzione di un farmaco. Occorre di conseguenza contestualizzare gli interventi medici in un quadro che tenga conto del rapporto beneficio/rischio. Se i potenziali benefici di una terapia sono significativi, per esempio, per la salvaguardia della vita di un paziente, allora il livello di rischio che può essere considerato accettabile è verosimilmente molto alto. Al contrario, i livelli di rischio accettabili per una terapia mirata al sollievo di sintomi o alla cura di malesseri lievi devono necessariamente essere minimi. Alcune delle MCA (per es., le pratiche che operano sulla relazione mente-corpo, quali la meditazione, la preghiera, la musicoterapica, ecc.) sono intrinsecamente sicure. Naturalmente occorre considerare tra i possibili rischi anche quello del mancato ricorso a strategie efficaci, quando queste pratiche sono utilizzate in alternativa a trattamenti che la medicina ufficiale ha dimostrato essere efficaci. Questo è vero anche per le metodiche diagnostiche alternative, che dovrebbero essere verificate nella loro attendibilità e riproducibilità per evitare il danno derivante da diagnosi erronee. Per altre pratiche, come le terapie biologiche (integratori alimentari, erbe medicinali, ecc.), dovrebbe essere garantito un uso sicuro soprattutto in considerazione del convincimento diffuso che questi prodotti, in quanto naturali, devono essere necessariamente sicuri.
Nel caso, per esempio, delle erbe medicinali, il loro uso può essere fonte di effetti avversi dovuti alla qualità delle materie impiegate, a sovradosaggi non intenzionali, a fenomeni allergici o all'assunzione in particolari stati fisiologici quali la gravidanza e l'allattamento. Peraltro, a fronte del fatto che le ipotesi di utilizzo terapeutico di piante medicinali e di estratti possono riguardare solo specifiche e determinate patologie, e quindi gruppi di popolazione ben definiti, in molti Paesi essi sono in libera vendita e utilizzabili dalla maggior parte della popolazione, ampliando notevolmente il numero di condizioni potenzialmente rischiose (includendo, per es., anche gruppi a rischio per patologie concomitanti). Esiste inoltre una seria preoccupazione per quanto riguarda la possibile interazione con eventuali terapie farmacologiche convenzionali (con fenomeni di inibizione o di potenziamento dell'attività farmacologica dei prodotti di sintesi). In assenza, dunque, di una rigorosa valutazione del profilo tossicologico e di rischio dei preparati a base di erbe medicinali, questi, anche grazie alla facilità di acquisto e al relativo basso costo, dovrebbero essere usati con cautela. Per altre pratiche delle MCA, nelle quali il terapeuta interviene direttamente sul paziente (come nel caso delle tecniche di manipolazione vertebrale o dell'agopuntura), i rischi principali possono derivare dall'inadeguatezza professionale di coloro che intervengono.
Vi è oggi un acceso dibattito sul ruolo delle MCA nella società moderna, e questo riguarda essenzialmente la natura delle informazioni che si ritengono necessarie quando si sostiene l'efficacia di specifici interventi terapeutici. Il problema non riguarda il fatto che si stanno confrontando contesti teorici spesso tra loro incompatibili; se esistono prove di efficacia clinica di una pratica, non è strettamente necessario comprenderne i meccanismi di azione (che possono essere studiati successivamente). È necessario però adottare un principio di demarcazione (nel senso popperiano del termine) per poter distinguere tra scienza e pseudoscienza e poter quindi discriminare tra sistemi scientifici e sistemi di fede (che appartengono a un contesto culturale diverso, per sua natura non falsificabile). L'approccio concreto delle sperimentazioni cliniche dovrebbe costituire una garanzia di controllabilità (nel senso di replicabilità), perché il riferirsi a regole certe, in quanto oggettive e sistematiche, diventa uno strumento di tutela e di rispetto dei soggetti i quali, soprattutto se sofferenti, sono socialmente più deboli.
Le MCA piuttosto che un movimento scientifico alternativo, del quale non possiedono la caratteristica di unitarietà, possono essere considerate un fenomeno sociale la cui popolarità deriva principalmente dalla contrarietà suscitata in molti pazienti dagli approcci asettici, impersonali e ad alta tecnologia della medicina ufficiale. La dimensione tecnologica della moderna medicina sembra, infatti, aver fatto smarrire l'altra dimensione: quella antropologica. La maggiore capacità diagnostica di tipo strumentale e il potenziamento dei mezzi terapeutici hanno modificato lo scenario culturale nel quale porre valori e simboli della salute umana. Ma non necessariamente in meglio. Il rapporto tra medico e paziente è sempre più mediato dalla dimensione tecnologica, che tende a escludere gli spazi che devono essere riservati alla persona e che prevedono un coinvolgimento reciproco. Ciò inevitabilmente conduce a un senso di insoddisfazione da parte dei pazienti. Da questo punto di vista si dovrebbe essere grati alle questioni che pongono le MCA, in quanto contribuiscono a far meglio riflettere anche sui paradigmi della medicina convenzionale. È importante infatti mantenere una mente aperta ma, come qualcuno ha detto, non così aperta da disperdere i nostri cervelli.
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