Definizione coniata dallo studioso marxista di inizio Novecento R. Hilferding. Secondo Hilferding, la crescita delle grandi banche (avvenuta verso la fine del diciannovesimo secolo) ha segnato l’inizio di una nuova fase del capitalismo, in cui il potere economico è concentrato nelle mani di grandi istituzioni finanziarie. In tempi più recenti questa definizione è stata ripresa da più parti per indicare il tipo di capitalismo che caratterizza le società contemporanee: legato al mondo della finanza e della speculazione, viene spesso considerato una delle cause principali della crisi economica internazionale iniziata tra il 2007 e il 2008. Quando si parla di c.f. ci si riferisce in particolare alla concentrazione di potere e risorse nelle mani di pochi imprenditori, che possiedono le imprese industriali più importanti e imponenti, nonché al capitale bancario controllato da un numero esiguo di grandi istituti di credito. In un contesto in cui i settori del capitale industriale, commerciale e bancario (un tempo divisi) sono posti sotto il controllo dell’alta finanza, le principali industrie e banche nazionali e internazionali sviluppano un carattere monopolistico che genera una graduale riduzione della libera concorrenza. Uno dei fenomeni più rilevanti generato dal capitalismo finanziario è quello delle holding, vale a dire le compagnie finanziarie che possiedono le azioni di un elevato numero di banche e di imprese industriali e commerciali e in tal modo ne controllano le attività e i profitti. Grazie al loro peso economico, le holding riescono anche a esercitare una pervasiva influenza sulle scelte politiche ed economiche degli Stati all’interno dei quali operano. Il capitalismo finanziario viene spesso contrapposto al capitalismo industriale o produttivo (votato alla produzione di beni fisici e servizi).