Pollock, Jackson
Una pittura in cui il gesto nel comporre è importante quanto l’opera finita
Esponente della scuola di New York, sostenuto dall’eccentrica ereditiera Peggy Guggenheim, il genio ribelle e tormentato di Pollock utilizza tela e colori come nessuno prima di lui, attraverso una danza creatrice capace di svelare nuovi e fantastici mondi
Intorno al 1929 gli Stati Uniti conoscono un periodo di grave crisi economica, la Grande depressione. Per venire in aiuto agli artisti, il governo finanzia una serie di lavori che coinvolgono anche il giovane Jackson Pollock. Nato a Cody, nel Wyoming, nel 1912, era cresciuto tra i vasti spazi dell’Arizona e della California, dove aveva potuto conoscere l’arte rituale degli Indiani.
Nel 1929 Pollock si trasferisce a New York e comincia la sua avventura artistica. Scopre l’arte dei maestri messicani Diego Rivera, José Clemente Orozco, David Alfaro Siqueiros, che si esprimevano mediante grandi murales dai soggetti impegnati e dai colori squillanti. A questi, unisce l’esempio dei surrealisti (surrealismo), emigrati dall’Europa negli Stati Uniti per sfuggire alle leggi razziali. I surrealisti organizzavano bizzarre riunioni in cui cadevano in trance, un sistema per creare nella mente immagini simboliche facendo affiorare in superficie il proprio inconscio (argomento di grande interesse all’epoca, collegato alle ricerche di Gustav Jung sulla psicoanalisi). L’incontro con la ricca mecenate americana Peggy Guggenheim, la cui famiglia ha aperto molti importanti musei nel mondo, permette a Pollock di sperimentare in autonomia qualcosa di più personale e originale, superando la lezione del surrealismo.
Verso il 1947 Pollock si trasferisce a Long Island, fuori New York, in un ambiente tranquillo, adatto alla creazione artistica. Lì toglie la tela dal cavalletto e la sistema per terra. Con l’aiuto di un pennello o di un bastoncino, a volte con le dita, vi fa gocciolare sopra il colore preso dal barattolo di vernice, mentre lui vi salta intorno come un folletto ipnotizzato.
Questa tecnica insolita, chiamata dripping («sgocciolamento»), ha radici nella pittura automatica e spontanea surrealista. L’artista si pone davanti alla tela con un metodo che gli permette di liberarsi dalla razionalità e di diventare strumento dell’arte «perché – come egli stesso ha affermato – il dipinto ha una vita a sé. Io cerco solo di farlo nascere».
Un video lo ritrae al lavoro: guardandolo sembra che stia danzando, ma in realtà, attraverso il gesto, dà ‘voce’ ai materiali della pittura, il colore e la vernice.
Le sue opere sembrano un groviglio di fili multicolori dietro cui si intravede un universo misterioso e affascinante in cui perdersi. È un tipo di pittura in cui il gesto durante l’esecuzione è importante quanto l’opera finita: per questo viene chiamato informale gestuale.
L’arte di Pollock nasce da una sintesi di culture antiche e moderne con cui il pittore è venuto a contatto. Per esempio: il gesto di Pollock nasce così spontaneo e veloce da far pensare che l’idea del quadro sia sempre stata dentro di lui, in attesa del momento giusto per emergere. L’attesa creativa è un concetto della filosofia orientale a cui Pollock, come molti altri artisti, si era interessato. La danza che accompagna il momento della creazione asseconda invece un ritmo interiore, un respiro dell’anima, appreso dagli Indiani Navaho, che disegnano sulla sabbia. Anche i titoli dei suoi quadri (Foresta incantata, Suoni nell’erba, Alchimia, Fosforescenza) rimandano a una sfera misteriosa, primitiva, diversa dall’ambiente in cui vive: alla New York frenetica e moderna l’artista oppone un mondo magico, fatto di simboli, come l’arte degli Aztechi e dei Maya, le popolazioni indigene americane che si estinsero con la colonizzazione dell’America.
Pollock è anche un uomo del suo tempo. Proviamo a seguire con lo sguardo una linea in un suo dipinto. Ci accorgeremo del ritmo libero e irregolare, simile a quello della musica jazz che egli amava ascoltare e che all’epoca aveva grande successo nei locali notturni.
La danza di Pollock si interrompe a New York a soli 44 anni (nel 1956), a causa di un incidente stradale provocato da abuso di alcolici.