vertigine
vertìgine s. f. [dal lat. vertigo -gĭnis, che aveva anche il sign. di «capogiro», spec. nella locuz. vertigo capĭtis, parallela all’ital. «giramento di testa»]. – 1. ant. o letter. Rivolgimento in senso circolare, rotazione, soprattutto di corpi celesti: nugole, le quali si scorgerebbero muoversi di moto velocissimo, grande e costante, portate dalla v. diurna della terra (Galilei); più raram. d’altre cose: o rondinelle ... vorrei avere tutto il dì, mentre sto curvo sui libri, negli occhi intenti ad altro, la v. d’ombra del vostro volo! (Pascoli). 2. In medicina, disturbo della sensibilità spaziale, consistente nella penosa sensazione di spostamento del corpo rispetto all’ambiente o dell’ambiente rispetto al corpo: v. oggettive e soggettive, a seconda che siano accompagnate o no dalla sensazione dello spostamento degli oggetti contenuti nel campo visivo. Nell’uso com., per lo più al plur.: avere le v.; provocare, far venire le v.; a guardare in giù mi vengono le v.; e per indicare il disturbo abituale: soffrire di vertigini. Frequente in senso estens. e fig.: altezze che fanno venire le v., altezze immense; a una velocità che dà le v., grandissima (cfr., per l’uno e per l’altro uso, vertiginoso); prezzi, numeri, cifre che fanno venire le v., grandissimi, sbalorditivi; hai le v.?, a chi dice cose strampalate, lo stesso ma meno com. che «hai le traveggole?».