varcare
v. tr. [lat. varĭcare; v. valicare1] (io varco, tu varchi, ecc.). – 1. Valicare, oltrepassare: v. i monti, v. un passo; v. il mare; queste Rupi ch’io varco anelando (Foscolo). Con usi più proprî e caratteristici: v. l’uscio, la soglia; v. il confine; e fig.: v. i limiti (della convenienza, della sopportazione, della pazienza), eccederli; superare un’età: ha già varcato la sessantina. 2. letter. o ant. a. Di elemento costruttivo che passa da una parte all’altra: un sasso che da la gran cerchia Si move e varca tutt’i vallon feri (Dante), lo scoglio che attraversa le bolge; uno stretto ponte varca il burrone. b. Passare oltre, procedere, usato assol.: Dietro al mio legno che cantando varca (Dante), sottint. il mare; o semplicem. passare: O sommo Giove per noi crucifisso, Che chiudesti la porta onde si varca Per ire al fondo dello oscuro abisso (Pulci). c. Con compl. di persona, trasportare all’altra parte, traghettare: notte solamente e sonno ed ombre Han qui ricetto, e non le genti vive, Cui di varcare al mio legno non lece (Caro), che la mia barca non può traghettare. d. Passare oltre una persona: Perch’io varcai Virgilio, e fe’mi presso (Dante). e. Come intr., del tempo, trascorrere: il primo lustro a pena era varcato Dal dì ch’ella spogliossi il mortal velo (T. Tasso).