tuonare
(meno com. o pop. tonare) v. intr. [lat. tŏnare, di origine onomatopeica, cui corrispondono forme affini in altre lingue indoeuropee] (io tuòno, ecc.; il dittongo mobile è sempre più raro, e le forme con -uo- sono oggi preferite anche fuori d’accento, con eccezione del part. pres., letter., tonante: tuonava, tuonò, ecc. piuttosto che tonava, tonò, ecc., anche nell’uso pop.; aus. avere, e nelle forme impers. anche essere). – 1. Prodursi il fragore del tuono; in costruzione impersonale: senti come tuona!; si sentiva tuonare in lontananza; è (o ha) lampeggiato e tuonato per tutta la notte; tanto tuonò che piovve, frase scherz., che si usa ripetere quando si vede avere effetto qualche cosa lungamente attesa o preannunciata o minacciata. In costruzione personale (letter.), produrre il tuono: Parrebbe nube che squarciata tona (Dante); L’ira del ciel, quando ’l gran Gïove tona (Petrarca); con accezione più partic.: Da quella regïon che più sù tona (Dante), la parte più alta dell’atmosfera dove si formano i tuoni. 2. estens. Scoppiare con fragore, rimbombare: il cannone continuava a t.; i soldati avanzarono sotto il t. delle artiglierie; un tonar di ferree canne, Che rimbomba lontan di villa in villa (Leopardi); il malleo domator del bronzo Tuona dagli antri ardenti (Foscolo); iperb.: Tuona per l’aria la nodosa trave (T. Tasso), l’asta ferrata scagliata da Goffredo. Della voce, e di altri suoni, risuonare con forza: si sentiva t. la sua voce nell’aula (v. anche tonante); prendemmo le mosse Con un chiocco di frusta e un gran sagrato Che tuonò da cassetta (Giusti); in usi fig., letter.: Veggio a molto languir poca mercede, E già l’ultimo dì nel cuor mi tuona (Petrarca), si fa sentire con forza. Più com., con soggetto di persona, parlare o inveire con veemenza: Demostene tuonava contro Filippo; il Savonarola tuonava dal pulpito contro il malcostume generale.