tamarindo
s. m. [dall’arabo tamr hindī «dattero indiano»]. – 1. Albero delle leguminose cesalpinioidee (Tamarindus indica) originario dell’Africa orientale tropicale, diffuso poi con la coltura in Arabia, India, Cocincina e anche nelle Antille: può raggiungere quasi 30 m di altezza, ha chioma folta, foglie paripennate con foglioline numerose, oblunghe, fiori in grappoli, zigomorfi con 3 petali sviluppati, porporini con screziature gialle e rosse, e frutto indeiscente. 2. Il frutto della pianta, lungo una decina di centimetri, diritto o leggermente curvato, più o meno cilindrico: ha epicarpio crostoso, fragile, bruno rossastro, mesocarpio polposo, bruno, percorso da fasci di fibre, endocarpio in forma di loggette cartilaginee, ognuna con un seme, che è appiattito, durissimo, bruno lucente. Si adopera la polpa dei frutti, che si presenta bruno-scura o rossastra e contiene varî acidi (citrico, tartarico, malico) e loro sali, zuccheri, pectina, ecc.: è usata come leggero lassativo in varie preparazioni farmaceutiche (polpa depurata, infuso, conserva), e in forma di estratto o di sciroppo per preparare bibite dolci-acidule, rinfrescanti. Nell’uso corrente il nome è dato soprattutto alla polpa del frutto, all’infuso, all’estratto, allo sciroppo e alla bibita che se ne ottiene: una bottiglietta di t.; un bicchiere di t., o assol. un tamarindo.