sconcio
scóncio agg. e s. m. [der. di sconciare]. – 1. agg. (pl. f. -ce, raro -cie) Brutto, ripugnante, che offende la vista o il senso estetico: uno s. animale; una s. costruzione; La vostra s. e fastidiosa pena [la scabbia con cui sono puniti i falsatori di metalli] Di palesarvi a me no vi spaventi (Dante); la donnaccia, di s. grossezza e violentemente imbellettata, è già ubriaca (Pirandello). Più spesso, indecente in senso morale, turpe, osceno: uno s. individuo; fare atti s.; dire parole s. e triviali; un libro, uno spettacolo s.; una storiella s. e di pessimo gusto; Dante in una corte ripulita e delicata ... non avrebbe adoprato tante rozze e sconce espressioni (Alfieri). Anticam., con senso più generico, eccessivo, smodato: dimenticato a qual partito gli avesse lo s. spendere altra volta recati (Boccaccio); sconveniente, inopportuno: voi direte poi, non si poter dir cose più sconcie di quelle del sig. Galileo (Galilei). 2. Sostantivato con valore neutro, cosa o situazione che suscita un sentimento di condanna e disgusto, riprovevole sotto l’aspetto morale, estetico o del funzionamento: che sconcio questi spettacoli, queste strade così sporche, questo sperpero del pubblico denaro!; bisognerebbe eliminare lo s. delle raccomandazioni, dei favoritismi; è uno s. che non si può più tollerare. Nell’uso ant., fastidio, disagio, grave incomodo: infino a tanto che tempo venisse nel quale essi, senza danno o s. di loro, questa vergogna ... si potessero torre dal viso (Boccaccio); le cerimonie sono di grande s. alle faccende, e di molto tedio (Della Casa). ◆ Avv. sconciaménte, in modo sconcio, senza rispetto della decenza, della dignità, del decoro: parlare, esprimersi sconciamente; essere sconciamente vestito, atteggiato.