paradosso1
paradòsso1 agg. e s. m. [dal gr. παράδοξος, comp. di παρα- nel sign. di «contro» e δόξα «opinione»; come sost., dal gr. παράδοξον (neutro sostantivato), lat. paradoxum]. – 1. agg. Che va contro l’opinione o contro il modo di pensare comune, e quindi sorprende perché strano, inaspettato. Il termine è oggi usato quasi esclusivam. nel linguaggio medico, riferito a fenomeno o reazione che si svolge in senso opposto a quello che in linea di massima dovrebbe avvenire: disfagia p., la disfagia che ostacola la deglutizione dei liquidi e non dei solidi; iscuria p. (v. iscuria); ma anche, più genericam., stanchezza p., sonno p., e sim.; per effetto p., o paradossale, in biologia, v. paradossale. 2. s. m. Affermazione, proposizione, tesi, opinione che, per il suo contenuto o per la forma in cui è espressa, appare contraria all’opinione comune o alla verosimiglianza e riesce perciò sorprendente o incredibile, oppure determina situazioni di incertezza o di indecidibilità. a. Nel linguaggio filos. e scient. il termine, usato già anticam. dagli stoici per designare quelle tesi, spec. relative all’etica, che apparivano contrastanti con l’esperienza comune (per es., che il dolore non fosse un male), è oggi adoperato per indicare una dimostrazione che, partendo da presupposti riconosciuti validi, giunge a conclusioni che o semplicemente contrastano con il senso comune, o sono smentite dall’evidenza empirica, o, infine, risultano intimamente contraddittorie: in generale, la ricerca di una soluzione a tali problemi può comportare una revisione dei presupposti (e quindi un progresso della conoscenza), un’analisi critica del metodo di dimostrazione (per accertare, per es., che la contraddizione è solo apparente), o la constatazione della fallacia del senso comune. In fisica, sono detti paradossi varî enunciati e argomenti, tra i quali: p. idrostatico, consistente nel fatto che, se in recipienti di forme diverse ma di uguale base è contenuto un liquido che raggiunge in tutti la medesima altezza, la forza che si esercita sulla base dei recipienti è la stessa, pur essendo diversa la quantità (e quindi il peso) del liquido sovrastante (l’apparente contraddizione si risolve tenendo conto, nel computo delle forze, anche delle reazioni esercitate dalle pareti dei recipienti); p. di Olbers (dal nome dell’astronomo ted. H. W. Olbers, 1758-1840), per il quale, partendo dall’ipotesi che l’universo sia statico e infinito nel tempo e nello spazio, e che la distribuzione delle stelle (o delle galassie) sia uniforme, si è costretti a concludere, in contrasto con l’esperienza, che il cielo notturno dovrebbe apparire intensamente e uniformemente illuminato (l’ipotesi di partenza si rivela errata, essendo invece l’universo in espansione, come si scoprì successivamente); p. degli orologi, nella teoria della relatività (v. orologio, n. 6 b). Nella storia della matematica e della logica, sono stati formulati numerosi paradossi (o antinomie), a partire da quelli classici di Zenone di Elea (sec. 5° a. C.), consistenti in argomenti per assurdo contro l’esistenza del movimento e della molteplicità (e risolvibili sulla base delle concezioni aristoteliche, nonché di alcune nozioni della matematica moderna); p. dell’infinito, quelli risultanti da un primo esame del concetto matematico di infinito attuale, già individuati da Galilei (in partic., la constatazione della possibilità di porre un insieme infinito, quale quello dei numeri naturali, in corrispondenza biunivoca con una sua parte, per es. con l’insieme dei quadrati: entrambi gli insiemi sono infiniti, ma il primo sembra essere molto più numeroso dell’altro), poi affrontati sistematicamente da B. Bolzano (1781-1848), e risolubili quando si distinguano rigorosamente le proprietà degli insiemi infiniti da quelle degli insiemi finiti, il che avvenne definitivamente nella teoria degli insiemi di G. Cantor (1845-1918); di maggior rilievo, perché hanno determinato una revisione dei sistemi logici, sono quelli scoperti o affrontati all’inizio di questo secolo, generalm. suddivisi in p. linguistici (o semantici) e p. logici, i primi caratterizzati dal coinvolgimento di concetti quali quelli di verità, significato, definizione, ecc., e in genere risolvibili con il ricorso alla distinzione tra linguaggio e metalinguaggio (per es., il p. del mentitore, v. mentitore), gli altri relativi alla teoria degli insiemi e alle sue implicazioni logico-matematiche (per es., il p. di Russell, che può essere così enunciato: «l’insieme di tutti gli insiemi che non comprendono sé stessi come elemento comprende o no sé stesso come elemento?»; si verifica che, se tale insieme comprende sé stesso, allora non comprende sé stesso, e viceversa). b. Nella psicologia del comportamento, si indica con p. pragmatico un tipo di messaggio contraddittorio con il quale, in particolari contesti relazionali, una persona influenza profondamente il comportamento di un’altra (legata alla prima da vincoli affettivi o, comunque, da essa psicologicamente dipendente), e che consiste nel richiedere, a un certo livello della comunicazione, un’azione che contemporaneamente si vieta a un diverso livello (è tale, per es., la richiesta «sii spontaneo»). c. In senso più generico, affermazione vera o falsa, ma comunque presentata in forma tale da sorprendere il lettore o l’uditore, spesso per desiderio, da parte di chi la enuncia, di apparire eccentrico, stravagante: filosofo, scrittore amante dei p.; i p. di Oscar Wilde. d. estens. Fatto, comportamento, circostanza difficili da credere o da comprendere, contraddittorî, assurdi: questa situazione è un vero p.; tutta la sua vita è stata un paradosso. 3. s. m. Con sign. storico-letterario, narrazione di fatti meravigliosi, straordinarî, della natura e della storia, in uso nell’età ellenistica (cfr. paradossografia).