ozio
òzio s. m. [dal lat. otium]. – 1. a. In genere, astensione dall’attività, dalle occupazioni utili, per un periodo più o meno lungo o anche abitualmente, per indole pigra o indolente: stare in o., non far niente; trascorrere le ore nell’o.; poltrire, languire nell’o.; consumare la vita nell’o.; amare, fuggire l’o.; darsi, abbandonarsi all’o.; Chi nel diletto de la carne involto S’affaticava e chi si dava all’o. (Dante); vivere in un o. inutile, torpido, inerte, vile, vergognoso, ignobile, indegno. Talora personificato: L’Ozio da un canto corpulento e grasso, Da l’altro la Pigrizia in terra siede (Ariosto); e così nel noto prov. l’o. è il padre dei vizî. b. Con senso attenuato e più obiettivo, inattività, inoperosità, anche non voluta (per mancanza di un lavoro, o perché costretti da altre cause): esser costretto all’o.; una noiosa infermità lo condannava a un o. forzato; tenere in o., lasciare nell’o. qualcuno, non dargli nulla da fare, non impegnarlo nel lavoro. Fig., tenere in o. qualche cosa, non adoperarla, non servirsene: tenere in o. la penna, gli arnesi, l’automobile, ecc.; scherz., tenere in o. il cervello, lasciarlo inattivo, astenersi dai lavori intellettuali consueti. 2. Con sign. più vicini a quelli che il termine aveva in latino, dove otium era il tempo libero dalle occupazioni della vita politica e dagli affari pubblici (cioè dai negotia), che poteva esser dedicato alle cure della casa, del podere, oppure agli studî (donde la parola passò a indicare gli studî stessi, l’attività letteraria): a. Periodo di quiete, di riposo, più o meno prolungato e gradito, che interrompe le abituali fatiche: l’o. pomeridiano, l’o. della siesta; anche al plur.: gli o. delle meritate vacanze; nei miei o. in campagna mi diletto a leggere, a scrivere, a dipingere; quanto m’è stato licito dall’altre mie faccende usurpare otio, tutto lo ho conferito a ricercare apresso gli antichi scrittori qual precepti abbino lasciati (L. B. Alberti); queste dipinte mura, Quei figurati armenti, e il Sol che nasce Su romita campagna, agli ozi miei Porser mille diletti (Leopardi). In partic., al plur., la vita spensierata e lussuosa consentita dall’agiatezza economica: essendo io negli agi e negli ozii ne’ quali voi mi vedete (Boccaccio); il muggito de’ buoi Che dagli antri abdüani e dal Ticino Lo fan d’ozj beato e di vivande (Foscolo). Sempre al plur., in usi letter., l’abbandono a una vita molle, di agi e di piaceri: gli o. di Capua, quelli cui si sarebbero dati in Capua, quartier generale di Annibale nell’inverno 216-215 a. C., i suoi soldati, provocando così un indebolimento dell’esercito. Un ironico gioco di parole tra il sign. moderno e il sign. classico del vocabolo si ha nei versi del Parini: Se in mezzo a gli ozi tuoi ozio ti resta Pur di tender gli orecchi a’ versi miei (Mattino, 14-15), dove il primo ozi allude alle molli occupazioni a cui è dedicata la giornata del Giovin Signore, il secondo ozio significa tempo libero da dedicare alla poesia del Parini. b. fig., poet. Con riferimento alla natura, quiete, riposo: nell’alto Ozio dei campi (Leopardi).