ostia
òstia s. f. [dal lat. hostia «vittima»]. – 1. letter. a. Presso i popoli antichi, la vittima offerta in sacrificio alla divinità; per estens., il sacrificio stesso: Era Laocoonte a sorte eletto Sacerdote a Nettuno; e quel dì stesso Gli facea d’un gran toro ostia solenne (Caro). b. Con sign. più generico, vittima, in senso proprio e fig.: Si fan guerra i mortali, e alla divina Libertà danno impuri ostie di sangue (Foscolo); cruenta al suolo Gittando Alberto l’itala corona Ostia sé diede a l’ira alta de’ cieli (Carducci). c. Nel linguaggio eccles., Gesù Cristo, in quanto offertosi come vittima sacrificandosi sulla Croce per espiare i peccati dell’umanità: Cessan gl’inni e i misteri beati, Tra cui scende, per mistica via, Sotto l’ombra de’ pani mutati L’ostia viva di pace e d’amor (Manzoni). 2. Per diretta derivazione dal sign. prec., il sottile disco di farina di frumento (impastata con acqua naturale e cotta al forno) che il sacerdote consacra nel sacrificio della messa: l’offerta, l’elevazione dell’o.; esposizione dell’o., nell’ostensorio. Modo pop.: non esser farina (o pasta) da far ostie, con riferimento a persona che non sia proprio uno stinco di santo. Ostia!, esclam. blasfema, in uso soprattutto nell’Italia settentr., spesso sostituita con le forme eufemistiche osteria, ostrega. 3. Per estens., sottile sfoglia di fior di farina, di forma circolare o quadrata (detta anche cialda), usata spec. per facilitare la deglutizione di polveri medicamentose e, nel passato, anche per sigillare lettere.