omeoteleuto
omeotelèuto (o omoiotelèuto, meno corretto omotelèuto) agg. e s. m. [dal lat. homoeoteleuton, s. neutro, gr. ὁμοιοτέλευτον, comp. di ὁμοιο- «omeo-» e τελευτή «fine, compimento»]. – 1. agg., non com. Che ha la stessa desinenza: tiritere isosillabiche e omeoteleute (Pascoli). 2. s. m. Nella retorica greco-romana, artificio consistente nella terminazione uguale, sia per valori fonici (rima o assonanza) sia per valori metrici o ritmici (uguale clausola), di membri del periodo simmetricamente contrapposti (uso continuatosi nel medioevo col nome di similiter cadens); per es.: non modo ad salutem eius extinguendam, sed etiam gloriam per tales viros infringendam (Cicerone, Pro Milone II, 5); a te petatur, in te quaeratur, ad te pulsetur; sic, sic accipietur, sic invenietur, sic aperietur (Agostino, Confessiones XIII, 38). Nella critica testuale, il termine indica genericam. qualsiasi ripetizione di parole uguali o simili alla fine di righe diverse, o vicinanza di parole di uguale terminazione nella stessa riga del testo, in quanto abbia provocato omissioni o salti di trascrizione da parte del copista.