oblio
oblìo (non com. obblìo) s. m. [der. di obliare], letter. – 1. a. Dimenticanza (non come fatto momentaneo, per distrazione o per difetto di memoria, ma come stato più o meno duraturo, come scomparsa o sospensione dal ricordo): Passa la nave mia colma d’oblio (Petrarca); involve Tutte cose l’obblio nella sua notte (Foscolo); Un oblio lene de la faticosa Vita, un pensoso sospirar quïete, ... L’anime invade (Carducci); lungo, profondo o.; persone, cose destinate o condannate all’o.; mettere, porre, lasciare in o.; coprire d’o.; cadere, giacere, rimanere nell’o., in o.; trarre dall’o.; sottrarre all’o.; fiume dell’o., nella mitologia classica, il Lete, uno dei fiumi del mondo dei morti, le cui acque cancellavano ogni ricordo in chi vi si immergeva. b. Con accezione specifica, in psicologia, processo naturale di perdita dei ricordi per attenuazione, modificazione o cancellazione delle tracce mnemoniche causato, genericamente, dal passare del tempo tra l’esperienza vissuta e l’atto del ricordo, e, più specificamente, da ciò che ha avuto luogo psichicamente in tale tempo. In questo secondo senso, l’oblio è visto, nella tradizionale interpretazione della psicologia generale, come frutto di un progressivo indebolimento dei depositi mnesici, nella teoria psicanalitica come risultato di un processo difensivo di rimozione contro l’emergere di contenuti di memoria sgraditi. 2. Per estens., sopore, assopimento o altra condizione che induce dimenticanza: Ma ’l sonno, che de’ miseri mortali È co ’l suo dolce oblio posa e quiete, Sopì co’ sensi i suoi dolori (T. Tasso).