fallare
v. intr. [lat. tardo fallare (in glosse), per il class. fallĕre «ingannare» (nel medio passivo «ingannarsi, sbagliare»)] (aus. avere). – 1. Sbagliare, peccare: se ’n ciò fallassi, Colpa d’Amor, non già defecto d’arte (Petrarca); posso aver fallato (Manzoni); anticam. anche con la particella pron. in funzione rafforzativa (cfr. l’uso analogo di sbagliarsi): Sì ch’è forte a veder chi più si falli (Dante). È dell’uso letter., salvo in alcuni prov.: chi non fa non falla; chi fa falla e chi non fa sfarfalla; chi assai ciarla spesso falla; chi falla in fretta piange adagio; fallando (più com. sbagliando) s’impara; e in alcuni modi di dire: se il conto non falla; il mio orologio non falla, e sim. 2. ant. o letter. Mancare, venir meno: li ciechi a cui la roba falla (Dante). Dei semi delle piante, non germinare (cfr. fallanza). ◆ Part. pass. fallato, usato come agg., di tessuto o altro che presenta una fallatura: scampolo fallato, vaso di cristallo fallato.