eco
èco (ant. ècco) s. f. o m. [dal lat. echo, gr. ἠχώ] (pl. echi, unicamente masch.). – 1. a. Fenomeno acustico per il quale un suono, riflettendosi contro un ostacolo, torna a essere udito nel punto in cui è stato emesso, nettamente separato dal suono che lo ha provocato e tanto più distintamente avvertito quanto più l’ostacolo è distante (purché naturalmente non lo sia tanto da rendere il suono, per fenomeni di assorbimento, difficilmente percepibile); più genericam., tutto ciò che l’orecchio sente per riflessione, dopo averlo udito direttamente: gli e. del monte; sentire, ascoltare l’e.; l’e. ripeteva le ultime sillabe; e. doppia, tripla; svegliare gli e. della valle, del monte, ecc., farvi risuonare voce o rumore; ant. sott’eco, a bassa voce, in modo cioè da non suscitare l’eco. b. estens. Ripetizione di un passo musicale con minore intensità di suono, talvolta con altri strumenti e in altra altezza. c. Fenomeno, analogo a quello acustico, che si verifica per altri tipi di propagazione di energia per onde; per es., nei radiocollegamenti, il fenomeno per cui uno stesso segnale viene captato una prima volta direttamente e poi riflesso da superfici circostanti l’antenna ricevente (segnali di eco o, semplicemente, echi); nella ricezione radiotelevisiva si determinano allora suoni o immagini spurie (immagini d’eco), queste ultime regolarmente sfalsate nei confronti delle immagini principali; camera d’eco, dispositivo atto a simulare un mezzo trasmissivo che dia luogo a eco; consente di effettuare le stesse prove, che, con maggiore difficoltà, potrebbero effettuarsi disponendo a distanza opportuna una superficie o un corpo riflettente; soppressore d’eco, dispositivo usato nei circuiti telefonici a 4 fili a grande distanza e nei ponti radio bidirezionali per sopprimere i segnali di eco, genericamente dotati di proprietà direzionali in modo da impedire la propagazione di segnali che viaggino in direzione opposta a quelli dei segnali principali, cioè nella direzione di propagazione degli echi. 2. Usi fig.: a. Ripetizione intenzionale di suoni o voci da parte di persone, nelle espressioni fare l’e., ripetere per burla le ultime parole o sillabe proferite da altra persona; fare e. a qualcuno, ripetere quanto egli dice, acconsentire alle sue affermazioni e ai suoi giudizî ripetendone le parole; farsi l’e. di qualcuno, ripeterne pedissequamente le idee e le parole, anche senza intenderle. b. Séguito, reminiscenza, imitazione: la poesia petrarchesca ha avuto lungamente eco nella lirica italiana dei secoli successivi; o reazione, risonanza, rispondenza a particolari fatti o sollecitazioni (spec. nelle locuz. avere, trovare eco): le mie parole, per quanto dettate da un sincero affetto, ebbero (o destarono) in lui scarsa eco; il grave episodio ha avuto immediatamente eco in parlamento; il discorso del sindacalista ha avuto larga (o vasta) eco di consensi nell’opinione pubblica; anche, strascico di commenti, dicerie, pettegolezzi: è stato un matrimonio, o un divorzio, che ha destato molta eco. 3. È usato talora come titolo di giornali e periodici: L’eco d’Italia, L’eco dei tribunali, e sim. Come termine giornalistico, echi di cronaca, brevissime informazioni sulla vita cittadina, sui trattenimenti, spettacoli, ecc., o anche notizie, avvisi pubblicitarî e sim.; echi della stampa, rubriche che passano in rassegna le opinioni di altri giornali su determinati argomenti (L’eco della stampa è inoltre denominazione di un’agenzia di estratti da giornali e riviste, a pagamento da parte degli abbonati). 4. Genere di componimento poetico (detto anche componimento ecoico, poesia ecoica) in cui le ultime parole del verso vengono ripetute per dare risposta a una interrogazione contenuta nel verso stesso; per es., in Poliziano: «Che fai tu, Eco, mentre io ti chiamo? Amo. / Ami tu duo oppur un solo? Un solo. / Ed io te sola, e non altri, amo. Altri amo».