duende
s. m. inv. Fascino ammaliatore, talvolta venato di tristezza e inquietudine; estro ispiratore, creativo. ◆ Il «duende» ha perso Gades ma Gades - Antonio Esteve Ródenas in arte Gades, così come lo ribattezzò la sua prima, grande maestra Pilar López, nato ad Elda, vicino ad Alicante, 68 anni fa - non ha mai perso il sacro demone del cante hondo, il seme e il frutto di quella filosofia flamenca e aflamencada della Danza e dell’Arte tout court. (Carmelita Celi, Sicilia, 21 luglio 2004, p. 28, Spettacoli) • Dopo aver iniziato a cantare a sette anni, a quindici [Estrella Morente Carbonell] diventa la rivelazione delle feste di Granada e a venti arriva al suo primo disco, Mi cante y un poema. «Il duende, l’ispirazione - racconta - mi sono arrivati in molti modi: da mia madre, da mio padre, dagli zii e dal quartiere della mia città; perfino da mia nonna che, a diciassette anni, era la prima ballerina di Pepe Marchena. Ma fu mio nonno, Montoyita, che suonava con Manolo Caracol e Lola Flores, a dirmi che ero destinata a cantare e non a ballare. Ricordo che ci mettevamo nella sala di casa e lui suonava la chitarra per accompagnarmi». (Andrea Morandi, Repubblica, 16 ottobre 2007, Milano, p. XVI) • Il suo [di Leslie Feist] motto, una parola spagnola, duende, presa in prestito da [Federico] García Lorca. «Una poesia che racconta di una bellissima donna che sale in scena e canta. Ha una voce perfetta, non sbaglia una nota, ma il poeta non si commuove. Poi arriva una donna vecchia, che sul viso ha i segni della vita che ha vissuto, non è perfetta, ma quando canta è quello che canta. Duende è questo, il sangue, l’essenza dell’arte, la verità emotiva». (Paola De Carolis, Corriere della sera, 27 maggio 2008, p. 43, Spettacoli).
Dallo spagn. duende.
Già attestato nella Repubblica del 9 marzo 1993, p. 28 (Leonetta Bentivoglio).