donna
dònna s. f. [lat. dŏmĭna «signora, padrona», lat. volg. dŏmna]. – 1. a. Nella specie umana, l’individuo di sesso femminile, soprattutto dal momento in cui abbia raggiunto la maturità anatomica e quindi l’età adulta: una giovane d., una d. anziana; non è ancora una d. (non ha ancora raggiunto la pubertà); è già una d.; si dà arie da d. o da d. fatta; frequente in frasi di apprezzamento: una bella d., una d. affascinante, piacente, elegante, di classe, di spirito, una vera donna. Si contrappone a uomo in espressioni come: voce di donna; scarpe, abiti, borse, orologi da donna (nelle quali si alterna, spesso con da signora o con l’agg. femminile); il carattere, la sensibilità, l’intuito della d., ecc., dove il sing. donna ha in genere valore collettivo, ch’è ancora più marcato quando donna viene assunto a rappresentare l’intera componente femminile della società: i diritti della d.; l’emancipazione della d.; i movimenti per la liberazione della donna. b. Con sign. più ristretto: la mia d., mia moglie (cfr. Dante, Par. XV, 137: Mia d. venne a me di val di Pado), oppure la mia compagna, la donna amata; fam., le mie d., le donne che fanno parte della mia famiglia; con senso sim., anche le d. di casa, distinto da una d. di casa, che accudisce da sé alle faccende domestiche, o si occupa solo della casa e della famiglia (oppure, che è portata per i lavori di casa). c. Per antonomasia, nella famiglia, la donna, la persona di servizio (variamente indicata, in successione di tempo, nel linguaggio ufficiale e sindacale: domestica, collaboratrice domestica o familiare, ecc.); meglio determinata, d. di servizio, in senso generico, d. a mezzo servizio, assunta solo per poche ore della giornata, d. a tutto servizio, assunta stabilmente nella famiglia; d. a ore, che viene retribuita secondo il numero di ore di lavoro che svolge; d. tuttofare, che fa tutti i servizî, anche se non viene assunta stabilmente. S’intende sempre la domestica nelle frasi: trovare la d., prendere o assumere una d., licenziare la d., e sim. d. Nel linguaggio teatrale, prima d. (anche unito, primadonna), l’attrice cui viene affidata la parte più importante (in senso fig., fare la prima d. – riferito anche a uomini, e spec. a persone che ricoprano cariche pubbliche o svolgano attività importanti o godano per altri motivi una certa notorietà –, voler primeggiare, cercare con ogni mezzo di essere al centro dell’attenzione, e mostrar di gradire non solo il successo ma anche le forme con cui questo viene tributato); nel circo e nei baracconi di fiera, d. cannone, donna di proporzioni e di peso eccezionali che costituisce uno dei numeri di attrazione. e. Con accezioni partic.: d. di mondo, che frequenta ambienti mondani e ne conosce gli usi, gli aspetti e i difetti, in passato, cortigiana; d. pubblica, d. di strada o di giro o di marciapiede, d. di malaffare, d. di mala vita, prostituta; ha spesso lo stesso sign. anche buona d., spec. nella espressione offensiva figlio di buona d. (in altri casi, buona d. ha il senso proprio: è veramente una buona d.; in passato anche come forma allocutiva: ehi, dite, buona donna!). Di uomini, andare a donne, andare in cerca di facili avventure amorose. f. Proverbî (tradizionali, ma ormai di poca attualità): chi disse donna disse danno; donne e buoi dei paesi tuoi; chi vuol vivere e star sano, dalle d. stia lontano; le d. ne sanno una più del diavolo, ecc. 2. a. Nell’uso ant. e letter., signora (nei due sign. che ha oggi la parola e che aveva domina in latino; nei sec. 13° e 14° donna è il femm. corrispondente a signore): fattosi innanzi, disse: – Signori e donne, come voi sapete ... (Boccaccio); quindi anche padrona: io t’avrò sempre cara, e sempre ... sarai d. della casa mia (Boccaccio); come vocativo o appellativo della Vergine: Donna, se’ tanto grande e tanto vali (Dante); Nostra D. (cfr. Madonna). Anche nel senso di dominatrice: Non donna di provincie, ma bordello (Dante, con riferimento all’Italia); la cittade [Roma] La qual fu d. de’ mortali un tempo (Leopardi); con sign. sim., fig.: Torna deh! torna al suon, d. dell’arpa (Foscolo). In altri casi, con il sign. che oggi ha dama: Le d., i cavallier, l’arme, gli amori (Ariosto); tale sign. si conserva nei composti gentildonna, nobildonna. b. Titolo di riguardo che si antepone al nome delle nobildonne (analogam. al maschile don) o delle consorti di persone che ricoprono alte cariche pubbliche; nell’Italia merid., viene attribuito anche a donne di umile condizione: d. Carmela, d. Rosa. 3. Nel gioco delle carte, ognuna delle quattro figure che rappresentano una dama: d. di cuori, d. di quadri, d. di fiori, d. di picche. 4. Nel gioco degli scacchi, il pezzo, detto anche regina, che ha la maggiore possibilità di movimento sulla scacchiera e rappresenta quindi l’elemento più importante per la condotta del gioco. ◆ Dim. donnétta (talora anche spreg. o vezz.), donnina, o donnino m. (donna piccola e graziosa, fanciulla o giovinetta assennata; donnina allegra, spesso eufem. per donna di facili costumi; donnino si dice anche di uomo che sbrighi le faccende di casa). Dim. o spreg. donnùccia, donnicciòla (anche di uomo debole o chiacchierone); solo spreg. donnàccola (donna del volgo, pettegola), donnùcola (donna povera e in cattive condizioni), e donnàcchera (donna d’inferiori condizioni, sudicia o d’animo vile). Accr. donnóna, e donnóne m. (donna grossa e robusta). Pegg. donnàccia (donna cattiva d’animo o, più spesso, di pessimi costumi). ◆ In numerose espressioni consolidate nell’uso si riflette un marchio misogino che, attraverso la lingua, una cultura plurisecolare maschilista, penetrata nel senso comune, ha impresso sulla concezione della donna. Il dizionario, registrando, a scopo di documentazione, anche tali forme ed espressioni, in quanto circolanti nella lingua parlata odierna o attestate nella tradizione letteraria, ne sottolinea sempre, congiuntamente, la caratterizzazione negativa o offensiva.