compatire
v. tr. e intr. [dal lat. tardo compăti (comp. di con- e pati «patire») «sopportare, soffrire, insieme»] (io compatisco, tu compatisci, ecc.; come intr. aus. avere). – 1. a. Provar compassione verso persona che soffre e per le sue stesse sofferenze: è così perseguitato dalla sorte che non si può non compatirlo; gli piace farsi c.; vi compatisco, a chi espone i suoi mali, le sue disgrazie; prov., meglio essere invidiati che compatiti; come rifl. reciproco: sotto la stessa calamità, era qui un altro patire, per dir così, un altro languire, ... un altro compatirsi e soccorrersi a vicenda (Manzoni). b. Giustificare, scusare, considerare con benevola indulgenza: compatitemi se sbaglio; c. i difetti altrui; bisogna compatirli, sono ragazzi. Spesso indica un sentimento di pietà mista a disprezzo: vi compatisco, perché non sapete quello che dite; ti sei fatto proprio c.; come ti compatisco! c. Con l’uno o con l’altro sign., nell’uso letter. anche intr., con compl. di termine: non dovete pensare che io non compatisca all’infelicità umana (Leopardi); compatendo all’inesperienza dell’età (Carducci). 2. ant. Con uso trans. e più spesso intr., patire, soffrire insieme; essere partecipe dei dolori d’un altro.