causa
càuṡa s. f. [dal lat. causa; cfr. cosa]. – 1. a. Fatto o avvenimento che provoca un determinato effetto, che è origine o occasione di un altro fatto: l’umidità è c. di malattie; il contatto dei due fili è stato c. di un corto circuito; la tua lettera è c. per me di vera soddisfazione; c. prossima, remota; le c. della prima guerra mondiale; risalire dagli effetti alle cause. In partic., in filosofia: c. efficiente, che produce direttamente e attivamente il suo effetto; c. finale, il fine in quanto si presenta come causa di ciò che, orientandosi irresistibilmente verso di esso, è da esso praticamente determinato nel suo divenire; c. occasionale, che non produce direttamente l’evento, ma determina l’intervento della causa efficiente che propriamente lo produce. Nella logica, falsa c., sofisma materiale, indicato di solito con le frasi latine non causa pro causa e post hoc ergo propter hoc: consiste nell’affermare, senza sufficiente ragione, che una cosa è causa di un’altra (come quando si afferma che un fatto è causa di un altro soltanto perché lo precede nel tempo). Nel linguaggio filos. si usano inoltre le locuz. causa delle cause (più com. nella forma lat. causa causarum) e causa di sé (più com. nella forma lat. causa sui) riferite, rispettivamente, a Dio, e a ciò il cui essere non dipende da altra causa, ma ha la sua ragione ultima in sé medesimo (la divinità, o lo spirito, o la volontà in quanto libertà). b. Presupposto necessario perché una cosa possa avvenire; motivo, ragione: ho agito per una giusta c.; non si può far ricorso senza una c. legittima; dare causa, offrire l’occasione, il pretesto. Nel linguaggio giur. e sindacale, giusta c., circostanza che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, di un rapporto di lavoro tra imprenditore e prestatore d’opera: licenziamento per giusta causa. c. Riferito a persona che col suo agire provoca l’avverarsi di un fatto: sei stato tu la c. di tutti i nostri guai; prov., chi è c. del suo mal pianga sé stesso. d. Locuz. prepositive: a causa di, in conseguenza di: la pianta s’è seccata a c. del gelo (meno corretto c. il gelo); per causa di, per causa mia, tua, ecc., per colpa di ..., per colpa mia, tua, ecc.: hanno avuto molti dispiaceri per c. dei figli. 2. a. Nel diritto processuale, controversia portata davanti all’autorità giudiziaria: fare c., deferire le proprie ragioni a un tribunale; muovere, intentare c. contro uno; avere c. o essere in c. con qualcuno. Per estens., nell’uso com., lite, questione e sim.: c. pendente; c. sballata, non sostenuta da valide ragioni, che non ha probabilità di riuscita; causa persa o perduta; avvocato delle c. perse, chi, anche fuori del tribunale, si fa difensore di opinioni o di ragioni prive di buon fondamento: quel signor dottor delle c. perse (Manzoni). b. Usi fig.: dare c. vinta, cedere, dichiararsi sconfitto, rinunciare a continuare una discussione o sim.; chiamare in c. qualcuno, coinvolgerlo in una responsabilità, invitarlo a discolparsi, a rendere ragione di qualche cosa o, più semplicem., a discuterne; essere in c., essere parte in c., essere implicato in una questione: io sono parte in c. e non posso parlare; nessuno è buon giudice in c. propria, in cosa che lo riguardi direttamente; parlare con cognizione di causa, con perfetta conoscenza dell’argomento. 3. Insieme di diritti e di interessi (di un popolo, di una classe sociale, di un partito e sim.), per il cui trionfo si lotta: abbracciare la c. dei lavoratori, battersi per il trionfo dei loro diritti; tradire una c., abbandonarla, disertarla; avere o fare c. comune con qualcuno, unirsi per conseguire un medesimo scopo. 4. In statistica, il termine è usato per indicare l’antecedente o gli antecedenti, non sempre separabili e individuabili esattamente, cioè le circostanze che accompagnano un fenomeno non solo quando contribuiscano a determinarlo, ma anche quando siano indifferenti o addirittura contrastanti o di effetto non precisabile. 5. In grammatica, complemento di c., complemento che indica la causa, il motivo per cui qualcosa avviene o si fa (per es. «tremare per il freddo»; «morire di fame»; «urlare dal dolore»). Complemento di c. efficiente, quello che indica la cosa, il fatto da cui è provocata l’azione subita dal soggetto in una proposizione passiva (per es.: «il pagliaio è stato distrutto da un incendio»; «sono tormentato dall’artrite»; «fui sorpreso dalla sua apparizione»). 6. Cause pie: denominazione in senso proprio delle fondazioni pie o ecclesiastiche, ma estesa impropriamente a indicare tutti gli enti non collegiali sorti in seguito a specifiche disposizioni di volontà, per fini religiosi o di culto o di carità e riconosciuti dal diritto canonico come soggetti di diritto (o persone morali, oggi dette persone giuridiche). ◆ Dim. e spreg. cauṡétta.