MORICZ, Zsigmond (Sigismondo)
Romanziere e drammaturgo ungherese, nato il 30 giugno 1879 a Csécse. Fu dapprima impiegato ministeriale, e passò poi al giornalismo, diventando redattore della rivista letteraria Nyugat (Occidente).
M. rimane nelle numerose opere il poeta della sua razza magiara, della vita del suo popolo. La sua arte è legata per lo più a certi ambienti e personaggi tipici, determinati dalla vita soffocante del villaggio e della piccola città, vita che egli cerca spesso di caratterizzare con un crudo naturalismo erotico. I più notevoli lavori di tale genere sono i romanzi Sararany (Oro puro, 1910) e A galamb papné (La dolce moglie del predicatore, 1912). Questi romanzi rivelano il talento dell'autore nell'osservare il mondo con realismo obiettivo, privo di quell'esagerazione romantica nel disegno dell'ambiente, che si nota nelle sue prime opere, specie in Hét krajcár (Sette soldi, 1909). Più tardi M. preferisce scene piene di selvagge energie, di figure sottomesse alla forza irresistibile dell'istinto, come nel Kerek Ferkó (F. K., 1914), A fáklya (La fiaccola) e Isten háta mögöt (Ai confini del mondo, 1911).
Più spiccati pregi artistici hanno il romanzo idillico Pillangó (Farfarella, 1925), il romanzo storico Tündérkert (Il giardino incantato, 1922) e il commovente romanzo, ricco di poesia, di uno scolaro, Légy jó mindhálalig (Sii buono fino alla morte, 1923). Fra i romanzieri ungheresi contemporanei M. si distingue per il suo talento robusto e il temperamento appassionato, per la forza elementare di caratterizzare e di raccontare, e per il linguaggio puro e potente. Meno riuscite sono le sue opere drammatiche (A vadkan, Il cinghiale, 1927; Búzakalász, Spiga), ma molto successo ebbe la commedia Sári bíró (Il giudice S.).
Bibl.: N. Várkonyi, A modern magyar irodalom (La letteratura moderna ungherese); Pécs s. a., con ricca bibliografia; B. Halmi, M. Zs., az iró és az ember (S. M. lo scrittore e l'uomo), Budapest 1930.