vuoto
Nella definizione aristotelica (Fisica, IV, 1, 208b 26), ciò che si dà come totalmente privo di corpi; nella sua accezione di luogo e limite dell’esistente esso è strettamente correlato alla nozione di spazio (➔). Negato nella filosofia greca da Parmenide e dagli eleati, per i quali esso coincideva con il non-essere, per la tradizione pitagorica antica e per gli atomisti il v. è non solo esistente, ma principio ontologico degli enti; dialetticamente connesso al concetto di pieno, indica per gli atomisti lo spazio infinito (nel senso di indeterminato) interposto tra gli atomi e nel quale essi si muovono, costituendo il v. la condizione di possibilità dell’esplicarsi del moto atomico (framm. 67 A 1 Diels-Kranz). Aristotele confuta le posizioni degli atomisti nella discussione svolta nella Fisica (IV, 6-9), sostenendo nei capp. 7 e 8 che il movimento non implica il v., che anzi se effettivamente esistesse impedirebbe il movimento, come conferma l’analisi di spostamento di un corpo. Né sono validi gli argomenti che si fondano sull’esistenza del raro e del denso, né il moto dei gravi verso il basso. Nel v. ogni cosa è immobile, il v. deve quindi essere negato. Gli stoici concepirono il cosmo come assolutamente privo di v., relegando quest’ultimo ‘al di fuori del cielo’ (I frammenti degli stoici antichi, II, 534-546); in Lucrezio il v. è infinito e la sua esistenza è provata dal movimento, dalla penerabilità dei corpi, dalla loro diversità di peso a parità di volume (De rerum natura, I, 335-369). La filosofia scolastica accolse per lo più le argomentazioni aristoteliche, sintetizzando la propria posizione nel noto adagio Natura abhorret a vacuo. In età moderna l’adesione di Gassendi alle dottrine atomistiche condusse il filosofo ad accettare l’idea del v., respinta invece da Descartes in ragione della sua identificazione di estensione e sostanza corporea. L’esperimento di E. Torricelli, risalente al 1644, smentendo sperimentalmente l’horror vacui della natura, suscitò vivaci discussioni fra ‘vacuisti’ e ‘pienisti’, ovvero tra quanti ammettevano e quanti negavano la possibilità del vuoto. Il dibattito si estese naturalmente agli ambienti scientifici oltre che filosofici. Leibniz, pur non negando dal punto di vista logico la possibilità del v., ne sostenne l’inesistenza in virtù della sua idea di Dio e del mondo perfetto che questi avrebbe creato come perfezione che prevede l’esistenza di tutta la materia possibile. Pur ritenendo che esistenza o inesistenza del v. non siano verità analitiche, Kant sostenne l’inesistenza del v. in termini fisici nei Primi principi metafisici della scienza della natura (1786); la filosofia postkantiana è incline invece a non considerare quella del v. come una questione di rilevanza filosofica. Le discussioni sul v. entreranno quindi più propriamente nei dibattiti di fisica.