ZECCHIN, Vittorio
– Nacque a Murano il 21 maggio 1878, figlio di Luigi, chimico del vetro, e di Domenica Rumor (V. Z., 1878-1947, 2002, p. 307). Abbandonate le scuole tecniche cui lo aveva indirizzato la famiglia, nel 1894 s’iscrisse all’Accademia di Belle arti di Venezia; frequentò, tra gli altri, il corso speciale di ornato tenuto da Augusto Sezanne, conseguendo due volte il premio di fine anno. Ritiratosi dagli studi prima del diploma, nel 1903 lavorò per pochi mesi come impiegato presso il Municipio di Murano e in seguito come operaio in un’officina vetraria dell’isola.
Le prime opere pittoriche mostrarono l’avvicinamento alla corrente simbolista (Figura in meditazione, 1903), la cui diffusione a livello internazionale trovava riscontro nelle scelte espositive della Biennale di Venezia. Dalla manifestazione Zecchin trasse fondamentali motivi di riflessione a partire dall’edizione del 1905, in cui fu colpito dalla linea sinuosa dell’olandese Jan Toorop, oriundo dell’isola di Giava; nel 1910 la sala di Klimt si rivelò determinante non solo per la maturazione di una sensibilità decorativa di matrice secessionista, ma anche per la svolta verso le arti applicate. Né minore impatto dovettero esercitare gli interventi d’arte decorativa presso il Padiglione Pro Arte (dalle sale regionali del 1903 all’internazionale L’Arte del sogno del 1907, alle decorazioni di Galileo Chini del 1909 e del 1914). Filtrando gli stilemi klimtiani e coniugandoli al colore e alla luce propri della tradizione veneziana (Salomé, trittico, 1911-13), Zecchin realizzò composizioni dal linearismo sintetico e dal cromatismo acceso, immerse in ambientazioni fiabesche (Perla orientale, 1913).
Nel 1909 si presentò con alcuni dipinti alle collettive giovanili d’estate e d’autunno dell’Opera Bevilacqua La Masa, allestite presso palazzo Pesaro: all’intensa stagione espositiva che dava corso al lascito della duchessa Felicita Bevilacqua La Masa, Zecchin prese parte anche nelle edizioni successive (1910, 1912, 1913, 1919; nel 1922 come membro del Consiglio di vigilanza e nel 1923 della Commissione incaricata della scelta delle opere). Nel vivace ambiente capesarino si concretò il sodalizio con Teodoro Wolf Ferrari, artista che aveva completato la sua formazione a Monaco di Baviera e che, sull’esempio delle secessioni mitteleuropee, fu promotore a Venezia del gruppo L’Aratro (1912). Tra i primi risultati della collaborazione, una serie di lastrine e di vasi in vetro mosaico (la cui esecuzione fu affidata all’officina Artisti Barovier di Murano) venne inviata nel 1913 al Salone d’Arte Windhager di Monaco, dove registrò un positivo riscontro; una parte di esse venne riproposta alla Biennale del 1914.
Nella collettiva BLM (Bevilacqua La Masa) dell’autunno del 1913, Zecchin ebbe a disposizione una sala condivisa con i vetri di Giuseppe Barovier: oltre a presentare alcune opere significative, di ascendenza klimtiana, come il trittico Le Vergini del fuoco, realizzò il ciclo decorativo Il giardino delle fate, concepito appositamente per l’ambiente espositivo. Nello stesso anno partecipò, nella sala del gruppo veneto riunito attorno a Vittore Zanetti Zilla, alla I Esposizione internazionale d’arte della secessione di Roma con i dipinti Verso la luce e Primule; vi espose anche nelle successive edizioni (1914 e 1915).
Nel giugno del 1914 prese parte con opere pittoriche (tra cui bozzetti per due trittici e per una decorazione murale) all’esposizione di alcuni artisti rifiutati dalla giuria della Biennale veneziana presso l’hotel Excelsior del Lido, iniziativa promossa da quegli stessi artisti. In quell’anno Giovanni Indri, proprietario dell’hotel Terminus di Venezia, gli affidò la decorazione pittorica della sala da pranzo dell’albergo: tra i capolavori del gusto secessionista, il ciclo Le mille e una notte trasse ispirazione dal racconto della lampada di Aladino, che l’artista ebbe probabilmente modo di leggere nell’edizione IEI (Istituto editoriale italiano) con grafica di Duilio Cambellotti. Nella successione dei pannelli (oltre una decina quelli noti in seguito alla dispersione del ciclo, tra cui sei appartenenti alla Galleria internazionale d’arte moderna di Ca’ Pesaro), il racconto orientale risultò trasfigurato nello splendore bizantino dell’ambientazione e nello sfarzo cromatico dei cortei nuziali che rendevano omaggio alla principessa.
Nel corso degli anni Dieci, periodo a cui risalgono alcune serie di notturni e boschi di betulle (1913-15), l’artista spostò il suo interesse all’ambito delle arti applicate, nelle quali confluirono motivi (come i soggetti femminili) già sperimentati in pittura. Esonerato dall’arruolamento militare poiché claudicante, nel 1916 avviò un laboratorio di arazzi nell’ex convento di S. Donato a Murano (poi trasferito in Fondamenta dei Vetrai), per il quale si avvalse della collaborazione delle ricamatrici locali. Distintosi per l’originalità della produzione (venne persino ideato un punto ricamo capace di riprodurre l’effetto della pennellata), il laboratorio fu visitato in più occasioni da Gabriele D’Annunzio, che lo ricordò in La Leda senza cigno; nel 1916 il poeta acquistò l’arazzo Barbari, che confluì nelle collezioni del Vittoriale, così come altre opere acquisite successivamente (tra cui la celebre Coppa delle Vestali, del 1919).
Nel primo dopoguerra Zecchin prese parte (sia come membro della giuria di accettazione sia come espositore dell’U.G.A., Unione giovani artisti) alla X Esposizione di Ca’ Pesaro: ebbe una personale con ventiquattro pezzi tra arazzi, ricami e vetri decorati, che riportò un notevole successo di vendite. Nel 1920 si schierò a favore della protesta interna alla BLM, partecipando con due opere a mosaico (eseguite dalla Società italiana arte musiva di Murano) all’Esposizione degli artisti dissidenti di Ca’ Pesaro, presso la galleria Geri Boralevi di Venezia.
Nel 1919 opere realizzate da alcune ditte veneziane su disegno dell’artista vennero esposte a New York in una mostra promossa dall’Associazione per il lavoro di Venezia. Zecchin iniziò inoltre a collaborare con il Laboratorio di ricami della contessa Pia di Valmarana a Saonara, con cui elaborò il punto Valmarana; i tessuti realizzati dal Laboratorio ricevettero il Gran premio all’Esposizione di Torino del 1928.
Sposò nel 1920 Agnese Camozzo, dalla cui unione nacquero i figli Caterina e Giorgio.
Con il nuovo decennio espose alla I Mostra regionale d’arte di Treviso nel 1921 e a La Fiorentina primaverile nel 1922; sue opere comparvero in più occasioni a Roma (alla I Biennale romana e alla Mostra permanente dell’arte italiana moderna), grazie anche all’operato della Bottega d’Italia, volto a favorire la conoscenza e la circolazione dell’arte applicata.
Nel dicembre del 1921 venne nominato direttore artistico della ditta Vetri soffiati muranesi Cappellin, Venini & C. (CV & C) e, nel ruolo di designer, affidò i suoi disegni alle esperte maestranze muranesi. Ispirandosi al classicismo rinascimentale (Vaso Veronese) e coniugandolo a richiami art nouveau (Libellula), pervenne a risultati formali di notevole essenzialità ed eleganza; i modelli prodotti suscitarono un diffuso apprezzamento in Italia e all’estero, contribuendo alla ripresa dell’industria vetraria muranese.
Nel 1922 ebbe a disposizione una sala personale alla Biennale di Venezia, in cui espose arazzi, vetri e la vetrata Notturno; da allora presenziò in modo continuativo alla manifestazione fino al 1942.
Partecipò alla I Esposizione internazionale delle arti decorative di Monza (1923) sia come espositore, sia come membro della Giunta esecutiva e della Commissione di coordinamento della sezione triveneta: presentò un’ampia selezione di opere, tra cui arazzi, ricami, piatti in ceramica e oltre centocinquanta vetri della ditta CV & C., ricevendo il gran diploma d’onore; in collaborazione con l’architetto Giuseppe Berti progettò anche uno studio con piccolo ambiente e allestì, nella sezione Ambienti borghesi e popolari, una sala da pranzo in legno rabescato. Nello stesso anno gli venne assegnata la medaglia d’oro per i vetri CV & C. alla I Esposizione nazionale delle piccole industrie e dell’artigianato di Firenze.
Nel 1923 ebbe una personale alla Galleria Pesaro di Milano (dove aveva esposto, nel maggio del 1920, con Zanetti Zilla, Guido Marussig e Benvenuto Disertori): vi presentò oltre trenta opere tra mobili in legno, ricami, piatti in ceramica e vetri; nell’occasione gli venne dedicata una monografia a cura di Vittorio Pica.
All’attività espositiva in Italia si affiancarono importanti mostre all’estero come l’Exposition d’art italien contemporain di Bruxelles (1924) e l’Exposition internationale des arts décoratifs et industriels modernes di Parigi (1925), dove i vetri CV & C. ottennero il grand prix.
Nel 1925 la ditta CV & C. si sciolse: Giacomo Cappellin fondò la Maestri vetrai muranesi Cappellin & C., di cui Zecchin restò direttore artistico, partecipando alla Biennale veneziana e al Salon d’automne di Parigi, mentre Paolo Venini creò la Vetri soffiati muranesi Venini & C. (diretta da Napoleone Martinuzzi). Nel 1926 Zecchin lasciò l’incarico al giovane Carlo Scarpa.
Nell’ambito musivo eseguì, nella seconda metà degli anni Venti, i cartoni per i mosaici nel battistero della chiesa della Madonna del Mare a Pola (convertita in famedio dall’architetto Berti), nella cappella di villa Perlasca a Gardone, e a villa Beretta nel bresciano; nel 1927 partecipò – con tre sale decorate da pannelli realizzati dalla Cooperativa mosaicisti di Venezia – alla III Mostra delle arti decorative di Monza e con due mosaici alla Biennale del 1928. Il mosaico Angeli è attualmente conservato presso la Galleria Ricci Oddi di Piacenza.
Negli anni successivi, ricami e tessuti, mosaici e mobili, vetri e oggetti di argenteria e oreficeria eseguiti da maestranze locali su disegno dell’artista si affermarono in mostre e concorsi (nel 1927 Zecchin vinse, con l’architetto Berti, il Concorso per disegni di mobili usuali promosso dall’E.N.A.P.I., Ente nazionale artigianato e piccole industrie); e riviste specializzate come Emporium, Domus, Casabella gli dedicarono in più occasioni articoli con riproduzione di opere. Nei primi anni Trenta collaborò attivamente con alcune fornaci veneziane, come la Artistica vetreria e soffieria Barovier Seguso & Ferro. Partecipò a numerose esposizioni dedicate all’arte applicata, tra cui la Mostra internazionale dell’Orafo di Venezia e la IV Esposizione delle arti decorative e industriali moderne di Monza nel 1930, la Mostra d’arte decorativa italiana di Amsterdam nel 1931, la V Triennale di Milano nel 1933, l’Esposizione internazionale dell’artigianato di Berlino nel 1938.
Nel 1931 iniziò a insegnare presso la Scuola femminile Vendramin Corner di Venezia, dove aveva tenuto un corso sull’arte del ricamo, e in seguito presso la Scuola di merletti di Burano e, a Murano, presso la Scuola Ugo Foscolo, la Scuola festiva di disegno e la Scuola per l’industria vetraria; dal 1936 fu docente alla Scuola Abate Zanetti di Murano per apprendisti vetrai. Ricami e vetri realizzati durante i corsi vennero esposti alla Biennale e nelle mostre d’arte decorativa del decennio.
Lasciò testimonianza della conoscenza tecnica acquisita attraverso alcuni contributi (Lezioni di storia del vetro, pubblicate nel 1934, e un opuscolo sulla lavorazione del mosaico). Scrisse inoltre una raccolta di componimenti poetici in italiano e in dialetto veneziano (Penelàe o Vision de l’anema).
All’inizio degli anni Quaranta la comparsa del morbo di Parkinson lo costrinse ad abbandonare l’attività artistica; morì a Murano il 15 aprile 1947 (Vittorio Zecchin, 1878-1947, 2002, p. 308).
Fonti e Bibl.: Mostra di V. Z. (1878-1947) (catal.), presentazione di G. Perocco, Venezia 1966; G. Perocco, Le origini dell’arte moderna a Venezia (1908-1920), Treviso 1972, pp. 307-323; V. Z. (catal., Venezia), a cura di G. Perocco, Milano 1981; Venezia: gli anni di Ca’ Pesaro, 1908-1920 (catal., Venezia), a cura di C. Alessandri - G. Romanelli - F. Scotton, Milano 1987, pp. 225 s.; G. Dal Canton, La pittura del primo Novecento nel Veneto (1900-1945), in La pittura in Italia. Il Novecento, I, 1900-1945, a cura di Carlo Pirovano, Milano 1991, pp. 119 s.; M. Mondi, Per un catalogo dell’opera di V. Z., 1878-1947, tesi di laurea, Università Ca’ Foscari, Venezia, a.a. 1991-92; Venezia e la Biennale. I percorsi del gusto (catal., Venezia), Milano 1995 (in partic.: G. Sarpellon, L’arte, il vetro e la Biennale, pp. 140-142; F. Scotton, Arti applicate: dalla fondazione al Padiglione Venezia, p. 128); Emblemi d’arte: da Boccioni a Tancredi. Cent’anni della fondazione Bevilacqua La Masa, 1899-1999 (catal., Venezia), a cura di L.M. Barbero, Milano 1999; V. Z., 1878-1947. Pittura, vetro, arti decorative (catal.), a cura di M. Barovier - M. Mondi - C. Sonego, Venezia 2002; N. Stringa, Venezia, in La pittura nel Veneto. Il Novecento, I, a cura di G. Pavanello - N. Stringa, Milano 2006; Venezia ’900, da Boccioni a Vedova (catal., Treviso), a cura di N. Stringa, Venezia 2006; C. Beltrami, V. Z., in La pittura nel Veneto. Il Novecento. Dizionario degli artisti, a cura di N. Stringa, Milano 2009, pp. 503 s.; S. Fuso - M. Margozzi - M. Piccolo, Spirito klimtiano: Galileo Chini, V. Z. e la grande decorazione a Venezia, Venezia 2012; Study days on venetian glass. The origins of modern glass art in Venice and Europe, about 1900. Atti delle giornate di studio... Venezia 2016, a cura di R. Barovier Mentasti - C. Tonini, Venezia 2017; V. Z. I vetri trasparenti per Cappellin e Venini (catal., Venezia), a cura di M. Barovier - C. Sonego, Milano - Venezia 2017.