vista
Vocabolo di uso assai esteso, presente in tutte le opere canoniche di D. e nel Fiore; non figura invece nel Detto.
Si collega in tutti i casi con l'atto del vedere, specificandosi talvolta come " funzione ", talvolta come " facoltà " visiva, in qualche rara circostanza come " organo " fisico attraverso il quale si esplicano tali funzioni e facoltà, spesso come " oggetto " veduto, infine anche come " finestra " o simili.
Con preciso riferimento alla funzione visiva, al termine dei paragrafi del Convivio dedicati alla teoria della percezione ottica si accenna alle argomentazioni svolte precedentemente con le parole Veduto questo modo de la vista, ecc. (III IX 11). Parlando dell'indebolimento degli spiriti visivi D. si richiama nello stesso trattato a un episodio autobiografico, il ritorno nel primo buono stato de la vista (IX 16) dopo un affaticamento dovuto a troppa intensa lettura. Più di una volta inoltre il viaggiatore dei regni oltremondani deve registrare, per vari frangenti, il venir meno della sua facoltà visiva: la disposizion ch'a veder èe / ne li occhi pur testé dal sol percossi, / sanza la vista alquanto esser mi fée (Pg XXXII 12); Intanto che tu ti risense / de la vista che haï in me consunta (Pd XXVI 5); fa ragion che sia / la vista in te smarrita e non defunta (XXVI 9); L'aspetto suo m'avea la vista tolta (Pg XXIV 142); Ma come sol che nostra vista grava / e per soverchio sua figura vela, / così la mia virtù quivi mancava (XVII 52). In altri casi invece ne denuncia la limitatezza: Questi ostendali in dietro eran maggiori / che la mia vista (XXIX 80); Lo sommo er'alto che vincea la vista (IV 40). Oppure ancora ne rileva il potenziamento in virtù di grazia sovrannaturale: di novella vista mi raccesi, / tale, che nulla luce è tanto mera, / che li occhi miei non si fosser difesi (Pd XXX 58); la vista che s'avvalorava / in me guardando (XXXIII 112). In queste ultime occorrenze si tratta in genere di una v. di ordine metafisico, per cui vedi oltre.
Con l'espressione Quivi perdei la vista e la parola (Pg V 100), Bonconte adombra la perdita dei sensi, che prelude alla morte (per i problemi inerenti alla punteggiatura dei vv. 99-100 e all'uso del modulo citato, v. M. Barbi, La nuova filologia e l'edizione dei nostri scrittori da D. al Manzoni, Firenze 1938, 22, e Petrocchi, ad l.; ma anche rima 15.).
Meno specifiche le attestazioni di Rime dubbie IV 12 se la vista mia non è fallace, / il sudore e l'angoscia già ti scheggia, e di Cv II II 4 l'uno [pensiero] era soccorso de la parte [de la vista] dinanzi continuamente: il pensiero d'amore, cioè, era soccorso dalla circostanza di poter vedere la donna.
L'effetto naturale della funzione visiva è il vedere in atto, che quasi sempre si traduce nel concetto di " sguardo " (anche qui al valore preminente si mescolano altri valori collaterali e subordinati, quali " potere ", " acume " dello sguardo medesimo, ecc.): Che pur guate? / perché la vista tua pur si soffolge / là giù tra l'ombre triste smozzicate?... (If XXIX 5); allor fu la mia vista più viva / giù ver' lo fondo (XXIX 54); io guardava a loro e a' miei passi, / compartendo la vista [dividendo gli sguardi, guardando alternativamente gli spiriti] a quando a quando (Pg XXV 126); La vista mia, che tanto lei seguio / quanto possibil fu (Pd III 124); e così in Vn V 3, Cv III IX 14, Pd X 8, XVIII 47, XX 72, XXIII 30, XXV 116, XXX 118, XXXIII 52.
È sguardo espressivo di un forte sentimento di stupore quello con cui Virgilio, ormai oltre il limite della sua scienza, risponde all'ammirazion di D. davanti ai sette candelabri fiammeggianti nel Paradiso terrestre: mi rispuose / con vista carca di stupor non meno (Pg XXIX 57): non crediamo che vista stia qui per " aspetto ", come qualcuno intende, e ci sembra valida al riguardo una nota del Torraca: " Chi è pieno di ammirazione si volge pronto a cercar nel viso altrui le proprie impressioni; chi prova stupore, lo manifesta negli occhi ". Si può invocare per un'ulteriore conferma Pd XVIII 23 come si vede qui alcuna volta / l'affetto ne la vista.
Ha invece sapore di detto proverbiale la frase di mastro Adamo che, assetato, afferma di non voler dare la vista dei conti Guidi nemmeno per Fonte Branda (If XXX 78); egli rinuncerebbe, cioè, a dissetarsi nella celebre fonte di Siena pur di vedere nell'Inferno coloro che lo hanno istigato a peccare.
Alcune situazioni contestuali permettono di assegnare al vocabolo, talvolta, il significato di " occhi ": attento guardava / ne la mia vista s'io parea contento (Pg XVIII 3); Da quella regïon che più sù tona / occhio mortale alcun tanto non dista, / qualunque in mare più giù s'abbandona, / quanto lì da Beatrice la mia vista (Pd XXXI 76, dove non lascia dubbi il parallelo con ‛ occhio '); Tosto che ne la vista mi percosse / l'alta virtù, ecc. (Pg XXX 40: caso questo d'interpretazione più dubbia).
Ad " occhio " parrebbe anche ricondurre l'adozione del plurale specie quando è riferibile a un solo soggetto riguardante: Fa che le viste non risparmi (Pg XXXI 115, per dire " guarda intensamente ", " intende et exacue virtutem visivam " [Benvenuto], ma con una tensione già simbolica " aguzza l'ingegno e l'affetto " [Tommaseo]); al quale [un sì fioco] intender fuor mestier le viste (Pg XXXI 15), un ‛ sì ', dunque, che, più che udirsi, si vide.
Di collocazione non definibile, tra " sguardo " e " occhio ", altri esempi: Era lo loco ov'a scender la riva / venimmo, alpestro e, per quel che v'er'anco, / tal, ch'ogne vista ne sarebbe schiva (If XII 3); E quinci sian le nostre viste sazie (XVIII 136: " quasi dicat: ‛ satis stetimus in alto ponte ad respiciendum et contemplandum istud fundicum ' ", Benvenuto); a fuggir la mia vista fu ratta (Pg XV 24: vista è soggetto).
È forse ancora possibile precisare che quando nel contesto mira a definire, più che il processo o l'atto visivo, il risultato ultimo di tal processo o di tal atto, la parola ha il significato di " percezione ", o meglio di " visione ", " contemplazione ", in quanto raggiunta fruizione dell'oggetto guardato: Rime dubbie XVI 14 dilettare il core / da poi non s'è voluto in altra cosa / fuor che n' quella amorosa vista / ch'io vidi rimembrar tuttore, e XXVII 10 I' ti scontrai per quel che nel cor porto, / e perché mai de la tua dolce vista / non fosse allegra l'anima mia trista.
Così il poeta dichiara altrove di dimorare in uno stato di tormento dall'istante in cui perde la vista (Rime XCI 79) della donna amata all'istante in cui la riacquista, vale a dire dall'istante in cui non vede più la donna, e non può più goderne spiritualmente, all'istante in cui torna a vederla (un modulo simile, ma con intento più limitato d'indicazione temporale, in Pd XXX 29 Dal primo giorno ch'i' vidi il suo viso / in questa vita, infino a questa vista, " sino ad ora che di nuovo lo vedo "); nella Vita Nuova narra di aver ‛ ricovrato ' la vista (XXXVIII 1) della Donna gentile con eccessiva dilettazione; nell'Empireo osserva che l'interporsi della moltitudine volante degli angeli tra il fiore e la luce divina non impedisce di godere la vista e lo splendore della luce divina (Pd XXXI 21).
Le numerose attestazioni figurate ruotano attorno al significato centrale di " vista intellettuale ", o " vista della mente ", come D. dice a proposito dei superbi: O superbi cristian, miseri lassi, / che, de la vista de la mente infermi, fidanza / avete ne' retrosi passi (Pg X 122); v. che ora è incerta e corta (Pd XX 140), ora illuminata dalla grazia divina: O sol che sani ogne vista turbata (If XI 91); per che le viste lor furo essaltate / con grazia illuminante e con lor merto (Pd XXIX 61).
Dall'uno all'altro di questi estremi si dispone una serie graduata di occorrenze (Cv II VII 11, Pg XXXIII 102, Pd XIX 59, XXX 81) tra le quali si distinguono quelle riferite alla visione di Dio propria delle anime salve: a la vista mia, quant'ella è chiara, / la chiarità de la fiamma pareggio (Pd XXI 89: parla Pier Damiano); e sulla stessa linea Pg XXX 114, Pd VIII 21, XV 65, XXI 96, XXXI 29.
Una connessione evidente è intessuta, in questa sfera, tra Pd XXXIII 52 la mia vista, venendo sincera, / e più e più mirava per lo raggio / de l'alta luce che da sé è vera, dove sono tratteggiati l'affinamento e il potenziamento della facoltà intellettiva dantesca in ordine alla conquista della verità divina, e i versi immediatamente successivi, Da quinci innanzi il mio veder fu maggio / che 'l parlar mostra, ch'a tal vista cede (v. 56), che denunciano l'invalicabile limite opposto al parlare umano dalla miracolosa eccedenza della ‛ visio ' mistica.
Nel ragionamento volto a illustrare la formula paolina che ripone la fede tra le sostanze e gli argomenti, D. ricorda come le verità metafisiche, inaccessibili all'uomo e oggetto di fede, sono appunto il sostegno o ‛ sustanza ' della speranza e che da questa credenza... convene / silogizzar, sanz'avere altra vista (Pd XXIV 77), conviene dedurre, cioè, per via logica le altre verità " sine alia probatione vel demonstrata ratione " (Benvenuto), onde la funzione di argomento delle cose non parventi che ha la fede.
In Pd XVII 45 Cacciaguida afferma che dalla mente di Dio, dove tutto è presente ab aeterno, gli viene / a vista il tempo futuro: egli legge, cioè, il futuro in Dio; sì che può disporsi a predire con sicurezza le varie contingenze dell'esilio di Dante.
Alla personificazione della Filosofia viene infine attribuita la v., come segno metaforico della sua virtù gnoseologica e dimostrativa: per lunga consuetudine le scienze ne le quali più ferventemente la Filosofia termina la sua vista, sono chiamate per lo suo nome (Cv III XI 16: la locuzione ‛ terminar la v. ' va spiegata " appuntare e fermare lo sguardo ").
Per il prevalere della connotazione passiva (" ciò che è visto ") v. passa a significare frequentemente l' " aspetto ", la " sembianza " di qualcuno o di qualche cosa, e, riferito a persona umana, in primo luogo il " volto ". In quest'ultimo caso è assai spesso notabile un forte richiamo all'espressività, al diverso atteggiarsi del volto medesimo per l'azione dell'interno sentire: a molti amici pesava de la mia vista (Vn IV 1: era divenuto, per il pensiero di Beatrice, di fraile e debole condizione); quasi cambiato ne la vista mia, cavalcai quel giorno pensoso molto e accompagnato da molti sospiri (IX 7); Amore è qui, che per vostra bieltate / lo face, come vol, vista cangiare (XII 12 22); Con l'altre donne mia vista gabbate (XIV 11 1: allusione alla trasfigurazione [§ 7] e alla figura nova [v. 3]; v. anche il v. 12 io mi cangio in figura d'altrui; in XV 1 si torna a parlare della dischernevole vista); dolorosi pensamenti, tanto che mi faceano parere de fore una vista di terribile sbigottimento (XXXV 1); là ovunque questa donna mi vedea, sì si facea d'una vista pietosa (XXXVI 1, " si mostrava afflitta e misericordiosa "); la vista che m'apparve d'un leone (If I 45; quindi, per la lupa, la paura ch'uscia di sua vista, v. 53); l'uno il capo sopra l'altro avvalla, / perché 'n altrui pietà tosto si pogna, / non pur per lo sonar de le parole, / ma per la vista che non meno agogna (Pg XIII 66: 1' " aspetto " dei questuanti ciechi, da sé stesso, implora la pietà del prossimo non meno che le parole: " non meno parla che le parole ", Buti).
Sono da riportare alla tipologia ora illustrata i seguenti esempi: Rime LVII 14 Amore / ... dà valore [alla speranza] / con la sua vista, " cioè mostrandosi nei begli occhi della donna " (Barbi-Maggini); LXVII 22 la vittoriosa vista degli occhi, cioè la loro " sembianza vittoriosa ", in un contesto a carattere militare che celebra il trionfo dello sguardo della donna sull'anima di D.; Vn XV 6 13 la pietà, che 'l vostro gabbo ancide, / la qual si cria ne la vista morta / de li occhi: l'aspetto smorto degli occhi, segno di un'interna sofferenza, dovrebbe suscitare in altrui la pietà, la quale però è contrastata e spenta dal ‛ gabbo ' di Beatrice (v. la ripresa di XV 8 la pietosa vista che ne li occhi mi giugne; la quale vista pietosa è distrutta, cioè non pare altrui, per lo gabbare di questa donna); XVIII 1, XXIII 19 18, XXXVI 2, XXXVII 1 (Io venni a tanto per la vista di questa donna, ecc., che si raccorda all'inizio del sonetto che conclude il capitolo precedente: Color d'amore e di pietà sembianti / non preser mai così mirabilmente / viso di donna, ecc.); Cv II XIV 16, If XXXIV 129, Pg XIV 73, Pd II 104 (l'immagine del lume riflesso nello specchio), XIV 113.
Per alcuni luoghi si renderà necessaria qualche postilla, a supplemento. Sembra verificarsi una ripetizione sinonimica in Rime CVI 119 chi con tardare, e chi con vana vista, / chi con sembianza trista / volge il donare in vender, ma sembianza trista qui s'indirizza a una significazione più marcatamente morale: " con mala grazia " spiegano Barbi-Pernicone; mentre vana vista pare attenere alla manifesta o esteriore vanità dei falsi benefattori: " con la vanità del suo aspetto " (Contini). La possibile ambiguità di Vn XXXV 7 11 si movean le lagrime dal core, / ch'era sommosso da la vostra vista, dove vista si presta in astratto a essere inteso come " sguardo " o come " sembianza ", viene risolta dai versi iniziali del sonetto (Videro li occhi miei quanta pietate / era apparita in la vostra figura) che confermano valida la seconda delle accezioni sopra indicate. Lo stesso è da dire per Vn XXVI 12 9 La vista sua fa onne cosa umile (ripreso al § 15); qui il ricordo di un celebre distico (Ne li occhi porta la mia donna Amore, / per che si fa gentil ciò ch'ella mira (Vn XXI 2) viene soverchiato dalla situazione in atto che si basa sul ‛ vedere ' dei circostanti e non sulla potenza dello sguardo di Beatrice: Vede perfettamente onne salute / chi la mia donna tra le donne vede (XXVI 10 1-2). V. si riconnette a " immagine ", " figura " anche in If XIII 147 'n sul passo d'Arno / rimane ancor di lui [di Marte] alcuna vista: " Alcuna vista, nel passo dantesco, vorrà dire ‛ un'immagine, una figura comunque ridotta ' di Marte " (Barbi, Problemi I 269); il Boccaccio che spiega " dimostrazione " rammenta una statua di Marte " diminuita dalla cintola in su ", erosa dall'acqua e dal tempo.
In altro senso, a D. che si affaccia sui tre cerchi del basso Inferno Virgilio annuncia: Tutti son pien di spirti maladetti; / ma perché poi ti basti pur la vista, / intendi come e perché son costretti (XI 20), avvertendolo così che sarà poi sufficiente solo il ‛ vedere ' i dannati. Vista come " il vedere " è anche in Pd XIV 72. Vanni Fucci dal canto suo, perché D. non goda di tal vista (If XXIV 140), di tal " spettacolo ", di averlo cioè visto nell'Inferno, gli preannuncia travagli e sconfitte dei guelfi bianchi.
La vista nova (Pd XXXIII 136), la straordinaria visione che D. inutilmente s'ingegna d'interpretare, simile al geometra tutto inteso a misurar lo cerchio, conduce, attraverso la simbologia della ‛ circulazione ' trinitaria in cui traspare l'effigie umana, al mistero dell'umanità-divinità di Cristo.
Non univoca l'interpretazione di Pd XIII 79 Però se 'l caldo amor la chiara vista / de la prima virtù dispone e segna, / tutta la perfezion quivi s'acquista: sembra comunque preferibile assegnare a chiara vista il valore di " modello " o " archetipo " divino (de la prima virtù) rapportabile alla sapienza del Verbo e intendere: " se lo Spirito Santo dispone e segna, in una creatura, l'idea, il verbo di Dio, in essa si ottiene la massima perfezione ". Il processo, con tratti di un parallelismo illuminante, era stato disegnato poco prima: Se fosse a punto la cera dedutta / e fosse il cielo in sua virtù supprema, / la luce del suggel parrebbe tutta (vv. 73-75).
Tra le locuzioni, la più frequente è in vista, cioè " all'aspetto ", con riguardo talvolta all'espressione del volto, ma più generalmente a tutto l'atteggiamento della persona: non solamente ella, ma tutte d'altre cominciaro ad attendere in vista la mia risponsione (Vn XVIII 3); un veglio... / degno di tanta reverenza in vista, ecc. (Pg I 32); Marzia tua, che 'n vista ancor ti priega / ... che per tua la tegni (I 79): questo luogo può destare invero qualche perplessità; se ne rese interprete il Porena: " come è mai possibile che un tale desiderio, lontana com'è da Catone, possa apparire nell'aspetto? "; perciò egli legge invitta (ma senza alcun fondamento, sotto il profilo filologico) pensando che Marzia sia irremovibile nel suo affetto per Catone. La questione si risolve però considerando che le parole succitate sono pronunciate da Virgilio: egli si riferisce a una sua esperienza di limbicolo: nel Limbo avrà notato l'aspetto della donna e ora se ne ricorda.
Altri esempi: s'elli fossero di propinquo paese, in alcuna vista parrebbero turbati (Vn XL 3); un'ombra ch'aspettava / in vista (Pg XIII 101); più dolci in voce che in vista lucenti (Pd X 66: qui l'aspetto personale è scomparso nel fulgore della luce che circonda le anime sante; v. anche IX 68); religïosi no, se non in vista (Fiore LXXXIX 2: " all'apparenza ").
Di tipo alquanto diverso Pg X 81 d'aguglie ne l'oro / sovr'essi in vista al vento si movieno, dove le aquile delle insegne romane effigiate in campo d'oro nel bassorilievo che corre lungo la prima cornice del Purgatorio, sembravano, " a vederle ", quasi muoversi al vento.
Affini le locuzioni a la vista (Vn XL 9 4), ne la vista (Pg VII 97), ne la sua vista (XVII 27), quanto a la vista (Vn XXXV 2), quanto a la vista sua (XII 3), che tutte significano " per quello che appare dall'aspetto ". Circa la discussione testuale e l'interpretazione del passo di Vn IX 2 tutto ch'io fosse a la compagnia di molti quanto a la vista, l'andare mi dispiacea, v. l'apparato del Barbi ad l., il quale spiega: " quantunque fossi in compagnia di molti, e sembrassi prender parte ai discorsi... pure l'andare mi dispiaceva " .
Pd XXVIII 6 come in lo specchio fiamma di doppiero / vede colui che se n'alluma retro, / prima che l'abbia in vista o in pensiero, non ha valore locuzionale, essendo tutta la terzina da spiegare come segue: " come uno, che ne è illuminato dietro le spalle, vede nello specchio la fiamma di doppiero (cero doppio), prima di averla vista direttamente o di aver pensato di vederla, cioè improvvisamente " (Chimenz).
Qualche volta v. significa anche " stella " in quanto la stella è un corpo visibile del cielo (cfr. per analogia Pd II 115 Lo ciel seguente, c'ha tante vedute, ecc.): come vien la chiarissima ancella / del sol più oltre, così 'l ciel si chiude / di vista in vista infino a la più bella (XXX 9); vid'i' sopra migliaia di lucerne / un sol che tutte quante l'accendea, / come fa 'l nostro le viste superne (XXIII 30). Per la stessa ragione, in diverso ambito figurativo, il vocabolo viene usato per indicare l'aspetto luminoso dei beati, e quindi i beati stessi: sì ch'ogne vista sen fé più serena (Pd XXXII 99: " ogni beato spirito " [Buti], " ogni faccia " [Porena], ma il Daniello: " ciascuna cosa ch'egli vedea "; e così il Lombardi).
V. è attestato altresì quando si voglia designare un'apertura attraverso la quale si possa vedere, in particolare una " finestra ": Di contra, effigïata ad una vista / d'un gran palazzo, Micòl ammirava (Pg X 67: " ad fenestram ", Benvenuto; v. anche, per l'episodio biblico, II Reg. 6, 16 e I Paral. 15, 29 " per fenestram "; cfr. Pagliaro, Altri saggi di critica semantica, Messina-Firenze 1956, 195); un significato più generico compete a If X 52 Allor surse a la vista scoperchiata / un'ombra, dove Cavalcante Cavalcanti appare allo sguardo dantesco sorgendo per la " bocca senza coperchio " della tomba. Un aggancio a v. come " finestra " Si profila forse anche nel passo in cui D. volge gli occhi a Virgilio mostrando il desiderio di parlare con un'anima del Purgatorio: ond'elli m'assentì con lieto cenno / ciò che chiedea la vista del disio (Pg XIX 87): ricordando che gli occhi sono secondo D. quali balconi de la donna che nel dificio del corpo abita, cioè l'anima (Cv III VIII 9), la vista del disio potrebbe alludere appunto agli occhi attraverso i quali si affaccia il desiderio. Con tutto ciò mantiene credito l'interpretazione tradizionale, per la quale la vista del disio è l'espressione dello sguardo (e del viso) non meno eloquente delle parole: d'obbligo il rimando al passo già citato del Purgatorio in cui, nel corso di un paragone, i ciechi implorano la carità dei devoti non pur per lo sonar de le parole, / ma per la vista che non meno agogna (Pg XIII 66).