VISMARA
Famiglia di scultori e pittori attivi a Milano, in particolare alla fabbrica del duomo, tra il XVII e il XVIII secolo.La personalità di maggior spicco è Gaspare, nato con molta probabilità a Milano nel 1588, figlio di Francesco e fratello di Giuseppe, anch’egli scultore (attivo tra il 1618 e 1625) (Arese, 1975, p. 88; Cassini, 2016, pp. 51, 59). Gaspare fu attivo nella cattedrale dal 1610 e fu protostatuario dal 1632 sino alla morte nel 1651 (Annali, 1883, V, pp. 234 s.). Sposò Maddalena Longoni nel 1611 (p. 634), da cui ebbe almeno tre figli, Francesco (1612-80), pittore, autore di due dipinti nel coro della chiesa di S. Maria del Paradiso a Milano (Torre, 1674); Giovanni Domenico, scultore attivo alla fabbrica tra il 1640 e il 1645, anno della sua morte; e Teodoro (1626-1714), parroco di S. Calimero. Francesco a sua volta ebbe due figli, entrambi scultori, Giuseppe (1633-1703) e Isidoro (1644-1703) (Arese, 1975, p. 87).
L’attività di Gaspare presso la fabbrica del duomo di Milano si colloca in un momento di abbondanza di commissioni in quanto si stava completando l’apparato decorativo sia dei fianchi sia della facciata, in particolare i portali e il registro inferiore. Le prime opere che realizzò furono il Profeta Osea e S. Onorato, per il fianco settentrionale, e S. Lazzaro, per uno dei piloni interni (n. 41: cfr. Bossaglia, 1973, p. 173), quest’ultimo su modello di Andrea Biffi. Nel 1612 iniziò la statua di S. Pietro e nel 1613 quella di S. Paolo, poste l’una di fronte all’altra negli stipiti interni della porta maggiore (Gavazzi, 1993, p. 3985). In particolare la statua di S. Paolo fu molto apprezzata dalla fabbrica, e Gaspare ricevette un pagamento supplementare perché la figura risultò «lavorata con maggior diligenza e […] abbastanza bella» (Annali, 1883, V, p. 84; Anedi, 1986, p. 647). Nel 1612 gli venne affidata la commissione di una S. Anastasia (Annali, 1883, V, p. 79). Nel 1613 fece richiesta ufficiale alla fabbrica e ottenne di avere bottega in Camposanto (p. 84). Tra il 1613 e il 1616 realizzò le statue di S. Fermo e di S. Cristina per il fianco settentrionale, su modello di Andrea Biffi, di S. Agata, di S. Agnese e di S. Cirino, per la terrazza della sagrestia, e di S. Mona, già iniziata da Andrea Romano (Gavazzi, 1993, p. 3985). A partire dal 1616 fu impegnato anche presso la cappella della Madonna dell’Albero, insieme al fratello Giuseppe, a Giovan Pietro Lasagna e a Marco Antonio Prestinari, con l’incarico della realizzazione di rilievi e parti decorative, a partire da una «istoria di angioli» su suo modello da porre sopra l’arco della cappella (Annali, 1883, V, pp. 97 s., 101-103, 123, 140). Nel 1621 gli furono affidati cinque Angeli per la stessa cappella e nel 1625 una statua non meglio identificata da porre alla sommità di uno dei pilastri fuori dalla cappella che sostengono gli «acquedotti» o doccioni. Gli ultimi lavori alla cappella risalgono agli anni Quaranta, quando ricevette pagamenti, nel 1645, insieme a Lasagna per lavori di scultura, mentre nel 1648-49 venne saldato per gli Angeli della volta. Il collaudo dell’opera fu svolto solo nel 1658, dopo la morte di Gaspare, sotto la direzione di Dionigi Bussola (ibid., pp. 266 s.; Gavazzi, 1993, p. 3985). Nel 1619 la fabbrica licenziò diversi scultori, tra cui il fratello Giuseppe, impegnato nelle «arpie» a testa di delfino da porsi nei «acquedotti finti» della «sommità esteriore della cappella di Nostra Signora dell’Albore» (Annali, 1883, V, pp. 108, 112, 132), mentre Gaspare fu confermato insieme a Biffi, Prestinari, Bellandi, Lasagna e Daverio. A partire dal 1623 ricevette un primo acconto per la realizzazione del rilievo con l’Incoronazione della Vergine per il tornacoro del duomo, che gli venne saldato tra il 1624 e il 1626 (pp. 126, 131, 137). Nel 1628 gli fu affidato anche il rilievo con la Crocifissione, già iniziato da Giovanni Bellandi, in marmo di Carrara, sempre per il tornacoro (p. 144). Nello stesso anno iniziò a lavorare attivamente anche alla facciata, realizzando la lunetta con Salomone e la Regina di Saba, su disegno di Giovan Battista Crespi detto Cerano, da collocare sopra una delle porte minori. La stima dell’opera risale al 1631 (pp. 144, 163 s.), quando la fabbrica del duomo dovette far fronte ad alcune difficoltà nell’inserimento del rilievo di Gaspare, forse per un errore nel calcolo delle misure, ed esonerò così Cerano dalla direzione dei lavori. I modelli in terracotta si conservano nel Museo dell’Opera del duomo (Rosci, 2000, pp. 248, 252 s.). Gaspare desiderava autonomia dai disegni ceraneschi, rispetto ai quali tuttavia i deputati della fabbrica gli imposero maggior fedeltà. Nonostante che Gaspare avesse già scolpito nel 1614-20, su disegno di Cerano, il rilievo del portale della chiesa milanese di S. Paolo Converso con la Caduta di s. Paolo, che è tra i pochi suoi incarichi al di fuori del cantiere del Duomo (Rosci, 2000, pp. 189-192), la sua insofferenza nei confronti dei modelli di Crespi emergeva sia nei bozzetti in terracotta sia nei rilievi in marmo, nei quali si allontanò dalle fisionomie e in alcuni casi si discostò dalle composizioni, anche se in minima parte, normalizzandole e diminuendo certe tensioni tipiche della pittura ceranesca.
Nel 1631 fu approvata la terracotta del «soffitto della porta maggiore» del duomo con un rilievo di Angeli in volo, probabilmente ancora su modello di Cerano, opera che impegnò lo scultore sino al 1636 (Annali, 1883, V, pp. 164, 183; Bora, 2017, pp. 301 s.). Il rilievo originale fu rimosso all’inizio del secolo scorso, quando vennero inserite le porte bronzee di Lodovico Pogliaghi (Gavazzi, 1993, p. 3986). Nel 1632 Gaspare venne nominato protostatuario del duomo (Annali, 1883, V, p. 168). Nel 1634 ricevette la commissione per il rilievo da porre sopra la porta piccola, a destra di quella maggiore, raffigurante Giuditta e Oloferne, affidato in precedenza a Gerolamo Prevosto. Presso il Museo del duomo si conserva la seconda terracotta che Gaspare realizzò come documentazione per la fabbrica dopo che quella originale andò inavvertitamente distrutta (Bora, 2017, p. 299). Nel 1635 gli fu affidata la realizzazione del rilievo con la Creazione del mondo ovvero la Creazione di Eva, opera che doveva essere posta sopra la porta maggiore del duomo (pp. 297 s.). Questa commissione lo impegnò sino al 1645, quando gli impresari che dovevano occuparsi della costruzione del portale asserivano di non poter finire il lavoro proprio a causa del rilievo troppo largo (Annali, 1883, V, p. 212). Tuttavia la fabbrica si impose per la messa in opera del sovrapporta, che aveva già creato diversi problemi tra il capitolo e Vismara, tanto che quest’ultimo dovette intervenire per essere il più aderente possibile al modello (Bora, 2017, pp. 297 s.; il disegno e il modello in terracotta sono al Museo del duomo).
Tra gli anni Trenta e Quaranta Gaspare fu attivo, insieme ad altri, nel completamento del registro inferiore della facciata del duomo; nel 1639 gli furono commissionati i modelli, da realizzarsi in cera nera e bianca, con fiori, frutti e animali per le «pilastrate» della porta maggiore (Annali, 1883, V, p. 187), e tra il 1643 e il 1645 scolpì il rilievo con Agar nel deserto per la finestra del primo registro più a settentrione (pp. 205 s., 213; la terracotta è conservata nel Museo del duomo; Bianchi Jannetti, 2017, p. 304). Tra il 1646 e il 1647 portò a compimento il S. Erasmo – il cui bozzetto è al Museo del duomo – destinato al fianco settentrionale. Negli ultimi anni di vita Gaspare prese parte alla messa in opera degli apparati effimeri per l’arrivo a Milano di Marianna d’Austria, prossima regina di Spagna, nel 1649, per i quali plasmò in stucco un S. Ambrogio assiso e tre figure stanti (p. 227). Tra il 1650 e il 1651, anno della morte, ultimò un S. Vincenzo e iniziò un S. Andrea che fu saldato, per le parti già eseguite, alla moglie Maddalena, ma che fu ultimato, dopo la morte di Gaspare, da Dionigi Bussola nel 1652 (pp. 228, 231, 239).
Tra i nipoti di Gaspare si annoverano Giovanni Battista, Isidoro e il più noto Giuseppe. Il primo, nato nel 1642 (Arese, 1975, p. 86), ebbe la sua formazione presso la bottega del cugino Giuseppe, e fu attivo alla fabbrica del duomo tra il 1673 e il 1695; tra i suoi lavori più notevoli si ricordano il medaglione con la Temperanza per la cappella di S. Giovanni Bono (1693; Annali, VI, 1885, p. 39; Bossaglia, 1973, p. 122) e le statue di S. Veronica (1673) e di S. Agapito (1684; Annali, V, 1883, p. 304; VI, 1885, p. 19; Cassini, 2016, pp. 51, 59). Inoltre sua è la statua colossale di Torquato Tasso a Bergamo nel palazzo della Regione, risalente al 1673 (Pasta, 1775). Isidoro, fratello di Giuseppe, nacque nel 1644 e fu attivo alla fabbrica dal 1671 fino alla morte nel 1703. Tra le sue opere più rilevanti si segnalano il medaglione con la Fortezza in pendant con quello del cugino nella cappella di S. Giovanni Bono e ben sette statue per il fianco settentrionale del duomo: S. Barnaba (1677), una Sibilla (1675), la Liberalità (1697), i profeti Nathan (1695) e Abdia (1677), S. Casimiro (1690) e S. Scolastica (1693; Bianchi Jannetti, 2017, p. 325; Mara, 2017).
Altro membro rilevante della famiglia è Giuseppe, figlio di Francesco Vismara e di Giulia Resta e quindi nipote di Gaspare, nato a Milano nel 1633 (Arese, 1975, p. 78). È figura di speciale interesse poiché, oltre alla pratica della scultura, ebbe interessi letterari e poetici, e passò dalla scultura in marmo alla medaglistica in bronzo, tecnica appresa a Roma presso la cerchia di Gian Lorenzo Bernini durante un viaggio al seguito dell’arcivescovo Alfonso Litta, suo mecenate. In una sua lettera di supplica alla fabbrica del duomo del 1654 si apprende che la sua formazione avvenne, in un primo momento, presso la bottega di Gaspare tra il 1644 e il 1651, anno della morte del nonno, per poi passare nei seguenti quattro anni presso Giovan Pietro Lasagna, sino al 1654. Nella supplica faceva richiesta per farsi assegnare «qualche opera di scoltura da fare», ritenendosi ormai pienamente autonomo (Annali, V, 1883, pp. 250 s.). La Congregazione della Cassina, che gestiva il cantiere statuario della cattedrale, gli concesse un pezzo di marmo per lavorare una Sibilla destinata alla guglia della nave minore verso la Corte regia. Un suo modello di Sibilla fu approvato dal protostatuario Lasagna, che ne impose alcune varianti e concesse il marmo per realizzarla (1656). Nel 1657 iniziò la statua di Giuditta per la «portina che passa sotto la guglia» (p. 254) e un’altra di Tobia. L’anno seguente gli fu affidata anche una statua di Armigero per la cima della terza guglia verso la Corte regia. Nel 1661 gli venne commissionata la statua del profeta Giona, mentre nel 1662 fu autorizzato a preparare il modello in terracotta con il Sacrificio di Isacco, tradotto in marmo nel 1664 (Bianchi Jannetti, 2017, pp. 306 s.). Nel 1662 gli furono affidati un S. Carlo e una S. Anna per l’altare della Madonna dell’Albero. Nello stesso anno realizzò quattro grandi Angeli tubìcini per le nicchie della cupola della chiesa di S. Maria della Porta a Milano, in collaborazione con Carlo Simonetta (Cassini, 2016, p. 51). Nel 1665 fu coinvolto negli apparati allestiti in occasione delle esequie di Filippo IV di Spagna, per i quali portò a compimento ventiquattro statue per il catafalco eretto in duomo (Dell’Omo, 1991, pp. 54-62). Nel 1666 gli furono affidate la statua di un Angelo e una S. Agnese (saldata nel 1669) per il fianco settentrionale. In quell’anno, inoltre, fu coinvolto nella realizzazione degli apparati effimeri per l’arrivo di Margherita Teresa d’Austria, infanta di Spagna e prossima imperatrice a Vienna. Per la «porta trionfante» mise in opera due figure di arcivescovi in stucco (Annali, V, 1883, p. 287).
Nel 1666 l’arcivescovo Litta convocò a Roma Giuseppe con l’ingegnere del duomo Gerolamo Quadrio (Casati, 2018, p. 99). Lo scopo del viaggio fu principalmente di intercettare Bernini per avere un consulto sull’annoso problema della facciata del duomo. Vismara fece formale richiesta alla fabbrica del duomo di allontanarsi dal cantiere con lettera datata 27 gennaio 1667 (Arese, 1975, p. 77). Il soggiorno dovette durare buona parte dell’anno (p. 81). In quel periodo entrò in contatto con Bernini e i maestri del suo entourage. Soprattutto prese dimestichezza con la tecnica del bronzo per realizzare medaglie, e al suo ritorno fu tra coloro che rilanciarono questa forma di ritratto a Milano. Tra le sue opere in questo settore si segnalano la medaglia di Alfonso Litta, forse la prima messa in opera per ringraziare il suo mecenate dell’invito nell’Urbe (p. 77), quelle di Bartolomeo Arese (1674-15 circa), del matematico e architetto Pietro Paolo Caravaggio (1679), del giureconsulto Antonio Maria Erba (1688), di Vitaliano Borromeo (1688), di Cesare Pagani (1690 c.) e di Francesco da Lemene (1693 circa) (Zanuso, 2002, pp. 248-251). Giuseppe divenne il ritrattista prediletto del patriziato più in vista di Milano.
Dopo il ritorno a Milano nel 1667, lavorò, oltre che per la fabbrica del duomo, anche per Bartolomeo Arese, presidente del Senato, che gli commissionò le statue dei profeti Davide e Giobbe e il bassorilievo con la Vergine portata in cielo dagli angeli che funge da pala d’altare nella cappella Arese in S. Vittore al Corpo, eretta dal 1669 al 1674 su progetto di Gerolamo Quadrio (Arese, 1975, p. 81; Parvis Marino, 1990; Casati, 2018, p. 100). Sempre nel 1667 realizzò un Angelo in adorazione del Santo chiodo per uno dei capitelli del coro del duomo, mentre a partire dal 1668 realizzò le statue di Ezechiele (1660-70) e di S. Terenzio (1670-72). Tra la fine degli anni Sessanta e i primi degli anni Settanta si colloca anche il busto-ritratto in marmo di Alfonso Litta, che risente dei modelli romani con i quali Giuseppe venne in contatto durante il suo viaggio (l’opera, oggi in deposito al Museo di Palazzo Morando, appartiene al lascito Litta all’ospedale Maggiore; Zanuso, 2002, pp. 226 s.). A dare conto dei rapporti di amicizia tra l’arcivescovo e Giuseppe, oltre al busto e alla già citata medaglia, era anche un bassorilievo con l’effigie di Litta, scolpito nel 1679, già all’ingresso della cappella di S. Carlo nello scurolo del duomo, e oggi disperso (ibid., p. 226).
Nel 1671 la fabbrica sospese tutti i lavori di scultura in quanto troppo dispendiosi a causa del rallentamento del cantiere architettonico, e stabilì di mantenere al proprio servizio solo otto scultori, fra i quali Giuseppe (Annali, V, 1883, pp. 298 s., 302). Dal 1673 al 1674 Vismara fu impegnato nella realizzazione della S. Anastasia e tra il 1674 e il 1676 del S. Abaco martire, entrambi per il fianco settentrionale della cattedrale. Ultima opera per il cantiere milanese è il S. Daniele per un piedistallo tra i finestroni, che fu approvato nel 1676 e saldato nel 1677 (pp. 314, 315, 318). Proprio in quell’anno Giuseppe abbandonò la scultura monumentale, cedendo la bottega in Camposanto a Isidoro, suo fratello, per prendere l’abito ecclesiastico (Arese, 1975, p. 81). Alla fine del 1677, divenuto chierico, gli fu conferito da Litta la cappellania di S. Giuseppe a Ballabio Inferiore in Valsassina e nel 1679 divenne canonico di S. Giorgio al Palazzo a Milano (p. 87; Cassini, 2016, p. 53).
In questa fase della sua vita si dedicò prevalentemente alla produzione di medaglie in bronzo; ben sessantacinque sono siglate e sette gli sono attribuite (per un catalogo: Arese, 1975, pp. 88-104). Realizzò ritratti per molti dei personaggi illustri di Milano, da senatori ad arcivescovi, a intellettuali, patrizi, decurioni, fornendo una preziosa documentazione iconografica della società dell’epoca. Durante questo periodo, più precisamente nel 1700, plasmò una scultura in terracotta policroma della Madonna Addolorata oggi all’Istituto Redaelli di Milano (Zanuso, 2001). Al 1700 risale una sua opera letteraria sotto lo pseudonimo di Verasio Mageppi, pubblicata da Antonio Camagni a Milano, dal titolo Il serpente innalzato da Mosè nel deserto. Esistono altri suoi componimenti, in dialetto milanese e facchinesco, conservati in un volume alla Biblioteca Trivulziana (Marchi, 2002, pp. 477-480). Si tratta di una raccolta di testi, datata ante 1667, che danno conto del pensiero sull’arte dello scultore, in particolare il noto sonetto in difesa del cavalier Bernini e del suo Longino e contro i suoi detrattori (Cassini, 2016, pp. 54-58).
Giuseppe morì il 13 marzo 1703 (Arese, 1975, p. 87).
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