VIOLENZA
Diritto privato. - Si dice violenza la minaccia esercitata contro qualcuno allo scopo di farlo addivenire a un negozio giuridico.
Il più antico diritto romano non conosceva rimedî contro siffatta violenza: non solo, infatti, si doveva riconoscere esistente la dichiarazione, ma anche la volontà stessa (coactus volui, sed volui). Soltanto il pretore venne in aiuto della vittima, con rimedî a duplice tendenza: mentre in un momento iniziale sembra aver dominato il proposito di fare come se il negozio giuridico in questione non fosse avvenuto (restitutio in integrum, da attuarsi causa cognita dal magistrato col far rivivere l'azione perduta o col paralizzare mediante eccezione l'altrui azione), prevalse in un secondo momento l'idea di una pena da infliggere all'autore della violenza o a chi se ne fosse avvantaggiato. Al termine di questa evoluzione, cioè in epoca classica, si trovano praticati due rimedî: l'eccezione (exceptio metus), data alla vittima contro l'azione di colui che dall'atto inficiato abbia ricavato un diritto; e un'azione penale (actio metus, o quod metus causa) da intentarsi nel caso che il pregiudizio patrimoniale del violentato sia già consumato.
Questa azione, che è in quadruplum, è data secondo le fonti non solo contro l'autore o mandante della violenza, ma anche contro il terzo che abbia successivamente ricevuto il vantaggio dell'atto giuridico inficiato (onde il nome di actio in rem scripta, dove in rem significa "senza riguardo alla persona"): va detto, però, che secondo una recente tendenza dottrinale i testi relativi a questa estensione della legittimazione passiva sarebbero stati oggetto d'interpolazione, e in diritto classico l'azione sarebbe stata data soltanto nei confronti della controparte o del diretto beneficiario del negozio. In ogni caso, l'azione non era conforme al regime suddetto che entro l'anno dalla commessa violenza: successivamente era in simplum, destinata cioè al solo risarcimento del danno (o, secondo altre dichiarazioni delle fonti, al solo arricchimento del convenuto).
Altro problema delicato è di vedere se il regime descritto vigesse per tutti i negozî, o se per i non formali valesse il principio della nullità assoluta: in ogni caso, gli sforzi di recenti studiosi per documentare sulle fonti questa nullità assoluta non sono stati coronati finora da grande successo. Piuttosto va detto che verso la nullità assoluta tendevano certe fonti postclassiche occidentali, come le Sententiae falsamente attribuite al giurista Paolo, il cui insegnamento non ha però esercitato grande influenza sul pensiero orientale che si rispecchia nelle innovazioni giustinianee.
Anche nei primi periodi di svolgimento del diritto comune, glossatori e postglossatori oscillavano spesso fra le due idee della nullità assoluta e dell'atto esistente ma rescindibile: tuttavia la prevalenza della limpida teoria romana non è mai stata seriamente scossa. Piuttosto si è molto insistito su una distinzione, che i Romani non avevano formulato, fra vis absoluta e vis compulsiva: mentre quest'ultima si riconobbe nella minaccia che abbiamo definita in principio, con la seconda si usò indicare la costrizione materiale all'atto, come di chi prendesse a forza la mano di un altro e gli facesse scrivere ciò che non vorrebbe. Giustamente questa forma di coazione non era fatta oggetto in Roma di speciale considerazione, né è contemplata espressamente oggidì: è evidente, infatti, che in casi simili la volontà (o, in materia contrattuale, il consenso) non esiste che in apparenza, sicché la nullità del negozio non può non essere assoluta.
Per quanto riguarda i mezzi (eccezione e azione) diretti a porre nel nulla il negozio inficiato da vis compulsiva, l'imitazione della terminologia romana, formatasi sulla base della restitutio in integrum, fece prevalere il nome di rescissione, ancora oggi in auge nella scienza francese: va però avvertito che in pratica questa cosiddetta rescissione coincide esattamente con l'annullamento che ha luogo in seguito a dolo o ad errore.
Le regole fondamentali della violenza, così formatesi attraverso un'evoluzione abbastanza rettilinea, erano riassunte da R.-J. Pothier nelle massime seguenti. L'annullamento, o rescissione che dir si voglia, ha luogo tanto se la violenza sia stata commessa dall'interessato quanto se ne sia autore un terzo. Comunque, deve trattarsi di minaccia tale da fare impressione a una persona sensata e di normale energia (forse era troppo dire "courageuse"), la quale sia ragionevolmente intimorita dalla previsione di un male grave, sia per sé medesima, sia per uno stretto parente o per il coniuge. Il timore di cagionar dispiacere a un genitore o ad altra persona di riguardo (cosiddetto metus revaentialis) non è violenza, e non è base sufficiente per l'azione di nullità. Su queste massime furono sostanzialmente condotti gli articoli del codice Napoleone sulla materia, imitati nel codice italiano (articoli 1111-1114).
Bibl.: S. Schlossman, Zur Lehre vom Zwange, Lipsia 1874; F. Schulz, Zur Lehre vom erzwungenen Rechtsgeschäft, in Zeitschr. Savigny-Stift., XLIII (1922), p. 171 segg.; A. Breton, La notion de la violence en tant que vice du consentement, Parigi 1925; G. Zani, L'evoluzione storico-dommatica dell'odierno sistema dei vizî del volere e delle relative azioni di annullamento, in Riv. italiana sc. giur., n. s., II (1927), p. 355 segg., 488 segg.; G.-B. Funaioli, La teoria della violenza nei negozi giuridici, Roma 1927; U. v. Lübtow, Der Ediktstitel Quod metus causa gestum erit, Greifswald 1932; G. H. Maier, Prätorische Bereicherungsklagen, Berlino 1932, p. 91 segg.; R. Demogue, Traité des obligations en général, I, Parigi 1933, p. 481 segg.; R. de Ruggiero, Istituzioni di dir. civ., 7ª ed., I, Messina 1934, p. 245 segg.; G. Sanfilippo, Il metus nei negozi giurid., in Annali Univ. Camerino, VII (1934), p. 1 segg.; E. Betti, Diritto romano, I: Parte generale, Padova 1935, p. 309 segg.; C. Longo, Contributi alla teoria della violenza, in Bull. dell'Ist. di dir. rom., n. s., I (1935), p. 68 segg.
Sulla violenza nel diritto penale v. resistenza all'autorità.