Violazione della concorrenza e tutela risarcitoria
Col d.lgs. 19.1.2017, n. 3, è stata recepita la direttiva 2014/104/UE in tema di risarcimento del danno per violazione della disciplina antitrust. Il contributo esamina i principali aspetti della normativa, – in particolare quelli riguardanti l’onere della prova, il rapporto tra l’accertamento amministrativo ed il giudizio civile, i criteri di liquidazione del danno e la prescrizione – ponendoli a raffronto con il precedente assetto giurisprudenziale in materia. Viene sottolineato lo sforzo del legislatore di rendere più efficace la tutela del danneggiato, in una logica di integrazione tra strumenti di private e public enforcement, che non manca però di sollevare delicati problemi di compatibilità con l’assetto costituzionale italiano.
Con il d.lgs. 19.1.2017, n. 3, è stata data attuazione nel nostro ordinamento alla direttiva 2014/104/UE, riguardante il risarcimento del danno per violazione della disciplina antitrust. Il legislatore ha così delineato una speciale disciplina per questo tipo di azioni, che presenta molti motivi d’interesse e solleva alcuni problemi sistematici. Conviene dunque procedere alla ricognizione delle più rilevanti tra le peculiarità da cui è connotata detta disciplina rispetto al quadro generale della responsabilità civile.
È frequente che la disciplina della responsabilità civile s’intrecci con altri settori del diritto. Non è certo cosa sorprendente, giacché i doveri di comportamento la cui violazione è fonte di responsabilità possono trovare fondamento in campi diversi dell’ordinamento: onde accade che i principi generali della responsabilità civile debbano di volta in volta coniugarsi con le specificità di questo o quel settore del diritto e se ne ha un esempio proprio in tema di risarcimento del danno per violazione delle regole sulla concorrenza. Occorre qui bilanciare, da un lato, la necessità di conservare alcuni tratti essenziali della responsabilità civile consegnatici da una millenaria tradizione, il cui smarrimento comporterebbe un prezzo eccessivo in termini di coerenza generale dell’ordinamento, e d’altro lato l’esigenza di calibrare la disciplina in funzione delle caratteristiche proprie di un settore del diritto relativamente nuovo, quale è quello della concorrenza, i cui tratti salienti per molti aspetti si discostano dalle tradizionali categorie del diritto civile e spesso perciò richiedono l’utilizzo di strumenti giuridici propri anche di altre branche del sapere1. Una precisazione però subito s’impone. La disciplina della concorrenza non è certo ignota al codice civile, che vi dedica un apposito titolo (il titolo X del libro V). Essa appare ancora per molti versi ispirata dall’originaria istanza di tutela dell’attività imprenditoriale da cui nacque, in una logica produttivistica (e corporativa) dominante al tempo dell’emanazione del codice civile2. È dunque una normativa – in specie quella in tema di concorrenza sleale e divieto di concorrenza – che principalmente ha riguardo all’interesse del singolo imprenditore (o della categoria professionale degli imprenditori) e trova sbocco dinanzi al giudice secondo le regole del processo civile. Ben altra impostazione ha invece la disciplina – comunemente definita “antitrust” – introdotta nel nostro ordinamento dalla l. 10.10.1990, n. 287. L’idea di fondo è che il libero mercato sia uno dei fulcri intorno al quale ruota l’organizzazione delle moderne società democratiche e che, nondimeno, per poter assolvere correttamente la sua funzione occorre che il mercato sia almeno in qualche misura regolato dalla legge, con la conseguente necessità di un apposito apparato di vigilanza ed un corredo di possibili sanzioni. In quest’ottica, che si colloca in uno scenario sovranazionale in cui prima la Comunità e poi l’Unione europea hanno svolto e svolgono un ruolo di primo piano3, l’attenzione del legislatore (nazionale ed europeo) appare primariamente rivolta alla tutela non già degli imprenditori bensì del mercato nel suo insieme. Ma il mercato, com’è noto, è un’espressione poliedrica in cui si intrecciano interessi di ordine generale (o, se si preferisce, interessi pubblici) e diritti ed interessi individuali (o talvolta diffusi, ma pur sempre privati). Il che chiama in causa, accanto a quella tradizionale dell’autorità giudiziaria, anche l’opera di autorità amministrative e colloca la relativa disciplina giuridica a cavallo tra diritto pubblico e diritto privato4. Perciò anche il regime della responsabilità civile subisce in questo campo una particolare curvatura, accentuata dal sempre più stretto intreccio tra strumenti di public e di private enforcement, i quali operano su piani diversi e sono affidati ad organi diversi – l’Autorità garante (AGCM) ed il giudice – ma concorrono al comune scopo di attuazione obiettiva del diritto, a fini di interesse generale, anche attraverso la più efficace tutela dei diritti soggettivi dei singoli.
La menzionata direttiva europea, a seguito di un lungo ed articolato percorso sul quale non è possibile qui soffermarsi, muove da un duplice presupposto: in primo luogo la constatazione che la tutela pubblicistica, affidata alla vigilanza ed all’intervento sanzionatorio di autorità amministrative, può non essere da sola sufficiente a garantire l’efficace attuazione delle norme disciplinanti la concorrenza e volte a favorire le finalità economico-sociali del mercato; in secondo luogo la considerazione del carattere plurioffensivo di gran parte degli illeciti anticoncorrenziali, che sovente ledono sia l’interesse pubblico al corretto funzionamento del mercato sia una molteplicità di interessi individuali di operatori e consumatori. Da ciò la spinta ad agevolare per i privati l’esercizio della tutela giurisdizionale, modulando di conseguenza anche le regole della responsabilità civile in modo da favorire l’effettività di tale tutela per conseguire sinergicamente gli scopi generali della normativa; ed al tempo stesso il tentativo di coordinare meglio gli strumenti d’intervento pubblico con l’impianto delle regole processuali che disciplinano l’attività giurisdizionale, superando la tradizionale separatezza dei rispettivi piani. Il tutto, naturalmente, in un’ottica (pur sempre relativa) di armonizzazione dei diversi ordinamenti giuridici degli Stati membri, tanto più necessaria in un campo, come quello della concorrenza tra operatori economici, che (quanto meno nell’ambito dell’Unione europea) tende a prescindere da barriere nazionali5. Un’analoga impostazione è del resto già ben presente nel regolamento europeo 16.12.2002, n. 1/2003, il cui 7° considerando, pur sottolineando la funzione essenziale svolta dalle giurisdizioni nazionali nell’applicazione delle regole di concorrenza comunitarie con particolare riguardo alla tutela dei diritti soggettivi garantiti attraverso lo strumento del risarcimento del danno, espressamente qualifica il ruolo della giurisdizione come «complementare rispetto a quello delle autorità garanti della concorrenza degli Stati membri». La complementarietà tra public e private enforcement è rafforzata dall’esplicita previsione della direttiva 2014/104 secondo cui «qualsiasi persona fisica o giuridica che abbia subito un danno causato da una violazione del diritto della concorrenza possa chiedere e ottenere il pieno risarcimento» (art. 3, par. 1), con l’ulteriore puntualizzazione che il risarcimento può esser chiesto, ricorrendone i presupposti, anche dall’acquirente indiretto (cioè dal soggetto collocato ad un livello successivo della catena di trasferimenti del bene che all’origine sia stato oggetto di una violazione del diritto della concorrenza: artt. 2, n. 24, e 14). È quindi ormai ben chiaro che la violazione del diritto antitrust non è cosa che riguardi solo le imprese concorrenti, ma anche i terzi – ed in specie i consumatori6 – che da quella violazione abbiano subito un pregiudizio, ivi compreso chi sia stato danneggiato da un’intesa anticoncorrenziale pur senza avere avuto alcun rapporto con le parti di quell’intesa. Conclusione, questa, che nel diritto interno si era raggiunta solo grazie ad un intervento delle Sezioni Unite della Cassazione che chiarirono come la normativa in questione non tuteli il diritto del concorrente (o non solo quello) bensì un più generale bene giuridico. La legge antitrust «non è la legge degli imprenditori soltanto, ma è la legge dei soggetti del mercato»7, e quindi è destinata ad assolvere una funzione di rilevante importanza nella tutela dei diritti dei consumatori, i quali del mercato sono protagonisti non meno dei produttori e dei fornitori. Ed è proprio l’ampliamento della platea dei soggetti legittimati a dolersi dinanzi al giudice per la violazione delle regole legali della concorrenza a far sì che l’azione dei privati possa concorrere a rafforzare l’intervento pubblico in vista di una più efficace profilassi del mercato8.
La direttiva è stata recepita nel già citato d.lgs. n. 3/2017, che ne rispecchia le finalità. Non potendo qui indulgere in un’analisi esauriente delle singole disposizioni contenute in detto decreto9, mi soffermerò brevemente su alcuni soltanto dei profili che presentano maggiore interesse, in quanto più innovativi rispetto alla disciplina comune10 ed alle usuali regole con cui la responsabilità civile può esser fatta valere nel processo: l’onere della prova, il rapporto tra l’accertamento amministrativo ed il giudizio civile, i criteri di liquidazione del danno, la prescrizione.
Perché l’effettività della normativa antitrust possa giovarsi anche dell’azione dei privati bisogna, ovviamente, che costoro siano sufficientemente incentivati ad assumere le iniziative che l’ordinamento mette loro a disposizione per ottenere il risarcimento del danno subito. Ma un’azione giudiziaria presenta sempre dei rischi d’insuccesso, da porre a raffronto con i costi di tempo e di denaro che essa comporta, sicché soltanto se quei rischi siano non eccessivi, e comunque proporzionati ai costi, si potrà davvero contare sull’efficacia deterrente del private enforcement. Occorre perciò chiedersi se le regole che generalmente presidiano siffatte azioni non siano eventualmente tali da scoraggiarle o, quanto meno, non tali da incentivarle nella misura desiderata. È appunto questa la preoccupazione che sembra avere principalmente ispirato il legislatore nel dettare in questo particolare settore una disciplina della responsabilità civile parzialmente derogatoria rispetto a quella generale. Una preoccupazione che soprattutto investe il regime dell’onere della prova gravante sull’attore (o su chiunque invochi in giudizio l’altrui responsabilità), che può risultare eccessivamente severo quando, come in questo caso, la responsabilità di cui si discute sia di natura extracontrattuale. Non è sempre agevole dimostrare la sussistenza di violazioni della normativa in tema di concorrenza, né gli effetti dannosi che ne possano esser derivati ed il nesso causale tra quella violazione e quegli effetti. Occorre spesso ricostruire la struttura e la dimensione del mercato di cui si tratta, così da poter definire la nozione di mercato rilevante, e raffrontare comportamenti di una pluralità di soggetti agenti su quel mercato per riuscire a formulare ipotesi controfattuali che consentano di stabilire con sufficiente plausibilità quali sarebbero stati i comportamenti degli operatori e quali i conseguenti effetti economici qualora la prescrizione legale fosse stata rispettata. Il che implica non di rado la necessità di raccogliere un’ingente quantità di dati, quasi mai facilmente alla portata del singolo danneggiato (specie se si tratta di un singolo consumatore), e presuppone in molti casi una capacità di analisi che il comune cittadino non possiede. Di queste difficoltà la giurisprudenza si era fatta carico già prima del recepimento della direttiva 2014/104, soprattutto tendendo a valorizzare nel giudizio risarcitorio, sia pure in termini di presunzione suscettibile di prova contraria, le risultanze dell’eventuale procedimento amministrativo svoltosi davanti all’Autorità garante; e siffatta presunzione è stata talvolta estesa sino al punto d’investire anche il nesso di causalità tra l’illecito accertato in sede amministrativa dall’Autorità ed il danno lamentato nel giudizio civile11. Ma ciò è possibile solo se l’azione civile segua il procedimento amministrativo svoltosi dinanzi all’Autorità garante (cd. azioni follow on). La strada resta invece per l’attore tutta in salita in caso di azioni esercitate senza che vi sia stato un previo intervento pubblico (cd. azioni stand alone). Anche in simili casi, tuttavia, la giurisprudenza non si è mostrata insensibile all’esigenza di smussare l’asimmetria di posizioni tra attore e convenuto, optando per una lettura delle norme processuali funzionale all’obiettivo di una più efficace attuazione del diritto della concorrenza: donde l’affermazione secondo cui, pur nel rispetto del principio del contraddittorio e fermo restando l’onere dell’attore d’indicare seri indizi dimostrativi della fattispecie denunciata come idonea ad alterare la libertà di concorrenza, il giudice non deve applicare meccanicamente il principio dell’onere della prova, ma è tenuto a valorizzare opportunamente gli strumenti d’indagine e conoscenza che le norme processuali già prevedono, interpretando estensivamente le condizioni stabilite dal codice in tema di esibizione di documenti, richiesta di informazioni e consulenza tecnica d’ufficio, ed esercitando anche officiosamente i poteri d’indagine, acquisizione e valutazione di dati e informazioni utili per ricostruire la fattispecie anticoncorrenziale12.
Credo non si sbagli affermando che l’assetto giurisprudenziale sommariamente descritto13, che del resto già in qualche misura risentiva della normativa europea sin dalla fase della sua preparazione, sia stato sostanzialmente consolidato dal d.lgs. n. 3/2017. Vi sono tuttavia, quanto meno sul piano formale, aspetti di novità di non poco rilievo, che, come più avanti si avrà modo di meglio precisare, presentano alcune difficoltà ad essere inquadrati nei principi generali del nostro ordinamento. Nel caso delle azioni risarcitorie cd. follow on l’art. 7, co. 1, d.lgs. n. 3/2017 stabilisce che la violazione del diritto della concorrenza è da considerarsi «definitivamente accertata» anche nell’ambito del giudizio civile quando sia stata constatata da una decisione non più impugnabile dell’Autorità garante o, se questa sia stata impugnata, dalla sentenza che ha deciso sull’impugnazione. L’accertamento, precisa la norma, riguarda la natura della violazione e la sua portata materiale, personale, temporale e territoriale. L’elemento di novità è evidente. Prima – come già si è ricordato – si riteneva che l’accertamento della violazione ad opera dell’Autorità garante esonerasse l’attore del giudizio risarcitorio dal dover provare il comportamento del convenuto e la sua contrarietà alle regole della concorrenza, potendo tuttavia il convenuto fornire una prova contraria; e la giurisprudenza aveva avuto sempre cura di sottolineare come ciò lasciasse intatta (almeno in via di principio) la competenza del giudice dell’azione risarcitoria ad accertare l’effettiva sussistenza di un illecito antitrust in piena autonomia, senza che le eventuali determinazioni dell’Autorità garante ne potessero vincolare la decisione né sul piano processuale, né su quello sostanziale14. Oggi, invece, l’accertamento dell’Autorità garante (o del giudice amministrativo dinanzi al quale il provvedimento dell’Autorità garante sia stato impugnato), diviene indiscutibile nel successivo giudizio risarcitorio, né perciò il convenuto potrebbe tentare di contrastarlo deducendo una qualche prova contraria: il che non consente più di affermare che il giudice della causa risarcitoria conserva la propria piena competenza ad accertare la sussistenza dell’illecito. La specificazione secondo cui la definitività dell’accertamento investe «la natura della violazione e la sua portata materiale, personale, temporale e territoriale» non lascia dubbi sul fatto che l’attore non dovrà più in alcun modo preoccuparsi di dimostrare il comportamento tenuto da chi si assume abbia violato la normativa, né le modalità di tempo e luogo in cui quel comportamento si è manifestato. Ma non sono solo profili di fatto quelli che non possono esser messi più in discussione: il vincolo investe anche il profilo giuridico consistente nello stabilire che il comportamento in questione è contrario alla normativa in questione, come interpretata dall’Autorità che quell’accertamento ha compiuto, e, di conseguenza, la stessa «natura della violazione»15. Forse, sul piano pratico, questa novità non cambierà di molto gli equilibri processuali in questo genere di cause, poiché già l’attribuzione all’accertamento amministrativo del rango di prova privilegiata assicurava al danneggiato un sufficiente margine di sicurezza in ordine agli aspetti dianzi menzionati. Innegabilmente, però, ne risultano modificati sia il rapporto tra la funzione amministrativa e quella giurisdizionale, sia, quando l’accertamento promani da una pronuncia del giudice amministrativo, i limiti entro i quali un giudicato esplica i propri effetti in un diverso giudizio. Su tali aspetti problematici si tornerà nella parte finale di questo scritto. Qui invece è da notare che la scelta operata dal legislatore nazionale vale, se non proprio a colmare, almeno a ridurre una divaricazione in precedenza esistente con la normativa europea. Infatti l’art. 16, co. 1, del citato regolamento n. 1/2003 prevede che «Quando le giurisdizioni nazionali si pronunciano su accordi, decisioni e pratiche ai sensi dell’articolo 81 (ora 101) o 82 (ora 102) del trattato che sono già oggetto di una decisione della Commissione, non possono prendere decisioni che siano in contrasto con la decisione adottata dalla Commissione. Esse devono inoltre evitare decisioni in contrasto con una decisione contemplata dalla Commissione in procedimenti da essa avviati. A tal fine le giurisdizioni nazionali possono valutare se sia necessario o meno sospendere i procedimenti da esse avviati». Ne consegue che il giudice nazionale è vincolato all’accertamento dell’infrazione compiuto dalla Commissione, benché questa sia un’autorità amministrativa e non certo giurisdizionale, in modo non dissimile da quanto ora accade per gli accertamenti svolti dall’Autorità garante italiana. In caso di contemporanea pendenza del procedimento amministrativo dinanzi alla Commissione e del giudizio dinanzi al giudice civile, potrebbe configurarsi una situazione di vera a propria pregiudizialità giuridica, in presenza della quale però il regolamento europeo lascia libero il giudice di sospendere o meno la causa per risarcimento del danno, mentre il legislatore nazionale nulla ha previsto per l’analoga situazione in cui sia ancora in corso il procedimento amministrativo dinanzi all’Autorità garante (o il conseguente giudizio d’impugnazione dinanzi al giudice amministrativo)16. Una lacuna, questa, che mi sentirei di colmare applicando analogicamente la citata disposizione del regolamento europeo, stante l’identità di ratio. Un’ulteriore differenza però appare evidente. Mentre la citata disposizione della legge nazionale (in conformità alla direttiva) impone di considerare accertata nel giudizio civile risarcitorio soltanto la violazione del diritto della concorrenza che sia stata positivamente constatata dall’Autorità garante, il regolamento europeo sembrerebbe voler attribuire una simile efficacia vincolante alle decisioni della Commissione quale che ne sia il tenore, e quindi anche se (o per la parte in cui) esse abbiano eventualmente escluso la sussistenza di una determinata violazione. Ma questa conclusione, benché aderente al tenore letterale delle disposizioni in esame, non mi pare convincente. A parte la discrasia di disciplina che si verrebbe così a determinare, a seconda che si sia in presenza di un accertamento dell’Autorità garante interna o della Commissione su vicende che, ai fini del risarcimento del danno, presentano evidenti affinità, il precludere al privato danneggiato la possibilità di dimostrare in sede civile l’esistenza di una violazione del diritto delle concorrenza esclusa in sede amministrativa, all’esito di un procedimento cui egli non ha partecipato, appare del tutto incongruo e, soprattutto, contraddice l’impostazione di fondo di una normativa (tanto europea quanto nazionale) volta non certo a limitare bensì a favorire l’esercizio dei diritti risarcitori individuali nella logica di cooperazione tra private e public enforcement già evidenziata. Occorre ancora fare una precisazione importante. Si è già ricordato come il co. 1 dell’art. 17 d.lgs. n. 3/2017 di recepimento della direttiva indichi espressamente a quale riguardo l’accertamento della violazione da parte dell’Autorità garante è da considerarsi definitivamente acquisito anche nel successivo giudizio civile per risarcimento del danno. Magari un po’ pleonasticamente, ma non direi inopportunamente, il medesimo comma si esprime anche in senso negativo chiarendo che, viceversa, quel medesimo effetto non si produce quanto all’accertamento del nesso di causalità che deve sussistere tra la constatata violazione ed il danno lamentato dall’attore, né quanto all’esistenza stessa di tale danno. Si ricorderà però che, prima del recepimento della direttiva, la giurisprudenza era stata incline ad estendere il regime di prova privilegiata derivante dall’accertamento amministrativo anche al danno ed al nesso causale. La disposizione di legge ora introdotta solleva perciò un interrogativo: si tratta di capire se, specificando che l’accertamento compiuto dall’Autorità garante non produce effetto vincolante nel giudizio civile quanto alla prova del danno e del nesso di causalità, il legislatore abbia voluto riporre totalmente a carico di chi si pretende danneggiato l’onere di provare queste due condizioni di fondatezza della sua domanda, come da regola generale in tema di responsabilità civile, o se abbia soltanto voluto precisare che non ci si può spingere sino al punto di riconoscere all’accertamento compiuto in sede amministrativa effetti vincolanti anche in ordine all’esistenza del danno e del nesso di causalità, lasciando tuttavia impregiudicata la possibilità di attribuirvi il valore di prova privilegiata in conformità al ricordato orientamento giurisprudenziale. A mio sommesso avviso, in un quadro complessivo già caratterizzato da evidenti (benché giustificati) elementi di favore per l’attore, il quale può organizzare la sua strategia processuale muovendo dal fatto incontestabile che il convenuto si è reso responsabile dell’illecito concorrenziale già accertato in altra sede, avrebbe poco senso continuare ad attribuire uno speciale valore probatorio a quell’accertamento anche in ordine all’esistenza di danni che non sempre ne costituiscono necessariamente la conseguenza. Esiterei quindi a parlare ancora, a questo riguardo, di una qualche inversione dell’onere della prova: l’onere di dimostrare il danno ed il nesso causale è destinato a restare in capo all’attore (e si vedrà poi come la normativa in esame gli dia anche strumenti più efficaci per assolverlo), fermo restando che egli ovviamente potrà invocare le presunzioni logiche che, in base all’id quod plerumque accidit, possano indurre il giudice, nel suo libero convincimento, a considerare raggiunta la prova. Mi sembra che tale conclusione sia rafforzata, sul piano sistematico, anche dalla previsione dell’art. 14, co. 2, d.lgs. n. 3/2017 secondo cui «l’esistenza del danno cagionato da una violazione del diritto alla concorrenza consistente in un cartello si presume, salva prova contraria dell’autore della violazione»17: una norma speciale che, nell’introdurre la presunzione di danno per le violazioni in essa specificamente indicate, implicitamente esclude che tale presunzione possa valere in via generale per ogni altra violazione del diritto della concorrenza18.
Ulteriori facilitazioni nell’assolvimento dell’onere della prova, sia nelle cd. azioni follow on sia in quelle cd. stand alone, riguardano il regime dell’esibizione delle cose o dei documenti19. È importante perché in giudizi di questo tipo la prova documentale assume quasi sempre importanza decisiva ma, d’altro canto, i documenti idonei a provare i comportamenti anticoncorrenziali del convenuto sono per lo più nell’esclusiva disponibilità di quest’ultimo (o eventualmente di terzi) e non dell’attore. In questi casi vengono quasi sempre a collidere l’esigenza di riservatezza di cui si fa portatore colui che detiene il documento ed il diritto dell’attore a poter dimostrare la fondatezza della propria pretesa. Il codice di rito bilancia i contrapposti interessi consentendo all’attore di chiedere che il giudice ordini alla controparte o al terzo l’esibizione di un documento o di ogni altra cosa di cui ritenga necessaria l’acquisizione al processo (art. 210 c.p.c.), ma solo nei limiti entro cui è consentito disporre ispezioni di persone o cose, ossia quando ciò appaia indispensabile per conoscere i fatti di causa e non rechi grave danno alla parte o al terzo; e la giurisprudenza (valorizzando il disposto dell’art. 94 disp. att. c.p.c.) è sempre stata attenta ad evitare che siffatto strumento sia adoperato a fini meramente esplorativi, richiedendo che l’istante fornisca elementi idonei sia ad individuare con sufficiente specificità i documenti dei quali è chiesta l’esibizione sia a far ritenere che effettivamente essi si trovino nella disponibilità della controparte o del terzo20. Nei giudizi di risarcimento del danno per violazione del diritto della concorrenza il punto di equilibrio è spostato un po’ più in favore dell’istante. L’art. 3, co. 1, continua a prevedere che la richiesta di esibizione debba essere motivata e contenere «l’indicazione di fatti e prove ragionevolmente disponibili dalla controparte o dal terzo», ma non pretende che ciò sia indispensabile per la conoscenza dei fatti di causa, bensì soltanto si tratti di prove «sufficienti a sostenere la plausibilità della domanda di risarcimento del danno o della difesa».
Resta comunque ampio – ed anzi il legislatore ne evidenzia ulteriormente l’ampiezza – il margine di appezzamento rimesso al giudice21, cui in definitiva pur sempre compete di operare il corretto bilanciamento degli interessi in gioco. Infatti il co. 3 del medesimo articolo, premesso che l’ordine di esibizione può essere disposto solo «nei limiti in cui è proporzionato alla decisione», specifica che il giudice non solo deve valutare in qual misura l’esibizione sia giustificata da fatti e prove dedotti dal richiedente, ma anche, soprattutto quando l’esibizione debba essere ordinata ad un terzo, se non ne siano eccessivi i costi e se eventualmente siano coinvolte informazioni riservate di carattere personale, commerciale, industriale e finanziario relative a persone ed imprese oppure segreti commerciali; nel qual caso il successivo co. 4 enuncia una serie di misure da adottare per proteggere la riservatezza di tali informazioni pur consentendone l’utilizzo nel processo per quanto necessario. Un ulteriore elemento di novità consiste nella possibilità che il giudice, nel provvedimento motivato col quale dispone l’esibizione individuandone specificamente l’oggetto, previa audizione della parte o del terzo al quale l’ordine è rivolto22, possa fare riferimento anche a «categorie di prove», ossia ad un insieme di documenti aventi caratteristiche comuni. Il che, se per un verso certamente agevola chi richiede l’esibizione pur non essendo in grado d’individuare in modo preciso gli specifici documenti cui riferire la propria istanza, per altro verso ulteriormente accentua la discrezionalità valutativa del giudice chiamato a provvedere, giacché la definizione legislativa dei caratteri comuni alla categoria delle prove («la natura, il periodo durante il quale sono stati formati, l’oggetto o il contenuto degli elementi di prova») appare alquanto vaga e generica23. È possibile che l’ordine di esibizione abbia ad oggetto documenti contenuti in un fascicolo dell’Autorità garante, ma solo in via, per così dire, sussidiaria: quando cioè nessun altro soggetto sarebbe in grado di produrre quel documento. Anche in questo caso l’ordine di esibizione è soggetto ai limiti ed alle più stringenti condizioni specificamente enunciate dall’art. 4 del decreto, al dichiarato scopo di evitare interferenze con un concomitante procedimento amministrativo per i medesimi fatti, ossia – come si esprimono il co. 3, lett. c), ed il co. 8 dell’articolo citato – per «salvaguardare l’efficacia dell’applicazione a livello pubblicistico del diritto della concorrenza»24. Nella medesima logica di rafforzamento degli strumenti di private enforcement si collocano anche le disposizioni dell’art. 6 d.lgs. n. 3/2017. L’ingiustificata inottemperanza della parte all’ordine di esibizione, cui è equiparata la distruzione di prove rilevanti ai fini del giudizio, fa sì che il giudice, valutato ogni altro elemento, possa ritenere provato il fatto al quale la prova si riferisce (co. 6 dell’articolo citato): una conseguenza potenzialmente più gravosa per la parte inadempiente di quella prevista in simili casi dal codice di procedura, il cui art. 116, co. 2, consente soltanto di desumere dal comportamento di detta parte argomenti di prova (e non di considerare il fatto controverso senz’altro provato). Inoltre, nei medesimi casi, i primi due commi del citato art. 6 contengono la previsione di un’inedita sanzione pecuniaria a carico della parte o del terzo, peraltro bilanciata da analoga sanzione pecuniaria e dalla sanzione processuale della soccombenza a carico della parte che utilizzi le prove in violazione dei limiti legali (co. 4 e 7).
Ci si sarebbe potuto attendere che la valorizzazione dell’azione risarcitoria, come strumento destinato ad affiancare gli interventi sanzionatori della pubblica autorità per meglio assicurare l’efficacia della normativa antitrust, spingesse il legislatore ad assegnare alla responsabilità civile, in questo particolare settore, una marcata connotazione sanzionatoria. Una tale scelta non sarebbe stata certo inconcepibile, avendo ormai anche la giurisprudenza assimilato l’idea che la responsabilità civile possa avere carattere polifunzionale, non essendo incompatibile con alcun principio inderogabile dell’ordinamento che il legislatore affianchi alla tradizionale finalità riparatoria o ripristinatoria della sfera giuridica del danneggiato uno scopo di deterrenza e di prevenzione generale con connotati dichiaratamente sanzionatori25. In realtà, benché spesso si parli indistintamente di una possibile funzione deterrente (o preventiva) e sanzionatoria (o punitiva) della responsabilità civile, i due termini non sono del tutto sovrapponibili. È normale che la previsione di una sanzione abbia sempre un effetto preventivo di comportamenti illeciti, ma la funzione preventiva e la funzione sanzionatoria restano nondimeno distinte: l’una è generale ed orientata al futuro, l’altra è legata alla specificità di un singolo evento già accaduto e ne costituisce una conseguenza.
È pure intuitivo che la prospettiva di dover risarcire il danno prodotto dal proprio illegittimo comportamento svolga una funzione preventiva di deterrenza, inducendo a non tenere quel comportamento per non essere poi esposto alle conseguenze risarcitorie, senza però che ciò valga ad attribuire al risarcimento un’ulteriore e specifica funzione sanzionatoria, la quale invece postula un quid pluris afflittivo rispetto al mero obbligo di ripristinare la sfera giuridico-patrimoniale del danneggiato. Se così è, mi pare si possa dire che il legislatore europeo, e di conseguenza quello nazionale, sforzandosi di rendere più efficaci gli strumenti attraverso i quali conseguire il risarcimento del danno per violazione della normativa antitrust, hanno certamente inteso accentuare la naturale valenza general-preventiva dell’istituto della responsabilità civile (la funzione deterrente del risarcimento), senza però assegnarle anche una specifica funzione sanzionatoria (o punitiva)26. Chiara è infatti l’indicazione della direttiva nell’escludere ogni forma di overcompensation, ed altrettanto chiaro è l’art. 14, co. 1, d.lgs. n. 3/2017 nel prescrivere che il risarcimento del danno «si deve determinare secondo le disposizioni degli articoli 1223, 1226 e 1227 del codice civile». Ed è una scelta comprendibile, ove si rifletta sul fatto che la violazione delle norme in tema di concorrenza dovrebbe trovare già una risposta sanzionatoria di carattere pubblicistico nell’intervento dell’Autorità garante, onde non vi è ragione di introdurre ulteriori tipi di sanzione, essendo invece più logico riservare allo strumento privatistico del risarcimento del danno una funzione complementare ai fini della prevenzione, ma destinata pur sempre ad operare su un piano ben distinto da quello propriamente punitivo. La circostanza che il risarcimento dovuto dall’autore dell’illecito non debba superare l’entità del danno subito dalla vittima non esclude però, ovviamente, che alla sua concreta quantificazione si possa pervenire in via equitativa, secondo le regole generali del codice civile espressamente richiamate dalla normativa speciale. La particolarità che per certi versi può costituire un’ulteriore facilitazione processuale per l’attore danneggiato risiede nella facoltà attribuita al giudice di richiedere l’assistenza dell’Autorità garante ai fini di una migliore quantificazione del danno da risarcire (art. 14, co. 3). Qui all’Autorità garante, in considerazione della sua esperienza e professionalità in materia, viene assegnato un compito da amicus curiae, la cui concreta funzionalità molto dipenderà dal modo in cui questo strumento verrà in concreto adoperato dal giudice e dalla stessa Autorità, sembrando invero alquanto vaghe le prescrizioni dettate dal legislatore secondo cui le richieste formulate dal giudice, pur dovendo essere specifiche, dovrebbero avere ad oggetto non meglio definiti orientamenti dell’Autorità riguardanti la quantificazione del danno, ferma restando l’altrettanto vagamente enunciata esigenza che ciò non comprometta «l’efficacia dell’applicazione a livello pubblicistico del diritto della concorrenza».
La prescrizione civile risponde anzitutto all’esigenza di evitare che vincoli obbligatori sussistano in perpetuo, o che comunque si protraggano oltre un ragionevole lasso di tempo: un’esigenza che pone quindi in primo piano la condizione del debitore ed il suo legittimo interesse a non restare indefinitamente soggetto a quel vincolo, in conformità ad un’istanza sociale di certezza e stabilità che spinge, in prospettiva, a far coincidere la situazione giuridica con lo stato di fatto consolidatosi nel tempo. Viene però anche in gioco l’atteggiamento soggettivo del creditore, la cui protratta inattività giustifica la presunzione che egli abbia perso interesse a far valer il credito e lo abbia perciò, di fatto, lasciato definitivamente cadere. È sotto questo secondo profilo che soprattutto si spiega la disciplina degli atti interruttivi, che dimostrano la perdurante intenzione del creditore di esercitare il suo diritto e gli consentono perciò di farlo anche a maggior distanza di tempo, quando, in assenza dell’interruzione, il termine di prescrizione sarebbe maturato. Pure le cause di sospensione del termine di prescrizione, comportando un prolungamento del tempo in cui il debitore resta soggetto al vincolo obbligatorio per effetto di circostanze sopravvenute che potrebbero pregiudicare o rendere comunque meno agevole l’esercizio del diritto di credito, rispondono all’interesse del creditore. A questa logica sono improntati i noti brocardi contra non valentem agere non currit praescriptio ed actio nondum nata non praescribitur: se ne sente in qualche misura l’eco nella disposizione dell’art. 2935 c.c., a tenore della quale la prescrizione non decorre se non a partire dal giorno in cui il diritto può esser fatto valere; soltanto in qualche misura, però, giacché la tradizionale lettura che la giurisprudenza ha dato di quella norma ne limita la portata ai soli impedimenti di diritto. Si esclude perciò, almeno in via di principio, che il decorso della prescrizione trovi ostacolo in impedimenti soggettivi o di mero fatto, per i quali il successivo art. 2941 c.c. prevede solo specifiche e tassative ipotesi di sospensione, nel cui ambito, salva l’ipotesi di dolo, non rientra l’ignoranza da parte del titolare del fatto generatore del suo diritto, né il dubbio soggettivo sull’esistenza di tale diritto o il ritardo indotto dalla necessità del suo accertamento27. Negli ultimi anni, tuttavia, anche sull’onda di una molteplicità di leggi speciali tese a rafforzare la tutela del titolare del diritto in deroga al regime ordinario28, il tradizionale orientamento giurisprudenziale, fondato sulla distinzione tra impedimenti di diritto ed impedimenti di fatto, è stato ripetutamente scalfito. Soprattutto in caso di danni cd. lungolatenti, dei quali la vittima non è in grado di prendere piena coscienza se non a distanza di molto tempo dal loro prodursi, è parso iniquo sanzionare con la prescrizione un’inerzia fin troppo evidentemente incolpevole. Si è perciò oggi propensi a ritenere che il dies a quo del termine di prescrizione nelle azioni di responsabilità da fatto illecito debba essere individuato nel momento dell’oggettiva percepibilità, da parte del danneggiato, del danno e della sua derivazione causale dall’altrui illecito29. Applicando tale principio all’illecito derivante dalla violazione della normativa antitrust, già prima del recepimento della direttiva 2014/104, la Corte di cassazione aveva affermato che la prescrizione del diritto al risarcimento non decorre dal momento in cui il danneggiato ha compiuto l’atto di commercio negativamente influenzato dall’altrui comportamento anticoncorrenziale, bensì da quando egli può dirsi in grado di percepire l’esistenza dell’illecito in tutti i suoi elementi oggettivi e soggettivi, nonché degli effetti dannosi da esso prodotti30. Quale sia però il momento in cui il danneggiato ha acquisito la piena conoscenza di tutti questi elementi non è sempre agevole stabilirlo, e dipende comunque da una serie di variabili oggettive e soggettive che non è facile predeterminare. Quando vi sia stato il supporto di un procedimento amministrativo già svoltosi dinanzi all’Autorità garante, la Suprema Corte (sempre in epoca antecedente al recepimento della direttiva) aveva individuato nella pubblicazione del provvedimento sanzionatorio emesso da detta Autorità il fatto a partire dal quale deve presumersi, salvo prova del contrario, che qualsiasi terzo interessato sia in condizione di percepire l’esistenza del danno ingiusto e di agire per il risarcimento31; e ciò anche se la sanzione non abbia ancora acquisito definitività a causa dell’impugnazione proposta dinanzi al giudice amministrativo32. L’art. 8 d.lgs. n. 3/2017 detta ora, in proposito, alcune specifiche disposizioni che in larga parte (ma non del tutto) rispecchiano il surriferito orientamento giurisprudenziale. Resta confermato che il termine di prescrizione (quinquennale, trattandosi di illecito aquiliano) non inizia a decorrere prima che la violazione del diritto della concorrenza sia cessata e prima che si possa ragionevolmente presumere la conoscenza, da parte dell’attore, vuoi dell’esistenza del fatto illecito e della sua contrarietà alla legge, vuoi del danno che ne è derivato, vuoi dell’identità dell’autore di quel fatto (art. 8, co. 1). Ne consegue che la fondatezza di un’eccezione di prescrizione proposta dal convenuto (gravato dell’onere della prova degli elementi costitutivi di detta eccezione), dipenderà pur sempre da valutazioni che il giudice dovrà di volta in volta compiere tenendo conto delle peculiarità di ciascuna situazione. Ed è perciò ragionevole supporre che il dies a quo del termine di prescrizione possa risultare diverso a seconda che ad agire per il risarcimento dei danni sia un consumatore (o un acquirente indiretto) oppure un imprenditore concorrente dell’autore dell’illecito33, perché è presumibile che per il primo l’acquisizione degli elementi conoscitivi di cui s’è detto risulti meno agevole che per il secondo. In tutti i casi, però, a norma del co. 2 dell’articolo da ultimo citato, il termine di prescrizione è sospeso dal momento in cui prenda eventualmente avvio, per i medesimi fatti, un procedimento dinanzi all’Autorità garante; e la sospensione è destinata a protrarsi sino ad un anno da quando la decisione di detta Autorità sia divenuta definitiva (e si sia perciò esaurito anche l’eventuale giudizio d’impugnazione dinanzi al giudice amministrativo) o il procedimento si sia concluso in altro modo. Una sospensione, dunque, ben più ampia di quanto ammettesse la giurisprudenza pregressa – ulteriore testimonianza del favore con cui il legislatore intende ora circondare questo tipo di azioni – ed un altro passo verso il riconoscimento di una valenza giuridica “forte” delle decisioni dell’Autorità garante nel giudizio civile di risarcimento del danno.
I profili problematici, come sempre in presenza di una nuova disciplina, sono molteplici, ed in parte già sono stati evidenziati nelle pagine che precedono.
È proprio la valenza delle decisioni dell’Autorità garante nel giudizio civile di risarcimento del danno a sollevare forse i maggiori problemi, almeno sul piano teorico; ma sul piano pratico l’interrogativo più ricorrente riguarda l’efficacia delle nuove disposizioni che sono state introdotte.
Dalla configurazione del rapporto tra le funzioni delle autorità amministrative, destinate in via generale a garantire il corretto funzionamento del mercato, e l’esercizio della giurisdizione, volto ad assicurare la tutela dei diritti, dipende largamente la realizzazione dell’idea di fondo che – come già ripetutamente sottolineato – ispira l’intera normativa: accrescere l’efficienza della normativa antitrust mediante il concorso di strumenti di public e private enforcement. I problemi nascono dal modo in cui si ritenga di poter perseguire questo obiettivo: perché alla visione eminentemente empirica dell’ordinamento sovranazionale europeo si contrappone la maggiore attenzione che tradizionalmente il nostro diritto nazionale riserva alla natura delle figure e degli istituti giuridici, nonché degli organi destinati a dare loro attuazione, con tutte le conseguenti distinzioni concettuali che ne derivano. S’è già detto degli sforzi compiuti in passato dalla giurisprudenza per ribadire l’autonomia dell’accertamento dell’illecito anticoncorrenziale spettante al giudice, quando egli è chiamato a decidere sul diritto al risarcimento del danno, pur riconoscendo il particolare valore assunto in proposito dai provvedimenti adottati sul medesimo fatto dall’Autorità garante. Non si era mancato tuttavia, in quel contesto, di rimarcare il rischio di un qualche slittamento del confine tra i compiti riservati alla funzione giurisdizionale e quelli propri della funzione amministrativa; slittamento peraltro favorito anche dalla natura per certi versi ambigua delle cd. autorità amministrative indipendenti, la cui attività è stata infatti talora definita “paragiurisdizionale”. Non è il caso qui di attardarsi sulla discussione se sia o meno corretto qualificare “paragiurisdizionale” (o “giustiziale”) l’attività di accertamento e di sanzione delle violazioni di legge svolta da dette autorità amministrative, benché non possa farsi a meno di rimarcare almeno fuggevolmente come sin da principio non sia stato privo di difficoltà il loro inserimento nel nostro sistema giuridico, basato sulla tradizionale tripartizione dei poteri legislativo, amministrativo e giurisdizionale34. Non credo si possa dubitare del fatto che l’Autorità garante non è un organo giurisdizionale, non foss’altro che per il modo in cui ne sono designati i componenti e per lo statuto personale che li connota, e che i provvedimenti sanzionatori da essa emessi hanno natura di atti amministrativi, come conferma la loro impugnabilità dinnanzi al giudice amministrativo. Mentre perciò nessuna difficoltà incontra l’attribuzione all’Autorità garante di un ruolo consultivo, come ad esempio quello consistente nel fornire assistenza al giudice nella quantificazione del danno, ben più problematica appare la compatibilità con il nostro ordinamento delle disposizioni che riconoscono valore vincolante nel giudizio civile per il risarcimento del danno all’accertamento dell’illegittimità del comportamento del convenuto compiuto dall’Autorità garante nell’ambito del procedimento sanzionatorio da essa condotto. In una causa civile per risarcimento del danno aquiliano la contrarietà alla legge dell’atto o del comportamento del convenuto è, ovviamente, una delle condizioni di fondatezza della domanda proposta dall’attore, e come tale essa dovrebbe essere accertata dal giudice di quella causa, con il solo eventuale vincolo derivante da un giudicato già formatosi sul punto; ma il giudicato può esser frutto soltanto di una precedente pronuncia giurisdizionale, non certo di un atto amministrativo, la cui legittimità dovrebbe comunque poter essere vagliata incidentalmente ai fini dell’eventuale disapplicazione. Qui invece può accadere che un segmento (non certo irrilevante) dell’accertamento di competenza del giudice venga espunto dal processo civile per essere completamente affidato all’opera di un’autorità amministrativa, la quale è sì competente a compiere quell’accertamento, ma lo fa ad altri fini (sanzionatori) che le sono propri35. Nella Relazione al decreto si afferma che il giudice del risarcimento, sia pure in ipotesi residuali ed eccezionali, potrebbe pur sempre sindacare il provvedimento dell’Autorità non impugnato dinanzi al giudice amministrativo quando lo ritenga irrimediabilmente viziato. Questa affermazione, oltre ad apparire piuttosto vaga, non trova però adeguato riscontro nel testo normativo, che attribuisce incondizionato valore vincolante all’accertamento della violazione in sede amministrativa, onde appare perciò problematico anche ipotizzare la permanenza in capo al giudice civile del generale potere di disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo36. È poi quasi superfluo aggiungere che la denunciata anomalia non vien meno per il fatto che la decisione sanzionatoria adottata dall’Autorità garante è suscettibile d’impugnazione dinanzi ad un giudice (amministrativo) e che, in tal caso, l’efficacia vincolante nel giudizio civile dell’accertamento dell’illecito concorrenziale in ambito amministrativo si produce solo a seguito della pronuncia giurisdizionale di rigetto dell’impugnazione. È vero che il controllo espletato dal giudice amministrativo sulla legittimità del provvedimento sanzionatorio emesso dall’Autorità non è soltanto estrinseco ma «comporta la verifica diretta dei fatti posti a fondamento della decisione impugnata e si estende anche ai profili tecnici che non presentano un oggettivo margine di opinabilità, il cui esame sia necessario per giudicare la legittimità della decisione medesima» (art. 7, co. 1, d.lgs. n. 3/2017)37. Tuttavia, anche a prescindere dal rilievo che anche i provvedimenti sanzionatori non impugnati hanno efficacia vincolante nel giudizio civile risarcitorio, resta che la sentenza del giudice amministrativo non accerta la violazione del diritto antitrust, ma unicamente la legittimità del provvedimento sanzionatorio che quella violazione ha rilevato; per non dire che quasi mai nel giudizio amministrativo si riscontra una piena identità di parti con il giudizio civile risarcitorio (l’attore del giudizio civile non è necessariamente parte del giudizio amministrativo). Anche in questo casi siamo quindi fuori dall’ambito di applicazione delle regole che disciplinano gli effetti del giudicato esterno.
È dunque inevitabile porsi degli interrogativi circa la compatibilità di questa normativa con l’impianto sistematico del nostro ordinamento, che stenta a tollerare un vincolo come quello qui imposto all’accertamento nel giudizio civile, stante la soggezione del giudice soltanto alla legge e la ripartizione tra le competenze degli organi amministrativi e giudiziari desumibile dagli artt. 101 e 102 Cost. Neppure può ignorarsi però che le disposizioni in esame sono frutto dell’attuazione di una direttiva europea il rispetto della quale, come è ben noto, costituisce anch’esso un dovere costituzionale. Non è quindi escluso che si ponga qui in futuro un problema di bilanciamento tra valori costituzionalmente fondati, occorrendo stabilire se l’adempimento dell’obbligo di conformarsi al diritto dell’Unione europea prevalga sui principi costituzionali dianzi richiamati o se, viceversa, questi appartengano a quel nucleo duro che neppure il dovere di adeguamento al diritto sovranazionale europeo può scalfire38.
È rischioso formulare giudizi sull’efficacia di una normativa prima di un congruo lasso di tempo durante il quale se ne sia potuto verificare in concreto l’incidenza. Proverò nondimeno ad azzardare alcune brevissime considerazioni.
Si è lamentato che il legislatore italiano abbia mostrato scarsa iniziativa, appiattendosi pedissequamente sul testo della direttiva senza sfruttare gli ulteriori spazi che questa gli concedeva39. Non so quanto questa critica sia fondata. È vero che, se si ha riguardo allo scopo di rinforzare la normativa antitrust attenuando i fattori che disincentivano i privati dall’intraprendere azioni civili risarcitorie, le novità introdotte dal d.lgs. n. 3/2017 spiccano più per i profili problematici che ne derivano sul piano teorico-sistematico – soprattutto quelli cui si è accennato nel paragrafo precedente – che non per la loro portata pratica. Credo che gran parte degli strumenti adottati dal legislatore per eliminare le asimmetrie esistenti a danno dell’attore e per agevolare il suo difficile compito probatorio, al di là delle novità formali, poco aggiungano, sul piano pratico, agli effetti che già potevano ricavarsi dal precedente orientamento giurisprudenziale. Ma dubito che l’utilizzo dei maggiori spazi d’intervento concessi dalla direttiva europea al legislatore nazionale sarebbe valso a modificare sensibilmente questo quadro. I fattori che condizionano (e verosimilmente continueranno in futuro a condizionare) l’efficacia del private enforcement risiedono probabilmente altrove: nella scarsa appetibilità delle azioni collettive e nelle inefficienze che affliggono il nostro processo civile. La disciplina delle azioni di risarcimento del danno da illeciti anticoncorrenziali si estende anche alle azioni collettive di cui all’art. 140 bis c. cons. (art. 1, co. 1, d.lgs. n. 3/2017) ed è evidente che questo tipo di azioni, concepite proprio per incoraggiare iniziative risarcitorie che individualmente potrebbero non apparire convenienti, ben si presta alla tutela di una molteplicità di consumatori danneggiati, ciascuno magari in misura relativamente modesta, da comportamenti anticoncorrenziali posti in essere “a monte” dei singoli atti di consumo. È noto però che da noi le azioni collettive non hanno avuto finora grande successo, per ragioni che qui non è possibile esaminare ma sulle quali la specifica disciplina del d.lgs. n. 3/2017 non sembra in grado d’incidere significativamente. Senza la leva delle azioni collettive è prevedibile però che le iniziative di singoli consumatori per il risarcimento del danno da comportamenti anticoncorrenziali siano destinate a rimanere sporadiche. V’è poi l’altro, più generale fattore cui ho fatto cenno: la cronica lentezza del processo civile40. Nemmeno di ciò è possibile in questa sede parlare, giacché troppo vi sarebbe da dire. Osservo solo che, per fronteggiare l’inefficienza del processo civile, occorre una forte semplificazione del rito, una maggiore specializzazione del giudice ed un significativo incremento dei modi alternativi di risoluzione delle controversie, favorito da una più diffusa cultura della conciliazione. Delle ultime due condizioni (non anche della prima) v’è traccia nel d.lgs. n. 3/2017. L’art. 18 opportunamente accorpa la competenza per questo genere di cause in tre sole sedi giudiziarie, attribuendola alle sezioni specializzate in materia d’impresa di Milano, Roma e Napoli41. Gli artt. 15 e 16 dettano disposizioni volte a disciplinare ed incoraggiare la composizione consensuale delle controversie42. Non v’è spazio per entrare nel merito di tali disposizioni, ma resto convinto che il successo delle soluzioni di tipo conciliativo dipenda principalmente da un rinnovato atteggiamento mentale delle parti e dei loro difensori (nonché dei giudici, per quanto loro compete), che induca a considerare davvero la decisione giudiziale come un’extrema ratio cui ricorrere solo quando ogni altra strada sia stata inutilmente percorsa. Credo che verso questa direzione ci si stia muovendo, ma, come per tutti i cambiamenti culturali, occorre tempo: perciò armiamoci di pazienza.
1 Non è possibile approfondire il tema in questa sede, ma è noto come il diritto della concorrenza, anche più di altri settori del diritto commerciale, sia fortemente impregnato di nozioni economiche e perciò richieda sovente un approccio interdisciplinare sollecitando un sempre più intenso dialogo tra giuristi ed economisti. Si vedano in proposito le considerazioni di Alpa, G., Illecito e danno antitrust, Torino, 2016, 1 ss.
2 Per una ricostruzione storica delle norme dettate dal codice civile in tema di concorrenza, ed in specie di concorrenza sleale, si veda Ghedini, G., Della concorrenza sleale, in Comm. c.c. Schlesinger, Milano, 1991, 3 ss.
3 Cfr. Concorrenza ed effettività della tutela giurisdizionale tre ordinamento dell’Unione europea e ordinamento italiano, a cura di G. Tesauro, Napoli, 2013.
4 Ciò è ben esemplificato dagli scritti raccolti nel Dizionario sistematico della concorrenza, a cura di L. Pace, Napoli, 2013.
5 La direttiva non ha mancato di suscitare attenzione nella dottrina italiana, anche prima del suo recepimento. Si vedano, tra gli altri, Giliberti, B., Public e private enforcement nell’art. 9, 1º comma della direttiva antitrust 104/2014 Il coordinamento delle tutele: accertamento amministrativo e risarcimento danni nei rapporti privatistici, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2016, 77 ss.; Puleio, G., Il risarcimento del danno antitrust alla luce della dir. 2014/104/Ue, in Resp. civ. e prev., 2016, 1082 ss.; Villa, G., La direttiva europea sul risarcimento del danno antitrust: riflessioni in vista dell’attuazione, in Corr. giur., 2015, 301 ss.; Vincre, S., La Direttiva 2014/104/UE sulla domanda di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust nel processo civile, in Riv. dir. proc., 2015, 1153 s.; Libertini, M., La determinazione del danno risarcibile nella proposta di direttiva comunitaria sul risarcimento del danno antitrust - Alcune osservazioni preliminari, in Concorrenza e mercato, 2014, 265 ss.; Bruzzone, G.Sajia, A., Verso il recepimento della direttiva sul private enforcement del diritto antitrust, ivi, 2014, 257 ss.
6 La legittimazione ad agire dei consumatori è espressamente richiamata nell’incipit del 13° considerando della direttiva.
7 Cass., S.U., 4.2.2005, n. 2207, in Foro it., 2005, I, 1014, commentata da A. Palmieri, R. Pardolesi ed E. Scoditti. In argomento si veda anche Libertini, M., Le azioni civili del consumatore contro gli illeciti antitrust, in Corr. giur., 2005, 1093 s. Nel medesimo senso si è pronunciata anche la Corte di giustizia europea nelle sentenze 20.9.2001, C453/99, Courage, in Corr. giur., 2002, 454, con nota di G. Colangelo; e 13.7.2006, cause riunite da C295/04 a C298/04, Manfredi, in Resp. civ. e prev., 2006, 1855, con nota di S. Bastianon.
8 Sulla complementarietà della tutela risarcitoria rispetto all’opera delle autorità pubbliche di vigilanza sul mercato si veda Chieppa, R., Il recepimento in Italia della Dir. 2014/104/UE e la prospettiva dell’Agcm, in Dir. ind., 2016, 314 ss.
9 Su cui si vedano, tra gli altri, Il risarcimento del danno nel diritto della concorrenza - Commento al d.leg. n. 3/2017, a cura di P. Manzini, Torino, 2017, e Il private enforcement antitrust dopo il d.leg. 19 gennaio 2017 n. 3, a cura di B. Sassani, Pisa, 2017.
10 Villa, G., L’attuazione della Direttiva sul risarcimento del danno per violazione delle norme sulla concorrenza, in Corr. giur., 2017, 442, sottolinea che la nuova disciplina non incide sulla configurazione dell’illecito, perché le condotte perseguite continuano ad essere quelle previste dalla legge nazionale antitrust e dal TFUE, e perché il quadro generale di riferimento rimane pur sempre quello disegnato dal codice civile.
11 La giurisprudenza si è prevalentemente occupata di azioni proposte da sottoscrittori di polizze assicurative che lamentavano l’esorbitanza dei premi corrisposti in conseguenza d’intese anticoncorrenziali tra le imprese di assicurazione, già accertate e sanzionate dall’Autorità garante. Si è ritenuto che l’attore potesse assolvere il proprio onere di prova limitandosi a produrre in giudizio la polizza assicurativa ed il provvedimento sanzionatorio dell’Autorità garante, salva la possibilità per la compagnia di assicurazione di fornire prova contraria dimostrando l’insussistenza o l’interruzione del nesso causale tra l’illecito concorrenziale e il danno lamentato (Cass., 10.5.2011, n. 10211, in Foro it., 2011, I, 2675, con nota di A. Palmieri; Cass., 26.5.2011, n. 11610; Cass., 20.6.2011, n. 13486; Cass., 10.8.2011, n. 17362; Cass., 9.5.2012, n. 7039; Cass., 22.5.2013, n. 12551; Cass., 23.4.2014, n. 9116; Cass., 28.5.2014, n. 11904, in Foro it., 2014, I, 1729, con nota di R. Pardolesi).
12 Cass., 4.6.2015, n. 11564, in Foro it., 2015, I, 2742, con nota di M. Casoria e R. Pardolesi.
13 Assetto giurisprudenziale per il cui inquadramento dogmatico, oltre alle note di commento alle sentenze già citate, si veda Castelli, L., Disciplina antitrust e illecito civile, Milano, 2012, 98 ss.
14 Cfr., in particolare, Cass., 13.2.2009, n. 3640, in Foro it., 2010, I, 1901.
15 Qualora l’accertamento della violazione del diritto antitrust sia stato compiuto dall’autorità amministrativa o giudiziaria di un altro Stato membro dell’Unione europea, il co. 2 del citato art. 7 torna a riconoscergli il mero valore di prova nell’ambito del successivo giudizio risarcitorio che si celebri dinanzi al giudice italiano, da valutare unitamente ad ogni altra eventuale prova.
16 L’art. 4, co. 8, d.lgs. n. 3/2017 prevede la possibilità di sospensione del giudizio civile in pendenza di un procedimento amministrativo dinanzi all’Autorità garante, per specifiche esigenze di carattere probatorio, nel caso in cui occorra ordinare l’esibizione di documenti in possesso della medesima Autorità che, a norma del precedente co. 4, non potrebbero essere acquisiti prima che il procedimento amministrativo sia concluso. Analogamente l’art. 140 bis, co. 6, c. cons. consente al tribunale chiamato a pronunciarsi sull’ammissibilità dell’azione di classe di sospendere il giudizio quando sui fatti rilevanti ai fini del decidere è in corso un’istruttoria davanti ad un’autorità indipendente. Negri, M., L’efficacia delle decisioni amministrative nel processo civile, in Nuove leggi civ., 2018, 476 ss., ne ricava un più generale potere discrezionale del giudice della causa di risarcimento del danno antitrust di sospendere il giudizio in pendenza di accertamento dell’Autorità garante sui medesimi fatti.
17 Su tale disposizione si veda Bernes, A., La prova del danno e del nesso di causalità nell’azione risarcitoria derivante da “cartello” in seguito al recepimento della direttiva 2014/104 UE, in Resp. civ. e prev., 2017, 954 s.
18 Altre presunzioni relative sono contemplate dall’art. 12 a beneficio dell’acquirente indiretto su cui sia stato trasferito il sovrapprezzo determinato dalla violazione del diritto della concorrenza, ma a carico dell’attore resta l’onere di provare che vi è stata la violazione (per la qual cosa potrà eventualmente giovarsi dell’accertamento già compiuto dall’Autorità garante) e che questa ha determinato un sovrapprezzo sui beni o i servizi a lui trasferiti. Su quest’ultimo aspetto cfr. Mezzanotte, F., Il trasferimento del sovrapprezzo anticoncorrenziale, in Nuove leggi civ., 2018, 215 ss.; e De Cristofaro, M., Innovazioni e prospettive nella dimensione processuale che sta al cuore del private antitrust enforcement, ivi, 2018, 523 ss.
19 L’espressione «esibizione delle prove», adoperata dal legislatore, è giustamente criticata da Comoglio, P., Note a una prima lettura del d.lgs. n. 3 del 2017. Novità processuali e parziali inadeguatezze in tema di danno antitrust, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2017, 999, il quale sottolinea come oggetto dell’ordine di esibizione possano essere solo le cd. prove precostituite.
20 Cfr., ad esempio, Cass., 5.10.2015, n. 19872. Non mancano tuttavia aperture quando si tratta di sopperire ad un’oggettiva ed insormontabile difficoltà di prova da parte dell’attore, come ad esempio nel caso di rapporti bancari per i quali l’accertamento di determinate situazioni di fatto possa effettuarsi soltanto con l’ausilio di speciali cognizioni tecniche e quindi demandando al consulente d’ufficio il compito di acquisire ogni elemento necessario, sebbene non risultante da documenti prodotti dalle parti: cfr. Cass., 15.3.2016, n. 5091, in Resp. civ. e prev., 2016, 1250, con nota di F. Greco. Un criterio di «specificità attenuata», per non frustrare eccessivamente l’esigenza probatoria dell’istante, è invocato da Gradi, M., L’obbligo di verità delle parti, Torino, 2018, 734 s.
21 Lo sottolinea Saccaro, F., Onus probandi e poteri istruttori esercitabili d’ufficio dal giudice nel contesto di una private antitrust litigation, in Dir. ind., 2018, 205 ss., auspicando un’applicazione estensiva delle disposizioni in tema di esibizione che valga a garantire la tutela effettiva dei diritti.
22 Sull’obbligo di previa audizione del destinatario dell’ordine di esibizione manifesta perplessità Comoglio, P., Note a una prima lettura, cit., 1000, favorevole ad ammettere la possibilità di provvedimenti urgenti inaudita altere parte.
23 Villa, G., L’attuazione della Direttiva, cit., 444, si duole che il legislatore italiano non abbia meglio specificato la nozione di «categoria di prove», limitandosi a riprendere pedissequamente l’enunciazione della direttiva europea.
24 Per un più dettagliato esame delle disposizioni sulla divulgazione delle prove acquisite in procedimenti di competenza di un’autorità indipendente si rinvia a Comoglio, P., Note a una prima lettura, cit., 1003 s.; Finocchiaro, G., La disciplina dell’esibizione delle prove nei giudizi risarcitori per violazione delle norme antitrust in attuazione della Dir. 2014/104/UE, in Nuove leggi civ., 2018, 415 ss.; Rangone, N., D.lgs. 19 gennaio 2017, n. 3: profili amministrativistici, ivi, 2018, 255 ss.
25 Cass., S.U., 5.7.2017, n. 16601, in Foro it., 2017, I, 2613, con nota di A. Palmieri e R. Pardolesi; in Giur. it., 2017, 1787, con nota di A. Di Majo, che chiarisce come l’attribuzione di una valenza sanzionatoria al risarcimento del danno (i cd. danni punitivi) richieda un’espressa previsione del legislatore dovendo rispondere ad un’inderogabile esigenza di prevedibilità e di proporzionalità.
26 Per un esame approfondito del tema, non privo di accenti critici, si veda Camilleri, E., Il risarcimento per violazioni del diritto della concorrenza: ambito di applicazione e valutazione del danno, in Nuove leggi civ., 2018, 143 ss.
27 Così si esprimono, tra le altre, Cass., 6.10.2014, n. 21026, e Cass., 26.5.2015, n. 10828. Per alcune posizioni critiche palesatesi nella dottrina, vedi però Tescaro, M., La rilevanza civilistica del principio contra non valentem agere non currit praescriptio, in Obbligazioni e contratti, 2009, 253 ss.
28 Minervini, E., La prescrizione dei diritti di credito tra esigenza di certezza e bisogno di giustizia, in Danno e resp., 2017, 525 ss., non esita a parlare di «disintegrazione» della disciplina della prescrizione.
29 A tale criterio s’ispira, ad esempio, l’orientamento che fa decorrere la prescrizione dell’azione di responsabilità spettante ai creditori sociali nei confronti dell’amministratore di una s.p.a. mal gestita dal momento in cui gli stessi creditori sono oggettivamente in grado di venire a conoscenza dell’insufficienza del patrimonio sociale ai fini della soddisfazione dei loro crediti (così, tra le altre, Cass., 4.12.2015, n. 24715, in Giur. it., 2016, 390, con nota di R. Rivaro; Cass., 12.6.2014, n. 13378, in Società, 2014, 324, con nota di F. Platania; Cass., 22.4.2009, n. 9619). Analogo orientamento si riscontra in tema di responsabilità medica (si veda, ad esempio, Cass., S.U., 11.1.2008, n. 576, in Giust. civ., 2009, I, 2533; Cass., 2.7.2013, n. 16550; Cass., 23.9.2013, n. 21715).
30 Cass., 2.2.2007, n. 2305, in Foro it., 2007, I, 1097, con nota di A. Palmieri e R. Pardolesi; Cass., 6.12.2011, n. 26188, ivi, 2012, I, 799, con nota di A. Palmieri.
31 Cass. n. 26188/2011, cit.
32 Cass. n. 2305/2007, cit.
33 Si veda in argomento Trib. Roma, 23.11.2016, in Corr. giur., 2017, 377, con nota di M. Mingione.
34 Osserva Amato, G., Le autorità indipendenti, in Storia d’Italia Annali, XIV, Legge diritto giustizia, a cura di L. Violante e L. Minervini, Torino, 1998, 381, che «le autorità indipendenti … inducono a chiederci quanto sia vero che la divisione dei poteri sia ed abbia ad essere trina». Sulla funzione “giustiziale” svolta da alcune autorità amministrative indipendenti, si veda, per tutti, Scarselli, G., La tutela dei diritti dinanzi alle autorità garanti, Milano, 2000. È stato anche avanzato il sospetto che l’introduzione di autorità amministrative indipendenti fornite di siffatte funzioni giustiziali finisca per realizzare un aggiramento del divieto d’istituzione di giudici speciali posto dall’art. 120, co. 2, Cost.: Verde, G., Autorità amministrative indipendenti e tutela giurisdizionale, in Dir. proc. amm., 1998, 747.
35 Di un avvicinamento concettuale dell’accertamento amministrativo alla res judicata, estraneo alla nostra tradizione, parla Greco, G., L’accertamento delle violazioni del diritto della concorrenza e il sindacato del giudice amministrativo, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2016, 1005. L’improprietà dell’accostamento alla figura del giudicato è fortemente sottolineata da Negri, M., L’efficacia delle decisioni, cit., 476 ss.
36 In argomento cfr. ancora Negri, M., op. loc. citt.
37 Disposizione normativa nella quale si avverte l’eco dell’orientamento giurisprudenziale secondo cui il sindacato di legittimità del giudice amministrativo sui provvedimenti dell’Autorità garante comporta la verifica diretta dei fatti posti a fondamento del provvedimento impugnato e si estende anche ai profili tecnici il cui esame sia necessario per giudicarne della legittimità, salvo non includano valutazioni ed apprezzamenti che presentano un oggettivo margine di opinabilità, nel qual caso il sindacato, oltre che in un controllo di ragionevolezza, logicità e coerenza della motivazione del provvedimento impugnato, è limitato alla verifica della non esorbitanza dai suddetti margini di opinabilità, non potendo il giudice sostituire il proprio apprezzamento a quello dell’Autorità garante (Cass., S.U., 20.1.2014, n. 1013); in proposito si veda anche C. eur. dir. uomo, 27.12.2011, Menarini Diagnostic. Un dubbio sulla legittimità costituzionale della citata disposizione del d.lgs. n. 3/2017, in quanto non supportata dai criteri enunciati dalla legge delega, è però sollevato da Villa, G., L’attuazione della Direttiva, cit., 445.
38 La teoria dei “controlimiti”, da tempo radicata nella giurisprudenza costituzionale, pur riconoscendo la primazia del diritto eurounitario, esclude che esso possa prevalere sui principi fondamentali del nostro ordinamento, oltre che sui diritti inalienabili della persona umana garantiti dalla Costituzione. Si vedano al riguardo, tra le tante, C. cost., 8.6.1984, n. 170, in Foro it., 1984, I, 2062, con nota di A. Tizzano; ed in epoca più recente C. cost., 22.10.2014, n. 238, e n. 238, ivi, 2015, I, 1152, con note di A. Palmieri e
A. Sandulli.
39 Meli, V., Introduzione al d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 3, di attuazione della dir. 2014/104/ue sul risarcimento dei danni per violazione della normativa antitrust, in Nuove leggi civ., 2018,119 ss.
40 Comoglio, P., Note a una prima lettura, cit., 992, manifesta insoddisfazione per il fatto che il legislatore italiano non abbia colto l’occasione dell’attuazione della direttiva per migliorare la funzionalità complessiva del processo civile (vasto programma! verrebbe da chiosare).
41 Scelta però criticata da Comoglio, P., op. cit., 994 ss.
42 Disposizioni per il cui esame, così come per quelle in tema di solidarietà tra i corresponsabili del danno, si rinvia a Zuffi, B., L’incentivazione del ricorso ai metodi di composizione alternativa (consensual settlements) nelle liti risarcitorie antitrust, in Nuove leggi civ., 2018, 555 s.; Villa, G., L’attuazione della Direttiva, cit., 447 s.; Afferni, G., Il risarcimento dei danni per violazioni del diritto della concorrenza: prescrizione e responsabilità solidale, in Nuove leggi civ., 2018, 171 ss.