MONALDI, Vincenzo
– Sesto di undici figli, otto maschi e tre femmine, nacque il 16 apr. 1899 da Giovanni, contadino mezzadro, e da Pasqualina Cappella, in una piccola casa colonica in contrada Fosso del Passo, nella frazione San Procolo di Monte Vidon Combatte, un paese di poche centinaia di abitanti in provincia di Ascoli Piceno.
Il M. venne messo a studiare nel seminario dei minori conventuali di Montottone, dove rimase fino agli esami di quinta ginnasio. Uscito dal seminario, gli insegnanti convinsero i genitori a sostenerlo nel continuare gli studi. Il M., pertanto, si iscrisse al liceo Annibal Caro di Fermo dove, per sostenersi, faceva l'istitutore dando lezioni private. La passione sociale e politica – che rappresentò sempre una costante nella sua vita – lo spinse nel 1915 a partire volontario per la Guerra. Ottenne la licenza liceale solo dopo il suo ritorno dal fronte sostenendo gli esami da privatista, nell’ottobre del 1919.
Diplomato e con molta voglia d’impegnarsi per il cambiamento, il M., ch era un cattolico praticante, si iscrisse al Partito popolare italiano (PPI) che don L. Sturzo aveva fondato da pochi mesi. In breve assunse responsabilità politiche e amministrative e nel 1920, a poco più di vent’anni, venne eletto sindaco di Grottazzolina vicino Fermo, il paese in cui la sua famiglia si era trasferita nel 1912. Nel frattempo aveva incontrato proprio a Gottazzolina Giulia Pompei, con cui nel 1926 si unì in matrimonio.
In quei mesi il M. conobbe il professor S. Baglioni, famoso clinico originario di quelle zone, il quale lo convinse a iscriversi alla facoltà di medicina dell’Università di Roma anziché a lettere, come il M. aveva deciso in un primo momento. Da allora Baglioni gli venne sempre in aiuto, sia moralmente sia materialmente.
Il giovane sindaco mostrò subito il desiderio e la capacità di affrontare i problemi più urgenti del paese. Si adoperò fra l’altro per la costruzione di un nuovo edificio scolastico, di un lavatoio e di latrine pubbliche, così come per la sistemazione di strade e ponti e dell’impianto di luce elettrica per la stazione ferroviaria. In particolare, chiese l’applicazione di nuovi patti colonici, un’area pubblica per le case popolari e si impegnò per combattere in ogni modo la disoccupazione con diversi lavori pubblici. Dimostrò, altresì, una particolare sensibilità architettonico-paesaggistica, inusuale per i tempi.
Nei discorsi che pronunciò da sindaco denunciò più volte la terribile condizione di vita in cui versavano operai e contadini, sostenendo la necessità del riscatto delle classi sociali meno abbienti, soprattutto attraverso l’accesso all’istruzione: «[…] Un comune raccoglie uomini di idee e di ideali diversi, di principi e di occupazioni diverse – sostenne in uno dei suoi discorsi – ma sui campi del lavoro e su quelli dell’istruzione, di fronte al dovere e di fronte al diritto tutti sono uguali […]. Gli operai e i lavoratori dei campi sono ancora dei servi; vi sono ancora delle famiglie escluse dalla società, ci sono dei figli del popolo negletti, abbandonati per la campagna e nella strada, vi sono delle braccia che lavorano da mane a sera senza assicurarsi il pane per la numerosa figliolanza. Sono uomini abbrutiti dal loro lavoro, uomini che non conoscono il diritto alla esistenza. Alla elevazione di questi noi dobbiamo indirizzare i nostri sforzi. Per l’elevazione morale noi dobbiamo sorreggere le organizzazioni, istituire dove sia il caso corsi d’istruzione, far sì che la volontà dei padroni non gravi su quella dei sottoposti» (Arch. del Comune di Grottazzolina, Atti comunali, 1920-23).
La sua passione politica e sociale lo portò a scontrarsi con i fascisti e ad Ascoli, mentre era consigliere provinciale per il Partito popolare, fu aggredito e costretto a bere l’olio di ricino in piazza. Nel 1923 fu obbligato ad abbandonare la vita politica e si trasferì a Roma per dedicarsi ai suoi studi. Nel 1925 si laureò in medicina e chirurgia, specializzandosi in tisiologia sotto la guida di E. Morelli. Tra il 1925 e il 1931 divenne dapprima assistente e quindi aiuto nell’istituto di fisiologia dell’Università di Roma e contemporaneamente presso la clinica della tubercolosi dello stesso ateneo.
Da allora il suo campo di ricerche principale rimase quello delle malattie dell’apparato respiratorio e della tubercolosi. I suoi contributi agli studi di fisiopatologia, patologia e clinica dell’apparato respiratorio e della infezione tubercolare richiamarono ben presto l’interesse degli ambienti scientifici, non solo italiani. Il suo primo trattato, Elementi di fisiopatologia dell'apparato respiratorio nella tubercolosi polmonare (Roma 1934), ebbe quattro edizioni fino al 1956, e fu tradotto anche in spagnolo.
Caduto il fascismo, dopo la seconda guerra mondiale il M. riprese il suo impegno politico, entrando in contatto con intellettuali cattolici come G. La Pira, G. Lazzati, A. Fanfani e G. Dossetti, allora impegnati nella ricostruzione dell’Italia e nella scrittura della Costituzione.
Chi lo ha conosciuto racconta che egli amava ricordare come proprio durante un incontro informale a casa sua a Roma fosse stato redatto il primo articolo della Costituzione: «l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro».
Nel 1945 il M. venne chiamato a dirigere l’Istituto italiano sanatoriale «Principe di Piemonte», a Napoli, attività in cui mise in opera tutte le sue capacità non solo di clinico ma anche di organizzatore. Dopo la drammatica parentesi della guerra, reimpostò su nuove basi tutta l’attività dell’Istituto ampliandone le dimensioni – poteva ora accogliere più di 2200 degenti – e facendone uno dei più noti e apprezzati centri di studio per la cura delle malattie respiratorie, non solo italiani. Nel 1946, fondò e inaugurò la direzione della rivista Archivio di tisiologia e malattie dell’apparato respiratorio, ancora oggi pubblicata in edizione inglese.
Proseguiva intanto anche la sua carriera politica. Nel 1948, per la I legislatura repubblicana, fu eletto senatore per la lista democristiana nel Collegio di Napoli V, e portò in Parlamento non solo la sua esperienza di medico ma anche la sua preparazione tecnica e il suo attaccamento ai problemi sociali e assistenziali (Relazione al Senato del sen. prof. V. Monaldi sul bilancio del ministero del Lavoro e Previdenza sociale, in Archivio di tisiologia, VI (1951), 10, pp. 375-390).
Sono frutto di sue iniziative importanti innovamenti riguardanti la previdenza sociale, come l’estensione dei diritti assicurativi ai figli degli assicurati e agli studenti universitari, il trattamento economico dei malati e delle loro famiglie, la riqualificazione professionale dei malati. Fra le tante iniziative – nell’ambito di questa attività anche di prevenzione – va ricordata la fondazione del Centro di assistenza integrale nel quartiere Stella di Napoli. Furono posti sotto controllo sanitario tutti gli abitanti della popolosa zona cittadina, provvedendo all’assistenza e all’eventuale ricovero di tutti quelli che avevano bisogno di cura: un caso unico in Italia.
Ormai clinico affermato e riconosciuto come il più autorevole fra i tisiologi italiani, il M. partecipò a numerosi congressi medici. Nel 1952 intervenne al Congresso internazionale di Rio di Janeiro e nello stesso anno tenne un ciclo di conferenze in Sud America. In ottobre, la facoltà medica dell’Università «Federico II» di Napoli gli affidò la cattedra di tisiologia e la direzione della scuola di specializzazione in tisiologia e malattie dell’apparato respiratorio, in cui si formarono diversi studiosi e medici di valore. Nel 1953 fu nominato commissario straordinario degli Ospedali Riuniti di Napoli; nel 1955 si recò negli Stati Uniti per una serie di conferenze e seminari.
Nell’ottobre del 1956 venne di nuovo eletto senatore della Repubblica e fu riconfemato, con gran numero di voti, nel maggio 1958 (nel collegio di Napoli I). Il 3 luglio successivo venne nominato alto commissario per l’Igiene e la Sanità pubblica nel Gabinetto Fanfani, e un mese dopo, il 14 agosto (e fino al 15 febbr. 1959), divenne il primo ministro della Sanità della Repubblica italiana (il ministero era stato appena istituito con ddl 6 marzo 1958).
Fra gli innumerevoli riconoscimenti scientifici ottenuti, il M. fu membro della Royal Society of London; della Berliner Medizinische Gesellschaft; delle Accademie di medicina del Brasile, Argentina, Messico e Perù; dell’Accademia medica di Roma; vicepresidente della Federazione italiana contro la tubercolosi; presidente dell’Associazione regionale campana contro la tubercolosi; presidente del capitolo meridionale della American College of Chest Physician; presidente dell’Associazione interregionale di pneumologia; membro della Società nazionale di scienze, lettere ed arti di Napoli. Dal 1959 fu consulente scientifico dell’Istituto sanatoriale «Principe di Piemonte». Fu inoltre commendatore della Corona d’Italia; grande ufficiale al merito della Repubblica; commendatore dell’Ordine equestre di S. Gregorio Magno, dell'Ordine imperiale del Giogo e delle Frecce (Spagna), della Santé publique (Francia).
Il M. morì a Roma il 7 nov. 1969. Nel 1973 l’ospedale «Principe di Piemonte» di Napoli venne intitolato al suo nome.
Gran parte dell’attività medico scientifica del M. ruota intorno alla tubercolosi, una malattia in quell’epoca particolarmente drammatica: negli anni Venti morivano in Italia, a causa della malattia, circa sessantamila persone l’anno, per lo più bambini e poveri, e quasi altrettanti se ne ammalavano. La tubercolosi era ritenuta, quasi per definizione, la malattia dei poveri, degli emarginati, dei socialmente deboli. Determinazione e impegno sociale-umanitario andavano di pari passo con le sue conoscenze mediche. Il M. era fra coloro che concepivano la lotta antitubercolare in maniera diversa rispetto ai canoni prevalenti nell’Italia fascista: per combattere questa malattia era necessario – sosteneva – risollevare le condizioni delle classi più povere.
Il limite più grave dell’intervento statale fascista era stato, a suo avviso, quello «di aver ridotto fin dal suo inizio la lotta antitubercolare ad un intervento di carattere meramente sanitario, privilegiando in essa su ogni altro l’aspetto del ricovero […]» ( Preti, p. 982). Il M. fu fra quei giovani medici consapevoli del fatto che i tanti dimessi dal sanatorio con un referto di «guarigione clinica» erano spesso soggetti a gravi ricadute, dovendo rientrare nella società a condizioni spesso più dure e difficili di quelle che li avevano portati ad ammalarsi. Fin dall’inizio sostenne pertanto l’importanza di difendere la personalità del malato e della necessità di reinserimento una volta guarito.
Il M. aveva incominciato a occuparsi di tubercolosi da volontario all’ospedale Umberto I di Roma, dal 1925 al 1931, era poi passato all’ospedale Forlanini fino al 1945, e infine all’istituto «Principe di Piemonte» di Napoli, dove il numero dei tubercolosi era drammaticamente aumentato con l’arrivo dei reduci di guerra.
Presso l’istituto di fisiologia dell’Università di Roma, dopo aver compiuto numerose esperienze di funzionalità respiratoria, incominciò a occuparsi di tisiologia. Studiava sia la tubercolosi nella sua tradizionale localizzazione nei polmoni sia i problemi legati alla fisiopatologia respiratoria derivati dalla malattia e a volte dai trattamenti terapeutici stessi. Definì per primo il concetto della «meccanica ventilatoria» (1927), comprendendo come questa determini l’afflusso dell’aria dall’esterno e il trasporto dell’ossigeno tramite il sangue fino alla cellule. Da ricordare, fra le tecniche innovative del M., un intervento chirurgico di toracoplastica non demolitivo (da lui definito «antero-laterale elastica»), che permetteva alla parti sane di essere risparmiate. Famoso è inoltre il metodo di aspirazione endocavitaria che mise a punto nel 1938.
Il M. fin dall’inizio affrontò in modo unitario tutti i problemi della tubercolosi sia sotto l’aspetto polmonare sia extrapolmonare. Tale visione innovativa della malattia è largamente esposta già nel 1948 nella sua relazione all’VIII Congresso italiano di tisiologia a Bari. Fu tra i primissimi , insieme con i suoi collaboratori napoletani, ad adoperare i nuovi farmaci a diretta azione antibatterica, in particolare la rifampicina, scoperta nei laboratori della Lepetit a Milano nel 1959.
Il M. partiva, dunque, da una concezione moderna della malattia come un evento non solo biologico ma anche sociale. Nella sua attività aveva ben presente la salvaguardia della persona fisica e dell’integrità psicologica del malato, preferendo sempre, quando possibile, terapie tendenti alla conservazione ed evitando interventi chirurgici demolitivi. Era importante – a suo giudizio – occuparsi del malato anche dopo la guarigione, affinché ottenesse un pieno reinserimento sociale. Insisteva perché si prendessero misure per «elevare la personalità del malato» attraverso l’educazione o riqualificandolo nell’attività lavorativa (Sanò, p. 253). «Non esistono vite inutili, non deve esistere nessun alveolo polmonare che non vada rispettato e salvaguardato». Con queste parole concluse la sua prolusione al corso di tisiologia all’Università di Napoli dell'anno 1952-53. Da questo principio discendeva «tutta l’attività scientifico-pratica della sua Scuola […] privilegiando innanzitutto la prevenzione della tubercolosi per impedirne l’insorgenza nelle persone sane, per poi attuare la lotta al contagio e la diagnosi precoce della malattia in fase pre-clinica ed, infine, la riqualificazione degli ammalati ed il successivo reinserimento nel mondo del lavoro dopo aver effettuato, a guarigione avvenuta, un controllo clinico radiologico» (ibid., p. 256).
Nel 1952 si contavano in Italia ancora 77.637 casi di tubercolosi con 13.017 decessi l’anno. Per questo il M. creò a Napoli nel 1953 un centro di vaccinazione; una vasta opera di prevenzione venne fatte nelle scuole materne ed elementari con test preliminari di vaccinazione. I vaccinati furono nel corso degli anni oltre centomila. Questo portò, grazie anche alla sua azione politica, alla legge 1088 del 14 dic. 1970, che rendeva obbligatoria la vaccinazione per alcune categorie di persone. Creò, inoltre, all’istituto «Principe di Piemonte» un centro schermografico che operò in tutte le scuole di Napoli e in alcuni quartieri particolarmente a rischio. Grazie alla schermografia fu possibile individuare e curare un gran numero di casi asintomatici di tubercolosi. Tra i numerosi contributi del M. sull'argomento si ricorda lo studio monografico La tubercolosi, Roma 1963.
Fonti e Bibl.: D. Preti, La lotta antitubercolare nell’Italia fascista, in Storia d’Italia (Einaudi), Annali 7 (Malattia e medicina), a cura di F. Della Peruta, Torino 1984, pp. 846, 982, 1009; V. M. Ricordo degli allievi nel centenario della nascita, a cura di A. Blasi - E. Catena, Napoli 1999; B.M. Monaldi Tanzj, Io e mio padre, Firenze 1999; A. Sanò, V. M., la vita e l’opera, in Atti del convegno Personaggi e istituzioni scientifiche nel Mezzogiorno dall’Unità d’Italia ad oggi…, Avellino… 2003, Roma 2004, pp. 251-259.