MODENA, Vincenzo
– Nacque a San Remo nel luglio del 1796. Il padre si chiamava Cristoforo, della madre si sa solo che il suo nome era Petronilla. Dei cinque fratelli, due, Antonino e Pier Domenico, vestirono come lui l’abito dei domenicani, e il secondo ricoprì dal 1850 il ruolo di prefetto della Biblioteca Casanatense di Roma; un altro fratello, Lorenzo, dottore in utroque iure, morì in giovane età mentre delle due sorelle, Angela sposò un Calvi e l’altra, Francesca Colomba, scelse anch’essa la vita consacrata entrando nell’ordine della Visitazione di Nostra Signora, fondato da s. Francesco di Sales.
Pur avvertendo sin da giovane il richiamo della vita sacerdotale, il M. sarebbe dovuto andare sotto le armi, come prescrivevano le leggi napoleoniche, sotto il cui dominio si trovava la Liguria. Tuttavia mons. A.V. Dania, vescovo di Albenga, gli fornì un diploma di baccelliere con il quale poté sottrarsi all’obbligo della leva e intraprendere, con una lettera commendatizia dello stesso prelato, gli studi teologici a Roma presso il collegio di S. Tommaso d’Aquino in S. Maria sopra Minerva. La gratitudine nei confronti di Dania, che gli aveva spianato la via degli studi, lo spinse ad aggiungere al suo il nome Angelo quando, nel settembre del 1815, prese i voti entrando a far parte dell’ordine domenicano. Successivamente, fu chiamato ad insegnare filosofia nel convento di S. Maria in Gradi, vicino Viterbo, e più tardi teologia a Rieti.
Furono questi gli anni nei quali il M. strinse rapporti di amicizia e collaborazione con alcuni intellettuali, tra i quali il poeta A.M. Ricci, e divenne socio di numerose accademie, come l’Accademia di religione cattolica, l’Arcadia, la Tiberina e più tardi l’Accademia dell’Immacolata Concezione. Di questa sua attività sono testimonianza i numerosissimi scritti, pubblicati spesso con il nome assunto entrando in Arcadia, Archigene Anfigeneo. Tali pubblicazioni, che documentano il pieno inserimento del M. nella vita sociale romana, hanno carattere eminentemente occasionale: si tratta di brevi operette, in versi o in prosa, scritte per celebrare le monacazioni di alcune dame dell’aristocrazia romana, o per commemorare con elogi funebri personaggi di spicco della curia come G. Giustiniani o P. Zurla. A fronte di questa ricchissima produzione di opuscoli accademici, non risulta che il M. si sia mai dedicato a ricerche più ponderose o che abbia pubblicato scritti impegnativi, di argomento teologico o di storia ecclesiastica. Tuttavia, probabilmente proprio la contiguità nelle sale accademiche e il legame con gli ambienti di Curia gli valsero dal 1829, su suggerimento di p. G.M. Velzi, generale dell’ordine domenicano, la cattedra di luoghi teologici presso il Collegio teologico della Sapienza di Roma.
Già dall’anno precedente del resto, per la morte del predecessore F. Aminta, era stato nominato da Leone XII predicatore degli ebrei in S. Angelo in Pescheria, carica che il papa aveva ripristinato sin dagli anni del suo vicariato e che il M. ricoprì sino alla morte, che coincise con la definitiva estinzione di questa funzione. Fu il canonico A. Bartolini, futuro custode generale d’Arcadia, a sottolineare nell’Elogio funebre dedicato al M. la sostanziale mitezza con la quale, malgrado la politica nettamente antiebraica della Chiesa, egli «sino a’ giorni ultimi della sua vita ricordò con gioia l’officio di predicatore degli ebrei. Li amò, li confortò, li soccorse e moltissimi ne trasse d’errore», tanto da autodefinirsi «il rabbino del ghetto» (Bartolini, p. 14).
Nel 1832, e sino al 1849, il M. venne chiamato a collaborare con l’allora maestro del Sacro Palazzo, D. Buttaoni, responsabile del controllo delle pubblicazioni e della circolazione delle stampe a Roma e Comarca. L’irreperibilità dell’archivio di questo funzionario rende difficile una valutazione del contributo dato dal M. a quella che era una vera e propria attività di censura sui libri e i periodici. Ma è probabile che proprio questa carica, pur ancora nell’ombra, gli consentì di acquisire le competenze necessarie per aspirare a nuovi e più prestigiosi incarichi nel settore del controllo delle stampe. Il 19 sett. 1847 venne infatti chiamato dalla Segreteria di Stato a far parte di una commissione, presieduta da mons. C. Amici, segretario della Consulta di Stato, e composta anche dagli avvocati G. Lunati e F. Benedetti e dal gesuita P. Mazio, istituita da Pio IX per dare un’esatta interpretazione e limiti più definiti all’editto sulla stampa del 15 marzo 1847 che aveva temporaneamente allentato le maglie della censura, consentendo la pubblicazione nei periodici di scritti politici di argomento contemporaneo, sia pure sotto il controllo preventivo di un Consiglio di censura. Di fatto, l’incarico della commissione era quello di restringere gli spazi del dibattito pubblico, cosa che fece puntualmente con una circolare sulla stampa (31 dic. 1847) che, chiudendo definitivamente la breve stagione della libertà di stampa a Roma e nello Stato papale, riconsegnava ogni controllo in materia alla Segreteria di Stato.
Ma in realtà per il M., priore di S. Sabina dal 1846, si preparava un incarico più prestigioso, che l’avrebbe inserito definitivamente nel ristretto mondo della Curia. Il 18 ott. 1849 fu infatti chiamato da Pio IX a ricoprire, dopo un periodo di vacatio successivo alle dimissioni volontarie di T.A. Degola, la carica di segretario della Congregazione dell’Indice. La data non è irrilevante: la sua firma infatti non compare in calce al decreto del 30 maggio 1849, emanato a Napoli in aperta violazione delle norme elaborate da Benedetto XIV nella costituzione apostolica «Sollicita ac provida», con cui si condannavano La costituzione secondo la giustizia sociale e Le cinque piaghe della Santa Chiesa di A. Rosmini Serbati, Il Gesuita moderno di V. Gioberti e il Discorso funebre pei morti di Vienna di G. Ventura. Né egli partecipò in alcun modo alla formazione della decisione collettiva, che avrebbe avuto in seguito numerosi e gravi sviluppi.
L’attività del M. come segretario dell’Indice cominciò quindi alla fine del 1849, prima del ritorno di Pio IX dall’esilio di Gaeta, e si protrasse sino alla morte sotto la direzione di ben quattro prefetti, i cardinali G.L. Brignole, G. D’Andrea, L. Altieri e A. De Luca, in un momento di conflitti e scontri interni alla Curia tra la fazione intransigente rappresentata dai gesuiti e dal S. Uffizio e alcuni gruppi apparentemente più moderati e aperti ai fermenti provenienti dal mondo religioso e dalla società civile. Se è pur vero che la carica di segretario della Congregazione, sempre più burocratizzata, non consentiva grandi margini di manovra e spazi di discrezionalità, è certo che dai pareri espressi direttamente su singole opere e dai comportamenti nell’esercizio della sua funzione il M. appare come un moderato, desideroso di non entrare in aperto conflitto con gli intellettuali messi sotto esame, con i quali anzi teneva a mantenere un legame di amicizia, come ricorda Bartolini a proposito dei suoi rapporti con Rosmini, Gioberti, e C. Cantù che andò a trovarlo poco prima della morte.
Tale posizione comunque sembra originata più da un dato caratteriale che da una consapevole scelta ideologica. Non è un caso al riguardo che V. Tizzani, che lo conosceva bene per la lunga consuetudine di collaborazione nella congregazione, pur dando atto che «non appartenne alla classe di coloro che si piegano sempre umilissimi alla volontà dei potenti», (Tizzani, p. 107) lo definì anche «buono e, diciamolo pure, ancor timido» (Id., p. 256) in merito alle questioni più spinose dibattute all’interno dell’Indice. Nelle vesti di semplice consultore, il M. firmò pochi pareri tra i quali spiccano i voti di condanna de I valdesi di Piemonte di V. Albarella (Torino 1854) o la Storia dei papi di A. Bianchi Giovini (Milano 1856), nei quali sposò del tutto le tesi intransigenti che consideravano la riforma protestante non solo come la sorgente di ogni deviazione dottrinaria, ma anche un potenziale veicolo di insubordinazione alle autorità ecclesiastiche e laiche e quindi di sovversione sociale (Relazione su I valdesi in Piemonte, in Arch. della Congregazione per la Dottrina della Fede, Index, Protocolli, 1854-57, 120).
Gli anni del segretariato del M. furono quelli della più aspra lotta condotta da Pio IX e dalla Curia non solo contro la cultura liberale moderna, ma soprattutto contro le correnti riformatrici che, presenti nel corpo stesso della Chiesa cattolica, chiedevano un ritorno a una più autentica funzione pastorale e un ridimensionamento del potere temporale. In tale quadro il M. ebbe un ruolo significativo nelle cosiddette «cause celebri», in particolare nei procedimenti relativi alle opere di Gioberti, Rosmini, e di G.C. Ubaghs, teologo dell’università di Lovanio. In tutti questi casi, se i suoi comportamenti furono del tutto in linea con i pronunciamenti papali, nelle singole questioni cercò di mantenere una relativa autonomia di giudizio soprattutto rispetto ai pressanti condizionamenti della corrente gesuitica, interna alla Curia. In particolare, su Gioberti i più recenti studi hanno dimostrato che il M. fu contrario nel 1851 alla condanna dell’intera opera del pensatore torinese e al suo deferimento al S. Uffizio, posizione caldeggiata da settori della Compagnia di Gesù, ritenendo che gli errori di Gioberti fossero di natura strettamente politica e che il suo sistema filosofico non potesse essere colpito da un giudizio di condanna. Ancora più chiaro l’atteggiamento del M. nei confronti delle opere di Rosmini, che vennero assolte nel 1854 con il voto favorevole del M. con la formula «dimittantur», contro il parere nettamente contrario dei gesuiti. Anche sul caso Ubaghs il M. si schierò a favore della posizione più morbida, sostenuta dalla corrente moderata del prefetto G. D’Andrea e di C. Vercellone.
Nel 1867 il M. fu coinvolto, come segretario della Congregazione, nelle vicende relative alla denuncia di un’operetta di don Giovanni Bosco facente parte delle «Letture cattoliche», Il Centenario di s. Pietro, considerata da emendare poiché tra l’altro sembrava mettere in dubbio la venuta in Roma del primo papa, per la Chiesa cattolica cardine irrinunciabile del primato del vescovo di Roma. Malgrado la proposta del relatore fosse di mettere il volumetto all’Indice con la formula «donec corrigatur», il M. consigliò a don Bosco alcune correzioni da apportare a una nuova edizione, in modo da evitare che il suo lavoro fosse inserito tra i libri proibiti.
Il M. morì a Roma, dopo una breve malattia, il 13 genn. 1870. Due giorni dopo furono celebrati i funerali presso S. Maria sopra Minerva, mentre il 27 febbraio successivo furono tenute solenni onoranze funebri nell’archiginnasio romano, dove il M. aveva insegnato per quaranta anni e di cui era decano.
Scritti del M.: si tratta in genere di opuscoli occasionali, quali De laudibus Leonis X pontificis maximi ortio habita in aede sacra romani archigymnasii, Roma 1832; In funere eminentissimi ac reverendissimi principis D. Placidi Zurla S. R. E. cardinalis vice sacra urbis antistitis et supremi consilli ad studia in pontificia ditione regunga praefecti: oratio habita in templo Archigymnasii Romani, ibid. 1835; Il dì 4 ott. 1863 … pel trionfo riportato dalle armi cristiane nel Golfo di Lepanto quando l’egregia romana donzella signora Elisabetta Coletti vestiva le divise del Guzman … plauso poetico di Archigene Anfigeneo, ibid. 1863; Cenni biografici intorno al P. M. Pier Domenico Modena de’ predicatori, prefetto dell’insigne Biblioteca Casanatense in Roma, ibid. 1866.
Fonti e Bibl.: L’attività del M. come segretario della Congregazione dell’Indice può essere ricostruita attraverso la documentazione conservata in Città del Vaticano, Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede nei fondi Index, Protocolli, 1850-70; Diarii, 1850-70; Atti e Documenti; Cause celebri, Rosmini. Fondamentale per ricostruire la carriera del M.: A. Bartolini, Elogio funebre del R.mo P. Maestro A.V. M. segretario della S.C. dell’Indice e decano del Collegio teologico di Roma, recitato nei solenni funerali celebrati in S. Maria sopra Minerva il giorno 5 di marzo 1870, per cura dei suoi amici e discepoli, Roma 1870. Notizie biogr. in G. Moroni, Diz. di erudizione storico ecclesiastica da S. Pietro ai nostri giorni, Venezia 1840-61 (cfr. Indici, IV, Venezia 1878, ad nomen); J. Berthier, Le couvent de Ste Sabine à Rome, Roma 1912, p. 724; I. Taurisano, Hierarchia Ordinis Praedicatorum, Roma 1916, p. 120; G. Ponzo, Le origini della libertà di stampa in Italia (1846-1852), Milano 1980, ad ind.; V. Tizzani, Il Concilio Vaticano I (1869-1870), a cura di L. Pasztor, Stuttgart 1991, pp. 106 s., 256; Prosopographie von Römischer Inquisition und Indexkongregation 1814-1917, a cura di H. Wolf et al., Paderborn 2005, II, pp. 1010-1013. Notizie sulla funzione e sulle iniziative prese dal M. come segretario della Congregazione sono contenute nei vari lavori dedicati alla ricostruzione dei processi e delle condanne all’Indice nella seconda metà dell’Ottocento. A questo riguardo in generale si vedano G. Martina, Pio IX 1851-1866, Roma 1986, pp. 494, 607, 609, 614; H. Wolf, Storia dell’Indice. Il Vaticano e i libri proibiti, Roma 2006, pp. 148 s., 157. Sul caso Rosmini: Antonio Rosmini e la Congregazione dell’Indice. Il decreto del 30 maggio 1849 la sua genesi ed i suoi echi, a cura di L. Malusa, Stresa 1999, ad ind.; su Gioberti, L. Malusa - L. Mauro, Cristianesimo e modernità nel pensiero di Vincenzo Gioberti. Il Gesuita moderno al vaglio delle Congregazioni romane (1848-1852), Milano 2005, ad ind.; sul caso dei teologi di Lovanio, J. Ickx, La S. Sede tra Lamennais e S. Tommaso d’Aquino. La condanna di Gerard Casimir Ubaghs e della dottrina dell’Università Cattolica di Lovanio (1834-1870), Città del Vaticano 2005, ad ind.. Sui rapporti con don Bosco si veda G.B. Lemoyne, Memorie biogr. del venerabile don Giovanni Bosco, Torino 1912, VIII, ad ind.; L. Giovannini, Le letture cattoliche di don Bosco, esempio di stampa cattolica nel sec. XIX, Napoli 1984, pp. 44-46; F. Motto, «Il centenario di S. Pietro» denunciato alla S. Congregazione dell’Indice. La memoria difensiva di don Bosco, in Ricerche stor. salesiane, XIII (1996), pp. 59-99.