MARTINI, Vincenzo
– Nacque a Monsummano, presso Pistoia, il 26 maggio 1803 da Ferdinando e da Anna Barbolani da Montauto.
In famiglia il nonno paterno, Vincenzo, aveva ricoperto negli ultimi decenni del Settecento un ruolo importante nell’alta burocrazia granducale: come segretario del Regio Diritto, aveva dovuto affrontare nel 1787 un duro scontro con il vescovo di Prato, S. de’ Ricci, in tema di amministrazione dei beni ecclesiastici assegnati alle diocesi al fine di riportarli sotto il controllo del sovrano. Successivamente fu luogotenente di Pietro Leopoldo a Siena. Nel 1796 era stato ascritto al patriziato di Pistoia.
La fedeltà e la dedizione al sovrano furono i valori con i quali il M. fu educato dal padre che, per fargli perfezionare gli studi, lo affidò a M.L. Soldati, un canonico ben noto come latinista che insegnava al liceo N. Forteguerri di Pistoia. Avendo messo in mostra buona attitudine allo studio dell’economia e della statistica commerciale, nel 1821 il M. entrò come apprendista nell’ufficio delle Revisioni e dei Sindacati, di cui l’anno dopo divenne segretario alle dirette dipendenze del primo ministro V. Fossombroni. Proseguendo nella sua ascesa, il M. ottenne successivamente l’incarico di segretario generale delle Finanze.
Nel 1848, durante il breve esperimento costituzionale, fu eletto al Consiglio generale della Toscana in rappresentanza di Montecatini, Monsummano e Massa. Malgrado la scarsa propensione per i dibattiti parlamentari, il M. non esitò a prendere la parola per opporsi con successo, adducendo esigenze di risparmio, all’istituzione di un tribunale a Pescia, reclamato a gran voce dai democratici. Per mentalità e per l’educazione ricevuta la sua era, infatti, la posizione di un moderato pienamente inserito nella corte e assai legato alla componente aristocratica della società toscana. Per cui, quando nel febbraio 1849 per il precipitare della crisi il granduca Leopoldo II si rifugiò a Gaeta, il M. restò al suo posto ma senza condividere la politica di F.D. Guerrazzi e dei suoi collaboratori che dopo la restaurazione attaccò duramente, prendendo di mira in particolare C. Pigli, già governatore di Livorno, da lui accusato di scorrettezze amministrative.
Il M., che tra la caduta del Guerrazzi e il ritorno del granduca da Gaeta aveva retto per alcuni giorni il dicastero delle Finanze, Commercio e Lavori pubblici, fu nominato il 2 giugno 1849 amministratore generale delle Dogane.
In tale incarico egli fu oggetto di alcune critiche sulla correttezza della gestione: in particolare, nel 1854 si parlò di un grave ammanco di bilancio; ma Leopoldo II respinse le dimissioni che il M. non aveva esitato a presentargli.
Conservò questo posto fino dopo la rivoluzione del 27 apr. 1859; il 9 luglio fu rimosso per problemi di salute. Si ritirò allora a vita privata dedicandosi alle attività letterarie che aveva coltivato sin da giovane specialmente come commediografo dilettante.
Appassionato lettore di C. Goldoni e osservatore attento dei costumi del suo tempo, aveva esordito con un dramma storico, Una proscrizione sotto Caterina de’ Medici (1841), ma già l’anno dopo aveva scelto la strada della commedia di costume con Gli educatori, satira abbastanza piatta e banale della moderna pedagogia filantropica che però piacque ai suoi amici, il che lo incoraggiò a proseguire con Il marito in veste da camera (1843) e con I Bagni di Lucca (1844), la prima a essere rappresentata in pubblico (vietata dalla censura a Firenze, andò in scena con molti tagli e senza successo a Roma e a Viterbo; A. Bellotti la ripropose 14 anni dopo col titolo Amore e dovere). Successo e notorietà gli arrisero con Il marito e l’amante (1855), malgrado Adelaide Ristori si fosse rifiutata di portarla sulle scene per presunta immoralità della protagonista, e soprattutto con Il cavaliere d’industria (1845), che, messa in scena nel 1854 da F. Sadowski e G. Astolfi, piacque molto al pubblico del teatro del Cocomero di Firenze, fu portata anche a Bergamo e fu lodata da P. Ferrari. Stesso esito avevano avuto nel 1853 Il misantropo in società (al Cocomero con la Ristori) e La donna di quarant’anni, la più nota tra le sue commedie (firmata «Anonimo fiorentino») anche per la acclamata interpretazione della Ristori.
Tuttavia proprio questo testo gli riservò qualche dispiacere dal momento che furono notati diversi punti di contatto con il romanzo dello scrittore francese Charles de Bernard. Un’accusa analoga sarebbe stata mossa, di lì a poco, nei confronti de Il marito e l’amante.
La carriera del M. si chiuse con La strategica di un marito (1858: scritta per la compagnia Domeniconi e rappresentata con buon esito al Valle di Roma, ma con un fiasco a Firenze) e con La morale d’un uomo d’onore (1858, rappresentata nello stesso anno a Genova dalla compagnia Peracchi). Le connotavano gli stessi pregi (garbo, eleganza, assenza di moralismo, studio dei caratteri) e gli stessi difetti (verbosità, prolissità, talvolta noia) dei lavori precedenti e vi si avvertivano la stanchezza derivante dalle precarie condizioni di salute e la malinconia per la perdita della moglie, Marianna Gerini, morta di colera il 29 ag. 1855.
Di tutti questi testi furono date alle stampe dallo stesso M. solo Tre commedie di un anonimo fiorentino; aggiuntovi «L’amante muto», scherzo comico dello stesso autore (Firenze 1854, comprendente: La donna di quarant’anni, Il misantropo in società e Il cavaliere d’industria).
Il M. morì a Monsummano il 17 ott. 1862.
Dopo la morte del M. fu il figlio Ferdinando a raccogliere e curare le Commedie edite ed inedite di Vincenzo Martini (l’Anonimo fiorentino) (Firenze 1876), cui premise una introduzione critica che indicava nella purezza della lingua e nel senso della misura con cui era descritta la società del tempo i pregi maggiori dell’opera paterna. Quanto all’accusa di plagio, il curatore non aveva difficoltà ad ammettere che aveva qualche fondamento con la precisazione, però, che il romanzo di Bernard aveva offerto soltanto uno spunto, come altre volte era accaduto ad altri più illustri scrittori: tra questi persino W. Shakespeare, ispirato dalle novelle di G. Boccaccio.
Fonti e Bibl.: Necr., in La Nazione, 23 ott. 1862; Pistoia, Biblioteca Forteguerriana, Fondo Martini, cass. 20, ins. 91-96; 21, ins. 97-102; 22, ins. 104-115; G. Giusti, Epistolario, a cura di F. Martini, Firenze 1832, III, pp. 172, 176 s.; IV, pp. 89 s.; F. Martini, Lettere (1860-1928), Milano 1934, ad ind.; Tracce: corrispondenza inedita, 1845-1862 (Vincenzo Martini - Adelaide Ristori), a cura di C. Cappellini, Monsummano Terme 1994 (con cronologia delle opere del M.); Id., Il Quarantotto in Toscana. Il diario inedito del conte Luigi Passerini de’ Rilli, Firenze 2000, pp. 218, 237, 259, 364, 378-381, 487, 492; G. Ansaldi, Cenni biogr. dei personaggi illustri della città di Pescia, Bologna 1872, pp. 431-433; F. Martini, Al teatro, Milano 1907, pp. 37-99; Storia letteraria d’Italia. L’Ottocento, a cura di G. Mazzoni, Milano 1934, ad ind.; M. Apollonio, Storia del teatro italiano, II, Firenze 1981, pp. 533-535; Storia di Pistoia, IV, Nell’età delle rivoluzioni 1777-1940, a cura di G. Petracchi, Firenze 2000, p. 286; C. Meldolesi - F. Taviani, Teatro e spettacolo nel primo Ottocento, Roma-Bari 2003, p. 218; V. Spreti, Enc. storico-nobiliare italiana, IV, p. 434; Diz. letterario Bompiani degli autori, II, s.v.; Enc. dello spettacolo, VII, sub voce.