MARINELLI, Vincenzo
– Nacque a San Martino d’Agri (Potenza) il 5 giugno 1819 da Raffaele, medico chirurgo e fervente giacobino, e da Rosalinda de Simone (Minopoli, alla quale si rimanda ove non diversamente specificato).
Ancora fanciullo, si trasferì con la famiglia ad Abriola, piccolo paese divenuto negli anni del Risorgimento uno dei centri liberali più attivi della Lucania. Nei suoi primi anni si dedicò allo studio privato delle lettere e della matematica, mostrando tuttavia una precoce inclinazione verso la pittura, alla quale si indirizzò da autodidatta.
Nel 1837 si trasferì a Napoli, dove iniziò il suo alunnato al Regio Istituto di belle arti, frequentando la scuola del disegno diretta da Costanzo Angelini, illustre rappresentante dell’estetica neoclassica partenopea.
All’Esposizione Borbonica di belle arti di Napoli del 1839 esordì con un disegno oggi disperso, l’Antinoo, tratto dalla statua in gesso conservata nel Museo archeologico nazionale. Partendo dall’esercizio sui modelli antichi, peculiare della formazione angeliniana, il M. ebbe modo di maturare nuove e più moderne riflessioni sul concetto di imitazione e recupero dell’antico: egli affermava che nei capolavori d’arte classica, soprattutto greca, ciò che li rendeva eterni e universali era l’armonico equilibrio tra forma e materia che esprime i tratti della storia e della cultura del proprio tempo (Lettera intorno al Cesare Mormile, dipinto dato nel Concorso municipale di Napoli del 1863, Napoli 1863). Come tutti gli allievi dell’Accademia aspiranti pittori, il M. affiancò lo studio dell’antico a quello dei grandi maestri del Cinquecento e Seicento classicheggiante, copiando i dipinti conservati nella Quadreria del Real Museo Borbonico, le stampe di Leonardo, quelle delle Stanze di Raffaello, del Giudizio universale e della volta della Sistina, dei Sette sacramenti di Nicolas Poussin, dal 1834 diventate, su richiesta di Camillo Guerra, materiale didattico dell’Accademia. Tali esercitazioni sono documentate da un disegno presentato anch’esso all’Esposizione Borbonica del 1839, raffigurante una copia da Pieter Paul Rubens, Giuditta tronca il capo ad Oloferne (ubicazione ignota).
Nel 1842 il M. ottenne il pensionato a Roma dal Consiglio provinciale della Basilicata per perfezionare i suoi studi; dimorava nell’Istituto di palazzo Farnese in via della Lungara (allora sede dell’ambasciata del Regno delle Due Sicilie presso lo Stato pontificio), sotto la guida del direttore Vincenzo Camuccini.
Seguendo il suo programma didattico, il M. si esercitò nei primi due anni sui modelli della statuaria classica, soprattutto romana. Il risultato di questi studi fu il Mosè sul Sinai (ubicazione ignota), dipinto d’invenzione realizzato in grande formato, presentato come saggio del secondo anno di Pensionato all’Esposizione Borbonica del 1845. Con la successione di Filippo Marsigli alla direzione del Pensionato di Roma alla morte di Camuccini avvenuta nel 1844, il M. cominciò a esercitarsi anche nello studio del nudo e della pittura storica affiancando alla perfezione del disegno classico la ricerca del «vero». In breve divenne allievo di Marsigli al quale rimase legato a lungo e che in diverse occasioni gli dimostrò la sua affezione.
Nel maggio del 1844 fu ammesso a frequentare la scuola di nudo e pittura all’Accademia di S. Luca, diretta da Tommaso Minardi, sotto la guida del quale il M. si accostò alla «bella semplicità degli antichi maestri» del Trecento e Quattrocento toscano, sollecitato anche dalla lettura della Divina Commedia e delle poesie romantiche di Thomas Moore.
A tali fonti si ispirano i due dipinti eseguiti in quel periodo, Francesca da Rimini – col quale vinse la medaglia d’oro (Fusco, 1991) – e Gli amori degli angeli (per entrambi ubicazione ignota) presentati all’Esposizione Borbonica di Napoli del 1848. Nella scelta tematica, Gli amori degli angeli anticipa di quaranta anni il dipinto di Domenico Morelli del 1885, mentre il soggetto dantesco era già presente da qualche anno nelle esposizioni giacché insieme con altri temi tratti dalla letteratura e dalla storia medievale, il nome di Dante divenne metafora dell’identità nazionale unitaria negli anni del Risorgimento.
Rientrato a Napoli in occasione della Mostra Borbonica nel 1848, il M. fu coinvolto nei moti liberali e, a fianco di altri artisti napoletani come Saverio Altamura e di giovani filosofi e letterati, si impegnò nella lotta politica. Ma nell’estate del 1849 la repressione del movimento liberale spinse il M. ad andare in volontario esilio in Grecia, nazione diventata per gli Italiani modello etico e politico dopo la conquista della sua indipendenza dagli Ottomani nel 1821. Forte dell’appoggio di Marsigli, legato al movimento filellenico dal 1839, il M. chiese al ministro della Pubblica Istruzione il permesso di assentarsi per sei mesi per motivi di studio e di lavoro, dovendo assolvere ad alcune commesse ricevute ad Atene e Patrasso.
Arrivato nella capitale ellenica nell’agosto del 1849, grazie all’amicizia stretta con un napoletano, Carlo Cassola, anch’egli vissuto precedentemente a Roma, il M. prese subito contatti con la cerchia dei filellenici italiani sfuggiti ai moti del ’48, tra i quali Trojano De Filippis Delfico, fratello del più noto Melchiorre, e il poeta Giuseppe Regaldi che avrebbe nuovamente incontrato qualche anno dopo in Egitto. Fin dai primi giorni in Grecia il M. fu tenuto sotto controllo dal console regio e i legami sospetti con gli emigrati italiani spinsero il ministro della Pubblica Istruzione, attraverso il ministro degli Affari esteri, ad avvertirlo di tenersi lontano da qualunque conoscenza che potesse rivelarsi dannosa per la sua carriera di giovane artista. In seguito a questi eventi il Consiglio provinciale della Basilicata decise di sospendergli la pensione fino ad allora elargita. Ma tutto ciò non compromise le risorse finanziarie del M. né la sua reputazione: egli ottenne committenze dalla corte ateniese dal suo arrivo, nel 1849. Da quella data al 1853 fu incaricato dal re Ottone I di Baviera di eseguire la decorazione della sala da ballo del palazzo Regio di Atene con diciotto dipinti a soggetto mitologico e allegorico (come Il Parnaso, I grandi poeti dell’Antichità, La danza dei guerrieri greci e La danza delle vergini greche), o di genere storico-romanzesco come Una commemorazione del Risorgimento ellenico (Fusco, 1991), andati tutti distrutti durante un incendio del palazzo nel 1910, nei quali fu apprezzato il rapporto delle figure nude tratte dal vero ma aderenti alla tradizione classicista della pittura accademica postdavidiana. Tale importante commissione concesse al M. molta visibilità, cosa che gli permise di presentarsi nel 1852 all’esposizione annuale del Politecnico di Atene, sede dell’Accademia di belle arti, con un dipinto probabilmente a tema mitologico, Europa (ubicazione ignota), e di ricevere incarichi per alcuni lavori a soggetto allegorico da committenti privati, anche in cambio di ospitalità, per i quali restano solo i titoli segnati su un taccuino manoscritto, ora proprietà degli eredi: Il Tasso legge la Gerusalemme ai duchi d’Este; L’unione dell’antico e del nuovo mondo; Il combattimento di Ettore ed Achille; Amore e Morte (Mss. Rosalinda Marinelli e Raffaele Criscio, in Minopoli).
Il periodo greco si concluse con un soggiorno a Creta, probabilmente tra il 1853-54, dove il M. lavorò a tre dipinti per la cattedrale di S. Antonio da Padova a Retimno: L’Assunzione di Maria, Le stimmate di s. Francesco e la pala d’altare a grandezza naturale ispirata a Camillo Guerra, Il battesimo di Cristo, solo quest’ultima pervenuta e oggi conservata nella chiesa cattolica di S. Giovanni Battista a Iraklion.
Utilizzando forse il canale delle organizzazioni a favore degli esuli, nel 1854 il M. decise di trasferirsi in Egitto, ad Alessandria, divenuta meta di molti esuli politici italiani. Qui rincontrò Regaldi e strinse amicizia con l’egittologo Giuseppe Vassalli, ispettore degli scavi e vicedirettore del Museo del Cairo. Quest’ultimo aveva lavorato per il viceré Abbas Pascià e fu probabilmente lui a presentarlo al khedivé Said Pascià salito al trono proprio nel 1854. Uomo di ampia cultura, educato a Parigi, Said Pascià fu il committente del taglio dell’istmo di Suez nel 1856 e, come d’abitudine in questi viaggi, volle che il M. lo accompagnasse nella sua spedizione di nove mesi in Sudan tra il 1856 e il 1857 per documentare attraverso taccuini di schizzi e bozzetti tratti dal vero i luoghi, i costumi e le abitudini di quel Paese. Il considerevole materiale raccolto non solo nel viaggio in Sudan, ma anche negli altri viaggi in Palestina e Turchia in quegli anni, divenne una ricca fonte d’ispirazione da cui il M. trasse al rientro in Italia soggetti per i suoi dipinti elaborati in atelier nel genere pittorico orientalista, diffusosi largamente in Europa grazie al successo riscosso dai dipinti di Jean-Léon Gérôme.
Tra di essi: Il ballo dell’ape nell’harem (Napoli, Museo nazionale di Capodimonte), acquistato dal principe Umberto di Savoia ed esposto alla prima Esposizione internazionale di Londra nel 1862; Ricordo dell’Alto Egitto (Napoli, collezione privata), Tratta delle schiave sul Mar Rosso (Napoli, collezione privata), Famiglia di beduini nomadi in viaggio (Napoli, Avvocatura di Stato) e Grande carovana (ubicazione ignota), presentato alla Promotrice napoletana del 1869 col titolo Un pellegrinaggio alla Mecca e acquistato dal ministro inglese William Ewart Gladstone.
Nel 1859 il M. rientrò in Italia per sposare Enrichetta Sarli, potentina, dalla quale ebbe quattro figli, tra cui la primogenita Cristina e l’ultima, Rosalinda, pittrice. Partecipò all’Esposizione Borbonica di quell’anno vincendo una piccola medaglia d’oro con due dipinti, Ricreazione di una famiglia beduina (ubicazione ignota) e il già menzionato Famiglia di beduini nomadi in viaggio, che risentono dell’adesione al programma di rinnovamento artistico di Domenico Morelli. Al filone della pittura di genere neopompeiano appartiene un altro dipinto, La toilette di Cleopatra (Napoli, Museo nazionale di Capodimonte), commissionato da Vittorio Emanuele II ed esposto dal M. alla Promotrice napoletana del 1863. Nello stesso anno eseguì Cesare Mormile ovvero Nobiltà e popolo contro le sanzioni dell’Inquisizione del 1547 (Napoli, Museo civico di Castel Nuovo) per inviarlo al concorso organizzato dal Municipio di Napoli per la realizzazione di opere sul tema dell’Unità.
Il dipinto ricevette molte critiche per l’esaltazione dell’aspetto storico della rivolta a discapito di quello religioso, accuse dalle quali il M. si difese scrivendo una lettera aperta a Morelli – la già citata Lettera intorno al Cesare Mormile… del 1863 – nella quale sosteneva che la pittura doveva esprimere solo il fatto storico. Rifacendosi ancora alla rivolta napoletana del 1547 e a quella del 1647, il M. eseguì un altro dipinto, Ferrante Carafa e Masaniello, che presentò alla Promotrice napoletana del 1869 e alla prima Mostra nazionale di Parma nel 1870, in quest’ultima premiato con una medaglia d’oro e acquistato dal principe Umberto di Savoia che lo donò ai Musei civici di Torino, dove si conserva attualmente.
Invitato dal khedivé Ismail Pascià per le cerimonie dell’inaugurazione del canale di Suez, nel novembre del 1869 il M. intraprese un secondo viaggio in Egitto durato un anno, rimontando il Nilo fino alle prime cascate di Assuan.
A Suez ebbe modo di incontrare altri artisti italiani chiamati dal khedivé per importanti committenze, tra cui i pittori orientalisti Cesare Biseo, Marco De Gregorio e Stefano Ussi. Con costoro ebbe probabilmente modo di confrontarsi e di subirne il fascino, come appare nel suo dipinto Ragazza araba seduta (Napoli, collezione privata), realizzato al Cairo nel 1870, che nel suo ampio mantello riprende le figure femminili di Ussi nel Trasporto del Mahamal alla Mecca (Roma, collezione privata) commissionato dal khedivé, o in Carovana araba del 1885 (Londra, Christie’s South Kensington), nel quale la luce e l’ampiezza del paesaggio desertico ricordano le vaste vedute dai colori intensi dell’Oriente di Biseo.
Nel novembre del 1870 fu nominato professore onorario dell’Accademia di belle arti di Napoli, e alla morte di Giuseppe Mancinelli (1875) ottenne la cattedra di disegno, che gli fu riconfermata nel 1878 fino al 1881 quando, in seguito alle dimissioni di Morelli, fu nominato dal ministero suo successore alla cattedra di pittura, dimostrando la fedeltà all’insegnamento del maestro, anche in una delle sue ultime opere, Un episodio del Cantico dei Cantici (già Napoli, collezione privata, disperso nella seconda guerra mondiale).
L’attività didattica non lasciò molto spazio da dedicare alla pittura, che il M. comunque continuò a praticare alternando il genere orientalista – in alcuni casi riproducendo le sue opere più note come Il ballo dell’ape, del quale si conserva una copia datata 1877 al Museo provinciale di Potenza, in altri ideando nuove composizioni come Un corteggio nuziale arabo (ubicazione ignota) presentato alla Promotrice napoletana del 1887 – al tema storico – Arrigo IV a Canossa (ubicazione ignota) presentato alla Promotrice del 1881 – e concedendosi anche al genere della ritrattistica con una serie di ritratti di famiglia di stampo accademico, eccetto per il Ritratto della figlia (Potenza, Museo provinciale) ascrivibile agli anni Settanta, nel quale l’espressione di una vena malinconica traspare anche attraverso la scelta di una gamma tonale ridotta ai grigi e nell’austera eleganza dell’abito dalla resa straordinaria delle stoffe e degli accessori.
Morì il 18 genn. 1892 a Napoli.
Il M. partecipò anche come vivace polemista nel 1864 al pamphlet antiaccademico ideato da Vittorio Imbriani e Saro Cucinotta dal titolo L’arte moderna. Foglio settimanale da pubblicarsi finché non venga sciolto l’Ist. di belle arti di Napoli, che propugnava il libero insegnamento delle arti negli atelier fuori dall’Accademia (Fusco, 1991).
La maggior parte delle sue opere si conserva in diverse collezioni private prevalentemente napoletane, eccetto alcune importanti tele che si trovano a Napoli, a Capodimonte e nel Museo nazionale di San Martino, e a Potenza presso il Museo provinciale.
Fonti e Bibl.: C.T. Dalbono, Ultima mostra di belle arti in Napoli, Napoli 1859, p. 228; M.A. Fusco, in La pittura in Italia. L’Ottocento, II, Milano 1991, p. 904; Id., Avventure artistiche mediterranee, per pittori meridionali, in Gli orientalisti italiani. Cento anni di esotismo 1830-1940 (catal., Stupinigi), a cura di R. Bossaglia, Venezia 1998, p. 35; M.C. Minopoli, V. M. (1819-1892). L’avventura intellettuale di un artista romantico, Napoli 2005.