GRIMANI, Vincenzo
Nacque a Venezia intorno al 1491 dal matrimonio, celebrato nel 1482, di Francesco, detto Scipione, di Pietro, con Lucrezia Diedo di Andrea. Ebbe tre fratelli, Marco Antonio e Piero, entrambi procuratori di S. Marco de ultra, e Andrea (m. 1563).
L'11 nov. 1511, al compimento del ventesimo anno d'età, fu presentato dal padre all'avogaria di Comun, per l'estrazione della balla d'oro. Il 1° dic. 1520 contrasse matrimonio con una donna della famiglia Giustinian, figlia del procuratore Girolamo di Antonio, il nome della quale non fu registrato nella Cronaca matrimoniale dell'avogaria di Comun e neppure riportato nel Sanuto e nel genealogista M. Barbaro. La dote ammontò alla considerevole somma di 10.000 ducati più altri 500 in beni mobili. Dall'unione non nacquero figli maschi.
Grazie alla notevole influenza politica ed economica della sua famiglia, intensa e versatile fu la carriera del G., equamente divisa tra le cariche ricoperte nella Dominante e missioni diplomatiche. Il 27 nov. 1520 fu ballottato quale provveditore al Cottimo di Damasco, ottenendo la stessa votazione del cugino Vincenzo Grimani di Francesco, sul quale prevalse nella seconda mano d'elezione con 146 voti a favore; il 2 sett. 1521 fu nominato camerlengo di Comun. Ma l'inizio della sua ascesa a più prestigiosi incarichi iniziò con l'elezione alla carica di procuratore di S. Marco de citra, voluta dal Senato con propria deliberazione il 18 apr. 1529 e approvata dal Maggior Consiglio con 1358 voti a favore e soli 131 contrari; per la carica il G. aveva versato la considerevole cifra di 8000 ducati d'argento (secondo Barbaro addirittura 16.000). Il 4 ott. 1532, quale procuratore, il Maggior Consiglio lo votò come componente della zonta del Consiglio dei dieci e quasi contemporaneamente, il 7 ottobre, fu eletto, con Carlo Morosini, provveditore sopra Oli e legne.
Il 22 novembre dello stesso anno, sempre nella sua figura di procuratore di S. Marco, fu designato dal Maggior Consiglio per il delicato incarico di provvedere a una revisione contabile delle casse della Procuratia de ultra, in osservanza di una legge del 1522 che era stata disattesa. Il 22 luglio 1533, fino al successivo maggio, ricoprì l'ufficio di provveditore alle Biave.
Il 7 genn. 1535 il Senato lo elesse, con Marco Antonio Venier, ambasciatore "estraordinario" presso la corte di Ferrara, per manifestare ufficialmente il cordoglio della Serenissima per la morte di Alfonso I d'Este e, nel contempo, i rallegramenti verso il di lui figlio Ercole II per il riconoscimento della sovranità.
Al ritorno da questo incarico la permanenza del G. nella Dominante fu di breve durata, dato che il 4 sett. 1535 il Senato lo destinò, insieme con Tommaso Contarini, Giovanni Dolfin e Marco Foscari, a un'ambasceria a Napoli per porgere il plauso della Serenissima all'imperatore Carlo V per le vittorie riportate presso Tunisi contro la flotta ottomana agli ordini del corsaro Khair ad-dīn Barbarossa, voluto da Solimano quale grande ammiraglio.
La loro "commissione" (11 dicembre) imponeva di esortare l'imperatore alla "conservatione de quiete et pace di Italia". Fu insomma non solo una missione celebrativa, ma anche esplorativa, almeno negli intenti della Repubblica, in merito alle intenzioni del sovrano riguardo il territorio milanese (ambito anche dalla Corona francese) dopo la morte di Francesco II Sforza e un eventuale matrimonio tra Margherita, sua figlia naturale, e Alessandro de' Medici. Rassicurati da Carlo V sulla sua volontà di mantenere la pace, gli ambasciatori tornarono in patria nel gennaio 1536.
Il 28 ag. 1537, in sostituzione di Marcantonio Corner che presentò accettate scuse "per infermità", il G. fu incaricato dal Senato di un'altra ambasciata straordinaria quale "orator presso il Signor Turco", ovvero Solimano I, per manifestargli la volontà della Serenissima di "perseverar nella pace et amicitia", malgrado gli accaduti conflitti tra le galee veneziane e turche nei pressi del canale di Corfù, con l'affondamento di un naviglio turco con carico di vettovaglie da parte dello zaratino comandante Simeone Nassi e successivo assalto ai bastimenti turchi e cattura del dragomanno Janusbei a opera dei sopracomiti posti a guardia del canale marittimo. Il G., partito con un seguito di 15 persone e un appannaggio mensile di 200 ducati, supportato dall'appoggio dell'allora bailo a Costantinopoli Giacomo Canal, non riuscì a portare a termine la missione con successo, perché il sultano, determinato ad avere soddisfazione, inviò la flotta turco-francese, con a capo il Barbarossa, ad assalire la fortezza dell'isola di Corfù, che fu oggetto di un feroce e disastroso assedio, cui oppose strenua ed efficace resistenza. Le attenzioni ottomane si spostarono poi ai porti, strategici per la difesa dell'Adriatico, di Napoli di Romania e di Malvasia nel Peloponneso. Ciò portò la Serenissima ad aderire prontamente alla lega antiturca voluta dal pontefice Paolo III tra il Papato, Carlo V e Ferdinando re dei Romani (8 febbr. 1538).
Il G., al suo ritorno nella Dominante nel 1538, fu chiamato tra i 41 patrizi prescelti per l'elezione del doge, Pietro Lando. Il 27 dic. 1539 il Senato lo elesse, con Antonio Cappello, ambasciatore "ad conventum in Flandria" per assistere all'incontro tra Carlo V e Francesco I di Francia, con l'obbligo di partire entro sei giorni. La missione era stata organizzata, congiuntamente, dal governatore di Milano, il marchese del Vasto Alfonso d'Avalos, e dal maresciallo d'Annebaut, quali inviati dei rispettivi sovrani, allo scopo di assicurare Venezia del comune accordo di intraprendere un decisivo e unitario assalto contro l'Impero ottomano. Dopo una breve sosta a Milano, ove manifestarono al marchese del Vasto il bisogno di approvvigionamenti di frumento, carenti a seguito dell'interruzione forzata delle importazioni con il Levante, nel gennaio 1540 i due ambasciatori si separarono, recandosi il G. al seguito di Francesco I e il Cappello a Gand presso l'imperatore.
Ottenuta il 17 apr. 1540 facoltà dal Senato di tornare in patria, "espedita la commission loro", il 20 luglio 1541 il G. fu chiamato a far parte con Giovanni Antonio Venier, Nicolò Tiepolo e Marcantonio Contarini della delegazione incaricata di accogliere con ogni onore Carlo V, di passaggio nei territori veronesi della Serenissima per il breve corso di due giorni.
L'anno seguente Francesco I con editto promulgato da Fontainebleau - a conferma "delli buoni offici" prestati dal G. a favore della Serenissima ma pure quale riconoscimento della "buona ferma et intiera volontà et affetione che sempre ha mostrato amore verso di noi, nostro regno, et il bene et prosperità de negotii nostri" (Barbaro, c. 137) - conferì al G. il privilegio d'inquartare nel proprio stemma familiare il giglio dell'arma di Francia.
Abbandonate le cariche politiche, il G. accettò solo l'elezione, nel 1545, a conservatore dei canonici secolari del monastero di S. Giorgio in Alga. Morì a Venezia nel corso del 1546.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, Cronaca matrimoniale, reg. 107, c. 151r; Balla d'oro, IV, reg. 165, c. 212v; Misc. codd., I, St. veneta, 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, IV, cc. 125, 137-138; Codici Soranzo, reg. 32: G.A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, c. 541; Segretario alle Voci, Elezioni in Senato, reg. 2/b (anni 1530-59), cc. 74r, 77r, 79r, 84r; Misti, regg. 7, c. 50r; 11, c. 72v; Elezioni in Pregadi, reg. 1, cc. 27v, 29r, 53v, 55v; Senato, Terra, regg. 28, c. 189; 29, c. 154r; 31, c. 20; Senato, Segreti, regg. 56, cc. 69 (7 genn. 1534, m.v. 1535), 127 (4 sett. 1535), 142 (16 ott. 1535), 150 (2 dic. 1535), 154r-155 (11 dic. 1535); 58, cc. 45v-46r (28 ag. 1537); 60, c. 95r (27 dic. 1539), 100r-102r; Dieci savi alle Decime in Rialto, b. 90, n. 634 (10 luglio 1534); M. Sanuto, I diarii, XXIX, Venezia 1890, coll. 412, 421, 424, 441; LVII, ibid. 1902, coll. 13, 36, 244; LVIII, ibid. 1903, col. 728; P. Paruta, Degl'istorici delle cose veneziane, Venezia 1718, I, cc. 641, 693; II, cc. 109, 133; F. Corner, Ecclesiae Venetae, XIII, Venetiis 1749, p. 350; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, II, Venezia 1827, p. 66; S. Romanin, Storia documentata di Venezia, VI, Venezia 1857, p. 18; F. Colasanti, Cappello, Antonio, in Diz. biogr. degli Italiani, XVIII, Roma 1975, pp. 749 s.; G. Benzoni, Dolfin, Giovanni, ibid., XL, ibid. 1991, p. 508.