CONTI, Vincenzo
Tra le fonti più autorevoli per il tardo manierismo romano il solo Baglione (1642) ricorda il C., con una breve biografia in coda a quella del fratello più anziano Cesare. Secondo il Baglione, il C. sarebbe nato a Roma (non ad Ancona, come il fratello) e avrebbe conosciuto le prime affermazioni negli anni del pontificato di Sisto V (1585-1590). I suoi inizi vanno ricercati all'interno della bottega del fratello con il quale risulta attivo sul finire del 1592 alla cappella dei bifolchi in S. Maria delle Vergini a Macerata (pagamento del 13 nov. 1592: Paci, 1973). Va precisato però che l'intervento dei fratelli Conti fu solo di completamento (per il valore di 383 fiorini) rispetto alla fastosa decorazione di Gaspare Gasparrini, venuto a mancare prima di portare a termine l'impresa (che era stata valutata 2.000 scudi). Un altro intervento con il fratello è documentato per la cappella maggiore dei duomo di Macerata, su commissione del nobile Bernardino Pellicani, ma tutto è andato perduto nel rifacimento settecentesco della chiesa (ibid.). Sempre ai due fratelli sono poi attribuiti dall'Aleandri (1898, p. 132) affreschi nella chiesa di S. Maria dei Lumi a Sanseverino (circa 1596).
I primi documenti che riguardano una attività autonoma dei C. a Roma cadono il 29 ottobre e il 22 nov. 1599, quando viene pagato per una Adorazione dei Magi nella cappella della Madonna alla Madonna dei Monti (Tiberia, 1973, p. 183), nella quale sono impegnati numerosi pittori sotto il coordinamento di Cesare Nebbia: l'affresco è quasi ingiudicabile per i danni e i rifacimenti come gran parte di quella grande impresa. "Vincenzo lavorava assai per diversi pittori si, che da se egli poco colori": questa affermazione del Baglione porta a sospettare un personaggio poco emergente nella marea dei lavoranti romani alle grandi imprese decorative promosse da Sisto V e da Clemente VIII, e la marginalità di questo itinerario biografico viene confermata dall'essere il C. sfuggito alle estese esplorazioni documentarie di A. Bertolotti (Artisti bolognesi..., Bologna 1886, p. 183), del Masetti Zannini 0974) e della Corbo (1975). Resta aperta la possibilità che il C. vada identificato con il non meglio noto "Vincenzo, pittore in via Gregoriana" registrato nel 1598 dallo Status animarum di S. Andrea delle Fratte (Masetti Zannini, 1974); poco oltre, sempre in via Gregoriana, abitava Federico Zuccari che, nel 1607, si varrà del C. come collaboratore alla decorazione della grande galleria di Carlo Emanuele 1 di Savoia nel palazzo ducale di Torino. È tanto più sorprendente, di fronte a una simile inafferrabilità, il fatto che (per le testimonianze convergenti del Baglione e dei documenti d'archivio) il C. abbia avuto almeno una occasione eccezionale nel corso della sua carriera giovanile: nel 1600, in previsione del giubileo, lavorava infatti in S. Cecilia in Trastevere per il cardinal Paolo Emilio Sfondrato, insieme con il Baglione stesso, con Guido Reni, Francesco Vanni, Andrea Comodi, Andrea Lilio e i meno noti Marco Tullio Onofri e Giovanni Sanna detto il Pizzica (Archivio di Stato di Roma, Corporazioni religiose, Benedettine di S. Cecilia, vol. 4092, Registro dei mandati del 1600, in Pepper, 1967).
In S. Cecilia il Baglione ricorda del C. "alla banda destra, la santa Agnesa in piedi, il santo Urbano papa e martirè; et in faccia il san Benedetto Abbate, e nella volta... diversi puttini in fresco condotti", ma già il Ricci (1834, II, p. 167) segnala le stesse opere come perdute nel corso del riarredo della chiesa. A giudicare dalle parti conservate e meglio leggibili di questa decorazione seicentesca (e in particolare dal S. Tiburzio della navata destra, che il Baglione attribuisce a Marco Tullio [Onofri] compagno del C. anche a Torino), si può credere che il C. fosse inserito in una équipe di cultura genericamente zuccaresca, non insensibile però agli estri cromatici e disegnativi della più brillante tradizione romana, formatasi sulla scia del primo Barocci e dei barocceschi dominanti sotto Sisto V.
È quindi naturale ritrovare il C. a fianco del baroccesco Andrea Lilio nella volta della cappella laterale destra del presbiterio di S. Agostino a Roma (cappella di S. Nicola da Tolentino).
Seguendo le segnalazioni del Baglione, al C. spetterebbero le vivaci Storiette di s. Nicola. La decorazione della cappella, ridotta alla sola volta per i pesanti interventi ottocenteschi di Pietro Gagliardi, dovrebbe essere stata coordinata e diretta da Giovanni Battista Ricci (a questo attribuisce per intero la cappella il Celio, nel 1638). Anche in questo caso la conservazione degli affreschi del C. non è perfetta e non si può decifrare che una felice agilità di mano., non troppo diversa da quella dispiegata nei riquadri con i Dottori della Chiesa dal compagno Andrea Lilio (in qualche testo, anche recente, gli affreschi del C. sono sbadatamente attribuiti a Francesco Conti, e datati al XVIII secolo).
Il Baglione elenca gli affreschi in S. Agostino come ultima opera romana, ma non possono essere troppo allontanati dai lavori di S. Cecilia perché il Lilio risulta già tornato nelle Marche sul 1602. Nulla sappiamo invece della precedente attività del C. sulle pareti laterali di S. Galla: i due grandi affreschi con un santo papa e la martire Galla, "figure in piedi maggiori del vivo, a fresco" (Baglione), furono distrutti con la chiesa. Ancora il Baglione ricorda una fitta serie di viaggi del C. fuori Roma e infine la sistemazione presso la corte ducale di Torino. Qui il C. è documentato, a partire dal 18 luglio 1607, per cinque mesi di lavoro alla grande galleria di Carlo Emanuele I che collegava l'attuale palazzo reale con l'attuale palazzo Madama. Da un successivo documento del 17 dic. 1607 siamo in grado di capire che il primo compenso intendeva coprire dei lavori anteriori al 16 giugno 1607, quindi l'arrivo del C. a Torino sembra collocarsi a ridosso del 16 gennaio di quell'anno. Verosimilmente è un arrivo da Roma e non da Pavia, dove Cesare Nebbia e Federico Zuccari avevano appena terminato di decorare il salone del collegio Borromeo, perché i documenti di quest'ultima impresa non citano mai il nome del Conti. Ancora un documento del gennaio 1608 ricorderà la sua attività alla grande galleria per il dicembre dell'anno precedente (queste precisazioni si devono al Claretta, 1895). Purtroppo nulla è rimasto dell'attività torinese del C., essendo andata distrutta la galleria di Carlo Emanuele I già nel corso del Seicento ed essendo stata abbattuta, sul finire dei XVII sec., anche la cappella del Crocefisso nella chiesa di S. Andrea (ora santuario della Consolata), che il Cibrario (1846) dice decorata dal C. nel 1610; manca alla Consolata anche una immagine del Beato Amedeo, ivi esistente ancora nel 1665, quando un Summarium per la canonizzazione del beato Amedeo la ricorda come opera di "Vincenzo Conti, pittore romano che operava intorno al 1600" (Schede Vesme, p. 365). Nonostante tutte queste limitazioni, la lettura dei documenti raccolti nelle Schede Vesme consente di precisare qualche dettaglio sull'inserimento del C. nel folto gruppo di artisti attivi alla corte di Carlo Emanuele I. I pagamenti per la grande galleria del 1607 e 1608 ricordano accanto al C. il pittore romano Marco Tullio Onofri, da identificare con il Marco Tullio ricordato dal Baglione (e da documenti di pagamento) tra i collaboratori nella decorazione di S. Cecilia in Trastevere a Roma. Altri pagamenti degli anni 1610, 1611 e 1612 indicano il C. attivo per la corte con particolari impegni di scenografo in occasione di feste a palazzo reale (esperienza che si ripete nel 1619 e nel 1622), e per lavori perduti al castello di Moncalieri. Il 10 sett. 1612 il C. diventa pittore stipendiato del duca Carlo Emanuele I e il 25 giugno 1614 riceve una gratificazione di 100 ducatoni (simili attestati di particolare gradimento si ripetono in varia forma negli anni successivi). Nel 1617-1620 sono documentati lavori al palazzo del principe di Piemonte in collaborazione con Ludovico Brandino, noto per alcuni quadri di battaglie, ricordati nell'inventario post mortem di Carlo Emanuele I, e per una fitta corrispondenza con il poeta Giovanni Battista Marino. Nel 1620 stima il valore di alcune nature morte di Giovanni Domenico Dadei. Il 4 ag. 1621 Carlo Emanuele I accoglie la sua domanda di naturalizzazione, presentata anche a nome di tutta la famiglia (la moglie risulta chiamarsi "Agnese, figliuola di Guglielmo Grazia fiamengo"), in riconoscimento di quattordici anni di continuato servizio (il che conferma l'arrivo del C. a Torino non molto prima del gennaio 1607). Il 4 luglio 1625 il C. è ancora vivo e riceve dal duca la particolare concessione di aprire, per sé e per gli eredi, una bottega di speziale a Torino; il 10 apr. 1626 il pittore risulta defunto e si trasferiscono alcuni dei suoi privilegi in favore dei figli Carlo, Michelangelo e Giulio Cesare.
Non è stato possibile recuperare alcuna notizia recente sulle "prospettive di giardini" attribuite al C. in un inventario (1631) dei dipinti del palazzo ducale di Torino stilato alla morte di Carlo Emanuele I, né sulle vedute di Rivoli, Torino e del lago di Ginevra (non Genova come si legge nelle Schede Vesme) ricordate da Antonio della Cornia nel castello di Mirafiori, presso Torino, in un inventario delle collezioni ducali dell'anno 1635 (cit. in Schede Vesme). Accanto a questi dipinti il della Cornia ricorda anche un Apolloche saetta Pitone, il cui disegno preparatorio è stato celebrato in un madrigale della Galeria (1619) di Giovanni Battista Marino (Favole, a cura di M. Pieri, Padova 1979, pp. 27 s. n. 38). L'incontro tra il C. e il Marino fu, con tutta probabilità, un incontro torinese, da fissare tra il 1608 e il 1615, negli anni che videro il soggiorno dei Marino presso la corte di Carlo Emanuele I.
I documenti raccolti dalle Schede Vesme ricordano ampiamente, dal 1626 al 1680, l'at tività pittorica del figlio del C., Carlo, specialista in scenografie e in preziosi quadretti di fiori, frutti e uccelli, eseguiti soprattutto per la galleria piccola di palazzo reale, nessuno dei quali è riconoscibile. Restano invece alcune miniature nei volumi di balletti illustrati da Carlo in collaborazione con G. T. Borgonio: L'unione della peregrina Margherita (Torino, Biblioteca nazionale, Ris. V, 53), ballato a Torino l'11 maggio 1660 per festeggiare le nozze di Margherita di Savoia con Ranuccio Farnese (pagamenti del 15 marzo 1663 e 26 febbr. 1669 al C. e al Borgonio; 8 marzo 1670, alla consegna del lavoro, al Borgonio: ill. in Viale Ferrero, 1965, tavv. XXVI-XXVIII), Il falso amor bandito... (Torino, Bibl. naz., Ris. q. V, 62), ballato a Torino il 6 febbr. 1667 (pagamento 8 marzo 1670 "per il libro ch'ha cominciato", ill. in Viale Ferrero, tavv. XXIX s.). Comunque lo stile delle miniature è dei tutto coincidente con quello riconoscibile in volumi analoghi sicuramente documentati come opera di G. Borgonio.
Nel 1671 fu nominato governatore del castello di Rivoli. Morì il 12 genn. 1685 (Schede Vesme).
Fonti e Bibl.: G. B. Marino, Lett. del cav. G. B. Marino, Venezia 1628, premessa (pp. n. num.); G. Celio, Mem. delli nomi dell'artefici delle pitture... di Roma [1638], a cura di E. Zocca, Milano 1967, pp. 11, 49 n. 7; G. Baglione, Le vite de pitt., scuitori et architetti, Roma 1642, pp. 167 s.; A. Ricci, Mem. stor. delle arti e degli artisti della Marca di Ancona, Macerata 1834, II, pp. 166 s.; L. Cibrario, Storia di Torino, Torino 1846, II, p. 294; G. Campori, Racc. di cataloghi ed inventari inediti..., Modena 1870, p. 76; G. Claretta, Ilpittore F. Zuccaro nel suo soggiorno in Piemonte..., Pinerolo 1895, p. 59 (nota); A. Baudi di Vesme, La R. Pinacoteca di Torino, in Le Gall. naz. ital., III (1897), p. 64; V. E. Aleandri, Nuova guida di Sanseverino, Sanseverino 1898, p. 132; G. Scavizzi, Gli affreschi della Scala Santa.... in Boll. d'arte, XLV (1960), p. 112; Schede Vesme, I, Torino 1963, pp. 362-365 (anche per Carlo); V. Moccagatta, G. Caccia detto il Moncalvo. Le op. di Torino e la gall. di Carlo Emanuele I, in Arte lomb., VIII (1963), 2, pp. 207, 236; M. Viale Ferrero, Feste delle Madame Reali di Savoia, Torino 1965, tavv. IV, VIII, XXVI-XXVIII (per Carlo); S. Pepper, Baglione, Vanni and Cardinal Sfondrato, in Paragone, XVIII (1967), 211, p. 74 n. 22; A. Nava Cellini, S. Maderno, F. Vanni e G. Reni a S. Cecilia in Trastevere, in Paragone, XX (1969), 227, p. 40 n. 34; V. Tiberia, Una notizia sul Gentileschi e sugli altri pittori alla Madonna dei Monti, in Storia dell'arte, aprile-agosto 1973, 18, pp. 182 s.; L. Paci, Storia di Macerata, Macerata 1973, III, pp. 52, 55 s.; G. L. Masetti Zannini, Pittori della seconda metà del Cinquecento in Roma (documenti e regesti), Roma 1974, p. 124; A. M. Corbo, Fonti per la storia artistica romana al tempo di Clemente VIII, Roma 1975, pp. 63 s.; M. Breccia Fratadocchi, S. Agostino in Roma. Arte, storia, documenti, Roma 1979, pp. 61 s.; C. Strinati, Quadri romani tra '500 e '600... (catal.), Roma 1979, pp. 20, 24; Storia del Teatro Regio di Torino, III, M. Viale Ferrero, La scenografia dalle origini al 1936, Torino 1980, pp. 5 s. (per Carlo); L. Tamburini, Il castello di Rivoli, Torino 1981, p. 29; L. Barroero, La svolta naturalistica di O. Gentileschi, in Antologia di belle arti, XXXX (1981), 19-20, p. 174 n. s; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VII, p. 337.