CANDIDO, Vincenzo
Nacque a Siracusa l'11 febbr. 1573 da Giuseppe e da Agata Ursie. Fu battezzato con il nome di Mario e ricevette la sua prima formazione religiosa e culturale nella città natale. Nel 1594 entrò nell'Ordine domenicano, nel convento della chiesa di S. Maria sopra Minerva a Roma, scegliendo il nome di Vincenzo. Dopo aver completato i suoi studi e conseguito il dottorato in teologia, ebbe subito incarichi di rilievo nel governo dell'Ordine. Nel 1609 fu inviato in Sicilia come padre provinciale; due anni dopo venne destinato a Camerino come insegnante di filosofia e di teologia per gli alunni di quel collegio, incarico che tenne fino al 1617 quando, succedendo al p. Vincenzo Puccioni di Burgo, fu nominato penitenziere di S. Maria Maggiore a Roma; conserverà tale incarico fino al 1642. Nel frattempo divenne priore della chiesa di S. Maria sopra Minerva nel 1628; due anni dopo, e fino al 1631, fu designato rettore del collegio annesso alla stessa chiesa.
La lunga esperienza maturata in questi anni doveva portare il C. ad assumere nell'ambito del suo Ordine maggiori responsabilità. Nel 1633 divenne infatti padre provinciale della provincia romana; nel 1642 fu eletto vicario generale dell'Ordine, carica che gli verrà poi rinnovata nel 1649 succedendo al generale P. Toma Turco, quando già aveva ottenuto, dal 1645 la nomina a maestro del Sacro Palazzo in sostituzione di Michele Mazarino divenuto arcivescovo.
Abilità, prudenza, capacità di governo, fino al punto che il C. non sarebbe stato costretto mai ad atteggiamenti severi o ad imposizioni di alcun genere nei riguardi dei confratelli sottomessi alla sua autorità, appaiono come le sue qualità maggiori. Nel frattempo la grande erudizione e la preparazione teologica di cui il C. dava mostra lo portarono ad assumere uffici di rilievo anche nell'ambito della Curia romana, come membro del collegio creato per esaminare i candidati al vescovato e come consultore del tribunale dell'Inquisizione. In questo campo mostrò di possedere una sicura autonornia e libertà di giudizio dottrinale. Nel 1643, invitato insieme ad altri teologi a dare un parere sull'opera di Antoine Arnauld Traité de la frequente Communion, si espresse in maniera favorevole alle tesi che vi erano esposte, confortato poi dall'identico parere del S. Uffizio. Più tardi, fu chiamato di nuovo ad esprimere la sua opinione in qualità di consultore di una commissione di cardinali, creata appositamente da Innocenzo X per esaminare sette proposizioni, di cui cinque tratte da Giansenio, che la facoltà di teologia di Parigi aveva inviato a Roma per un definitivo giudizio sulla loro ortodossia. Le conclusioni cui giunse il C., insieme con altri tre membri della commissione, furono ancora una volta favorevoli alla dottrina giansenistica, anche se le cinque proposizioni incriminate furono giudicate dalla maggioranza dei consultori, e poi dei cardinali, come eretiche o vicine all'eresia, e comunque contrarie agli insegnamenti del concilio di Trento così da indurre Innocenzo X a condannarle con una bolla nel 1653.
Nonostante la difformità di giudizio da quelle che erano state le decisioni finali del Papa, il C. continuò ad essere tenuto in Curia nella più grande considerazione anche per la fama da cui era ormai circondato dopo la pubblicazione dell'opera Illustriorum disquisitionum moralium, i cuiprimi due tomi furono pubblicati a Roma nel 1637 e i tomi terzo e quarto nella stessa città nel 1643.
In questo trattato di teologia morale, dedicato al cardinale G. B. Pamphili, il C. affronta una vasta casistica di problemi relativi al comportamento che i fedeli cristiani dovrebbero mantenere sul piano religioso e su quello della vita sociale, e ai divieti che derivano dall'osservanza dei precetti dottrinali e morali. Si parte così dal tema dell'aborto, e si prosegue con un'ampia rassegna riguardante, ad esempio, l'accusa, l'adulazione, l'adulterio, gli atti sessuali, l'apostasia, la frode in commercio, l'astrologia, i benefici, ecc. Nelle rimanenti parti dell'opera vengono invece esaminati problemi morali appartenenti all'esclusiva sfera religiosa, e riguardanti, ad esempio, la confessione sacerdotale, i voti, i giuramenti, le dispense matrimoniali e, infine, i sacramenti. L'opera si conclude con due brevi scritti: il De recto regimine et custodia Sanctimonialum e An Summus Pontifex possit sibi eligere Successorem. L'opera del C. - il quale dichiara nell'avvertenza di aver tratto la materia della sua esposizione dagli insegnamenti dei sacri canoni, dagli scritti dei più antichi e venerati dottori della Chiesa e dalle sentenze dei teologi considerati più autorevoli - ebbe notevoli consensi, fino ad essere giudicata opus aureum dal teologo del papa Nicola Ricardi, e stampata con il necessario "imprimatur", ma suscitò anche opinioni controverse e dissensi per l'accusa che le venne rivolta di contenere e propagandare opinioni lassiste. Il generale domenicano Toma Turco ne vietò persino la lettura nel refettorio; l'opera fu anche deferita al tribunale dell'Inquisizione, ma non si giunse alla sua condanna.
A prescindere da tali controversie, la vita di religioso e di studioso del C. fu considerata dai suoi contemporanei esemplare. Di lui si vollero infatti rilevare le doti di modestia, di umiltà e di zelo, il rigore della sua obbedienza èl'attaccamento alla regola, sempre professata con fedele osservanza. L'alto grado di perfezione religiosa e spirituale raggiunto dal C. spinse così i correligionari a esaltare la sua figura fino a mitizzarne le virtù.
Si tramandò infatti che egli avesse compiuto in vita veri e propri miracoli, guarendo, ad esempio, un lebbroso e spegnendo un incendio improvvisamente scoppiato nel convento della Minerva. Cosicché, morto in odore di santità, le sue vesti sarebbero poi state ridotte a brandelli, divise tra i fedeli e conservate come reliquie.
La morte del C. avvenne a Roma il 7 nov. 1654.
Fonti e Bibl.: F. Salafia, Speculum Archimedis,in quo reflexix radiis Solaribus Illustrium Disquisitionum Moralium R. P. F. Vincentii Candidi omnes casus conscientiae practicabiles summarie di gesti resolvuntur, Messinae 1655; V. M. Fontana, Syllabus magistrorum, Romae 1663, pp. 172-74; Id., Monumenta domenicana, Romae 1675, pp. 643, 645, 665; Id., Sacrum theatrum dominicanum, Romae 1666, pp. 456 s., 487; A. Mongitore, Bibliotheca Sicula sive de scriptoribus siculis, II, Panormi 1709, pp. 278-80; J. Quétif-J. Echard, Scriptores Ordinis Praedicatorum, II, Lutetiae Paris. 1731, p. 580; A. Touron, Histoire des hommes illustres de l'Ordre de Saint-Dominique, V, Paris 1748, pp. 364-73;I. Catalanus, De Magistro Sacri Palatii Apostolici libri duo, Romae 1751, pp. 169-74;P. Th. Masetti, Monumenta et Antiquitates veteris disciplinae Ordinis Praedicatorum…, II, Romae 1864, pp. 139-41;L. von Pastor, Storia dei papi, XIV, 1, Roma 1930, pp. 188, 203-05.