BRUSCO ONNIS (Brusco Omnis, Bruscu Onnis), Vincenzo
Nacque a Cagliari il 13 dic. 1822 da Luigi, giudice della Reale Udienza, e da Rocchetta Onnis. Compiuti gli studi classici, seguì il corso di giurisprudenza presso l'università di Cagliari conseguendo la laurea. Contemporaneamente si orientava verso un'attività letteraria che sfociò nella pubblicazione di una raccolta di liriche, Fiori di maggio (Cagliari 1845), comprendente anche una novella storica imperniata sulla figura di Adelasia di Torres, ed altre poesie che ci permettono di cogliere i primi sentimenti politici del giovane B. all'inizio di quel vasto moto di fatti e di idee che avrebbe visto la sua conclusione nella prima guerra di indipendenza.
Il biennio 1846-47 impresse la prima svolta importante alla vita del B. che, suddito di Carlo Alberto, credette di vedere nelle prime riforme del sovrano il tentativo di dar vita ad una monarchia liberale; se nel 1847 preferiva ancora il verso per sciogliere un canto "alla civica deputazione incaricata di presentare alla Maestà del re Carlo Alberto i voti della Sardegna", l'anno successivo intraprendeva la carriera giornalistica, che non avrebbe più lasciato, dirigendo dal 23 marzo al 28 dic. 1848 il Nazionale, un foglio arditamente liberale, se non democratico, che si segnalò all'attenzione generale presentando nel numero del 22 giugno un articolo in difesa di Mazzini firmato da L. Ponthenier. Sul finire del 1848 il B., afflitto da una febbre malarica che gli aveva indebolito il cuore, lasciò Cagliari e, bisognoso di un clima più salutare, si stabilì a Torino; qualche mese prima aveva sposato la contessina Carolina Pallini di Mendrisio vincendo la tenace opposizione del padre di lei. A Torino, ove all'inizio del 1849 era stato assunto come impiegato con la qualifica di segretario nel ministero della Pubblica Istruzione, cominciò e portò avanti, via via che la situazione del Regno si faceva più preoccupante e l'astro di Carlo Alberto si veniva oscurando, quella "critica al sistema" di cui presto avrebbe subito le spiacevoli conseguenze.
A Genova, ove era sbarcato nel settembre del 1848, era entrato in contatto con i democratici di quella città; passato poi a Torino, si era segnalato come uno dei più agguerriti critici degli uomini di governo. Un ritorno della malattia e quindi la morte della moglie, deceduta il 17 luglio 1850 nel dare alla luce una bambina, provocarono un suo temporaneo isolamento. Fu Ausonio Franchi, suo amico sin dai primi giorni torinesi, a dargli la spinta necessaria per reagire; il B. gliene fu a lungo grato, e lo ricambiò aderendo in pieno alle ideologie razionalistiche del Franchi e impegnandosi in un'opera di attiva propaganda che, ad esempio, al tempo della lotta per l'abolizione della pena di morte, assunse toni così spregiudicati da causare il suo licenziamento dal pubblico impiego.
Seguì un lungo periodo di ristrettezze economiche cui il B. cercò di ovviare con lezioni private, articoli per giornali di scarso peso e con un racconto storico, intitolato Leonardo Alayon, che non troqò alcun editore; fu poi collaboratore letterario del periodico La Ragione, sul quale il Franchi condusse le sue battaglie a partire dagli ultimi mesi del 1854.
Attorno al Franchi gravitavano molti esponenti della democrazia italiana che si sentivano attratti dal suo programma quasi eversivo: così M. Macchi, F. De Boni, G. Modena, che del B. apprezzò il carattere riservato e l'onestà del sentire e volle avvicinarlo all'ambiente mazziniano. Il B. fu felice di poter respirare un'aria nuova: sostanzialmente idealista, non condivideva con troppa convinzione le tesi materialistiche del Franchi, ma se ne distaccò in modo lento e meditato.
Nel 1854 era tornato per qualche mese a Cagliari e vi aveva diretto la Gazzetta popolare, dal 1º maggio al 31 dicembre, conferendole un carattere battagliero e repubblicaneggiante che causò il sequestro di alcuni numeri. Di nuovo a Torino all'inizio del 1855 proseguì la sua attività di pubblicista presso il giornale La Democrazia, intercalandola con viaggi in Svizzera durante i quali ebbe modo di conoscere, tramite il Modena e il Quadrio, Mazzini. Il passaggio del B. al mazzinianesimo avvenne nel 1858 in occasione della pubblicazione da parte del Franchi, attestato su posizioni più possibiliste, delle Memorie di F. Orsini, e comportò uno spostamento di interessi verso i problemi della stampa repubblicana, problemi che si acuirono quando nel 1859 si delineò sull'orizzonte europeo la necessità di avviare a soluzione il problema italiano. A tal proposito, al Cadolini, che andava caldeggiando come programma di un nuovo giornale democratico la formula "Italia e Vittorio Emanuele", il B. opponeva, pur nell'accettazione del programma unitario, la pregiudiziale antimonarchica. Lasciata Torino, dopo essersi dimesso dal giornale L'Italia che aveva mutato il tono di un suo articolo infarcendolo di accuse a Mazzini, fondò a Milano un foglio repubblicano, Ipopoli uniti, che cessò le pubblicazioni dopo un intervento molto esplicito di M. d'Azeglio, governatore di Milano, in seguito ad alcuni disordini di cui furono incolpati i repubblicani. Il B. allora si spostò a Genova ed entrò nella redazione dell'Unità italiana, il giornale nato il 1º apr. 1860 e diretto dal Quadrio.
Quando la spedizione di Garibaldi salpò da Quarto, convinto che si trattasse di una iniziativa rivoluzionaria popolare non esitò ad unirvisi, così come non esitò a ritirarsi allorché, giunti i Mille a Talamone, Garibaldi espose il suo programma compendiandolo nella formula "Italia e Vittorio Emanuele". Successivamente il B. si unì alla brigata di volontari che, guidati dall'allora mazziniano Nicotera, avrebbero dovuto puntare sullo Stato Pontificio secondo le istruzioni che Mazzini faceva di volta in volta pervenire tramite il Dolfi e lo stesso B.; ma, resosi conto della inopportunità e della difficoltà di questo tentativo, Mazzini convinse Nicotera a portarsi in Sicilia. Il B. invece raggiunse il Mazzini a Napoli per tentare una propaganda in funzione antipiemontese, ma, visto vano ogni sforzo in tal senso, tornò a Genova.
Riprese a lavorare per l'Unitàitaliana, che dal 1º genn. 1861 trasferì la redazione a Milano; in quella occasione il B. ne divenne condirettore con Quadrio, e al giornale dedicò da allora tutte le sue energie, in un'opera che affiancò quella di Mazzini per l'affermazione dell'idea repubblicana e per la lotta al piemontesismo.
Il giornale non ebbe mai una vita troppo facile e per il carattere battagliero della polemica che vi si condusse e per la crudezza dei toni con cui si vollero affrontare i casi più clamorosi, come Aspromonte o la condanna a morte di Barsanti, e subì più volte il sequestro sia preventivo sia repressivo. Furono senza dubbio queste battaglie condotte in prima linea a fare del B. uno degli esponenti più intransigenti del mazzinianesimo, incapaci di addivenire a qualunque tentativo di conciliazione, a volte in polemica con lo stesso Mazzini. Ad un paese legale che li perseguitava, il B. e il Quadrio preferivano il paese reale, quello dei contadini e degli operai, che alle lotte per l'Unità quasi non aveva partecipato: nello schieramento repubblicano, mentre il parlamentarismo di Bertani occupava la destra, mentre l'unitario Mazzini teneva un atteggiamento possibilista, il B. con il suo intransigentismo antimonarchico rappresentava l'ala radicale, una posizione che le tappe successive della storia del paese avrebbero esacerbato. Così dopo Aspromonte il B., che pure disapprovava le inclinazioni filomonarchiche di Garibaldi al di là delle premesse rivoluzionarie, lo difese a spada tratta attaccando vigorosamente gli uomini dell'esercito "piemontese", tanto che A. Bizzoni, allora ufficiale, più tardi garibaldino e da ultimo internazionalista, lo sfidò ad un duello nel corso del quale il B. fu ferito.
Aspromonte segnò il distacco tra mazziniani e garibaldini, divisi sulla priorità di scelta tra il Veneto e Roma. Il B., secondo le istruzioni ricevute da Mazzini, che risiedeva a Lugano, tenne le fila della cospirazione, che avrebbe dovuto fomentare l'insurrezione popolare nel Veneto, fungendo da intermediario tra Mazzini ed Ergisto Bezzi. Nel novembre del 1864 però la spedizione comandata dal Bezzi non riusciva a entrare nel Trentino e a provocarvi lo scoppio del moto. Nonostante l'insuccesso il Veneto continuò a restare il primo obbiettivo dei mazziniani, che continuarono a operare per suscitarvi un'insurrezione popolare; nel 1866, laddove Mazzini accettava l'iniziativa regia pur di arrivare alla liberazione della regione, il B., che con Quadrio, Marcora, Bezzi e Frigerio era stato eletto per formare il Comitato dirigente nel Congresso delle associazioni, democratiche riunitesi a Parma il 29 aprile di quell'anno, pubblicò sull'Unitàitaliana del 17 maggio una dichiarazione di dissenso dalla posizione conciliatoria del Mazzini.
Col passar degli anni e con l'evolversi della situazione italiana la sinistra repubblicana, tenacemente ancorata ai metodi antiparlamentari, rischiò di isolarsi vieppiù dalla vita del paese e perse i più giovani dei suoi esponenti: ancora nel 1869 e nel 1870 il B. prendeva parte ai tentativi di provocare delle sollevazioni popolari nell'Italia settentrionale, ma la trama fu scoperta, ed egli arrestato con altri organizzatori del moto e tenuto in prigione per più di tre mesi.
Fu la convinzione di doversi rinnovare, insieme con la necessità di combattere il materialismo delle teorie socialiste che da qualche anno si stavano diffondendo nel proletariato italiano, a spingerlo alla formulazione di una strategia politica più coordinata, pur nella massima fedeltà alla linea del pensiero mazziniano. Questa strategia, sviluppata sulle colonne dei giornali (l'Unità italiana fino al 28 ott. 1871; l'Unità italiana e Dovere, con sede a Genova, fino al 10 nov. 1874; il periodico Libertà e associazione, fondato dallo stesso B. e pubblicato a Milano dal 9 febbr. 1873 al 6 ott. 1878) e nel corso dei congressi e comizi repubblicani (a Roma nel novembre 1871, a Roma nel marzo 1874, a Genova nel 1876, ancora a Roma nel febbraio 1881), lasciava largo spazio alla questione sociale, la cui soluzione il B. vedeva nella associazione di capitale e lavoro che sola avrebbe consentito l'emancipazione del proletariato: lo sciopero era invece ritenuto immorale e dannoso, il suffragio universale insufficiente se disgiunto da altre profonde riforme, l'astensionismo parlamentare era visto come l'unica strada aperta ai repubblicani (e il partito fino al 1876 diede in pratica ragione al Brusco Onnis). La fedeltà al pensiero mazziniano era ribadita con l'accettazione di tutta l'impalcatura religiosa di quel pensiero, che peraltro il B. aveva difeso sull'Unità italiana nell'articolo Un maestro dalla Russia (25, 28 e 31 ag. 1871) dagli attacchi del Bakunin.
Anche dopo la morte di Mazzini il B. fu con Quadrio il più tenace assertore della validità e della immutabilità delle sue teorie. A Milano fu cofondatore e quindi presidente onorario della scuola Mazzini, creata per diffondere tra gli operai le sue teorie; nel marzo del 1873 il B., dopo avervi commemorato Mazzini, fu di nuovo arrestato sotto la speciosa imputazione di aver istigato il popolo alla rivolta; ottenuta la libertà provvisoria venne poco dopo assolto. L'anno seguente gli moriva la diletta figlia Carolina; fu un colpo durissimo i cui effetti furono aggravati poco più oltre da una polemica con Garibaldi, che nel volume I Mille, ricordando il vecchio episodio di Talamone, aveva quasi tacciato il B. di vigliaccheria: vibrante di sdegno fu la sua risposta, che trovò caldi difensori nel Quadrio e nel Bezzi.
Dopo la morte di Quadrio (1876) il B. rimase troppo solo per poter combattere la diaspora del Partito repubblicano; visse ancora nel ricordo di Mazzini, cercando di mantenerne intatto il mito tra i giovani e difendendone la memoria in cicli di conferenze che gli consentirono di alleviare il peso della miseria. Colpito da un attacco cardiaco, si spense a Milano il 21 febbr. 1888, mentre stava approntando la pubblicazione dell'epistolario di Gustavo Modena.
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