VENEZIA
(XXXV, p. 48; App. I, p. 1120; II, II, p. 1096; III, II, p. 1076; IV, III, p. 809)
Negli ultimi decenni è proseguito l'esodo dal centro storico, che dalla punta massima di 175.000 ab. nel 1951 ha visto ridotta la sua popolazione di quasi il 22% nel 1961 (138.000 ab.); questa scendeva a 108.000 ab. nel 1971, mentre agli inizi degli anni Ottanta toccava appena le 100.000 unità, per diminuire ulteriormente nel corso del decennio, raggiungendo le 71.000 unità. Il progressivo svuotamento di popolazione del nucleo storico, dovuto a motivi sociali più che economici (ne è conferma il quotidiano flusso dalla terraferma di migliaia di addetti all'industria, al commercio e alle attività del terziario avanzato, che si recano a lavorare nella città insulare) è un fenomeno che investe prevalentemente le classi giovani, sicché la situazione di senescenza della popolazione di V. impedisce alla fertilità naturale di colmare i vuoti della mortalità. Questo stato di cose da una parte ha contribuito al depauperamento del patrimonio edilizio e alla fine di qualsiasi attività di costruzione, dall'altra ha favorito l'incremento delle speculazioni legate al turismo e all'edilizia di lusso. Negli ultimi decenni sono stati elaborati numerosi piani e progetti per contenere il processo di indebolimento urbano, economico e sociale del centro storico di V., che si va sempre più trasformando in città-museo. In pratica ben poco è stato fatto, sia per la mancanza di efficaci proposte operative, sia per il contrasto che spesso oppone tra loro interessi politici e interessi economici.
Anche la soluzione dell'altro grande problema di V., quello dell'acqua alta, non fa che subire continui rinvii, e questo nonostante lo stato abbia affidato a un Consorzio, formato dalle maggiori imprese italiane pubbliche e private nel settore dell'ingegneria idraulica, l'esecuzione di progetti e di lavori per la difesa della città. I lavori per la salvaguardia di V. finiranno non prima del 2020-2030, con un ritardo quindi di 25-35 anni sui piani previsti, cui vanno aggiunti i quasi trent'anni già passati dalla tragica alluvione del 1966, allorché si cominciò a parlare della necessità di proteggere la città dal flagello delle alte maree. Ritardi nelle convenzioni, mancata continuità di commesse e finanziamenti, conflitti di competenza tra magistrato delle acque e direzione delle opere marittime hanno influito negativamente sulla programmazione dei lavori (v. oltre: Politiche di salvaguardia).
In contrapposizione al momento difficile vissuto dalla città, alla ricerca, in fondo, di una nuova identità, si pone l'espansione dei centri urbani situati sulla terraferma, da parte dei quali non sono mancate spinte autonomistiche e nei confronti dei quali V. si trova costretta a difendere il proprio ruolo di city e la propria economia marittimo-portuale. In particolare Mestre, favorita dalle più facili comunicazioni di terraferma, dalla presenza dell'aeroporto Marco Polo e da un'economia in pieno sviluppo, tende a sottrarre a V. attività direzionali a servizio della provincia, della regione, del porto. Per quanto riguarda Marghera, la grande espansione delle sue zone industriali (specializzate nei settori della chimica di base, della petrolchimica e della metallurgia) ha creato accesi contrasti con V., la quale teme che un ulteriore sviluppo delle strutture industriali possa rendere ancora più grave la già precaria situazione idrogeologica della città e alterare ancora di più l'ambiente lagunare, che è già profondamente scosso dall'inquinamento marino e atmosferico.
Per dati statistici provinciali v. veneto (Tabelle), in questa Appendice.
Bibl.: P.A. Pirazzoli, Maree estreme a Venezia (periodo 1872-1981), in Acqua Aria, 10 (1982), pp. 1023-39; W. Dorigo, Venezia. Fondamenti, ipotesi, metodi, 2 voll., Milano 1983; Venezia, città dell'innovazione. Il terziario avanzato e la ricerca nell'area veneziana, Convegno (Venezia 23 dicembre 1983), Venezia 1985; G.B. Castiglioni, Recenti studi sulla laguna di Venezia, in Rivista geografica italiana, 93, 4 (1986), pp. 415-23; F. Fiorelli, Venezia e le nuove frontiere economiche, ibid., 94, 2 (1987), pp. 121-47; Id., Venezia e le telecomunicazioni, ibid, 97, 2 (1990), pp. 185-230.
Politiche di salvaguardia. - Punto di partenza delle politiche di salvaguardia è la l. 16 aprile 1973 n. 171, in cui lo stato dichiara di garantire la salvezza di V. e della sua laguna sotto i vari aspetti (paesistico, storico, archeologico e artistico), di tutelarne l'equilibrio idraulico, di preservarne l'ambiente dai fattori di inquinamento e di impegnarsi per uno sviluppo economico e sociale integrato con il retroterra regionale. In un paese come l'Italia, caratterizzato da una storia plurimillenaria e da insediamenti a maglie molto fitte che poco o nulla concedono all'inabitato o all'incolto, questa dichiarazione dovrebbe riguardare tutto il territorio nazionale e figurare nella stessa Costituzione come principio fondamentale. Non si vede perché, infatti, non debba esistere un diritto generale alla difesa del territorio dalle aggressioni e distorsioni prodotte dallo sviluppo economico e urbanistico, un diritto che non va certamente inteso nel senso di preservare un inesistente habitat naturale originario, bensì nel senso di difendere l'identità storica del territorio non da interventi in quanto tali, ma da interventi indotti da interessi esterni. È vero tuttavia che il caso veneziano si presenta con caratteristiche assolutamente peculiari, potremmo dire uniche, tali da richiedere un particolare status della laguna, che ha costituito il terreno di un felice connubio tra conservazione e innovazione lungo tutta l'età moderna e del quale la conterminazione di fine Settecento ha sia pur restrittivamente fissato l'ambito di applicazione al termine di un processo lungo e tormentato. Questa peculiarità trova il suo fondamento nell'estrema delicatezza dell'ambiente lagunare, che richiede misure sia ordinarie sia straordinarie per una efficace difesa dal pericolo dell'interramento, da un lato, e dall'invadenza del mare, dall'altro. Il primo fattore di rischio, che costituì nel tardo Medioevo uno dei motivi che indussero i Veneziani alla conquista e al controllo della terraferma, fu scongiurato grazie agli interventi idraulici dei secoli 16° e 17°, ricomparendo, tuttavia, sia pure in forme assai diverse, nel corso del 20° secolo. Il secondo fu bloccato alla fine del Settecento, grazie alla costruzione dei Murazzi sul litorale di Malamocco-Pellestrina, ma è tornato a incombere con ben maggiore gravità al giorno d'oggi, quando la laguna sembra sul punto di essere conquistata dal mare, che entra con impeto non più trattenuto attraverso i fondali troppo profondi della bocca di Malamocco e troppo rettilinei del Canale dei petroli. L'effetto combinato del maggiore e più rapido flusso di marea con la diminuita capacità di assorbimento dell'onda di piena (a causa degli imbonimenti per uso agricolo e industriale, dell'arginatura delle valli da pesca e della scomparsa della tipica morfologia lagunare e delle aree di transizione alla terraferma) ha portato, da un lato, all'erosione dei canali maggiori e all'interramento di quelli minori, con un saldo negativo tra i due fenomeni di circa un milione di m3 all'anno di fango che fuoriesce in mare; dall'altro, alla maggiore intensità e irruenza dell'acqua alta, fino alla possibilità di eventi catastrofici, come le grandi mareggiate del 4 novembre 1966 (m 1,94) e del 23 dicembre 1979 (m 1,66) hanno purtroppo dimostrato.
Serve quindi una politica del territorio che assuma come obiettivo strategico la difesa della laguna e lo persegua con continuità e globalità, con misure ordinarie e straordinarie insieme, non con leggi speciali varate sull'onda emotiva di eventi traumatici, e neppure con isolate opere a effetto.
Quando si vogliono giustificare progetti ad alto rischio ambientale, come per es. la metropolitana sublagunare destinata a omologare V. ad altre città, con la motivazione che "anche la Serenissima realizzava grandi opere", si compie una mistificazione e una strumentalizzazione della storia a fini particolari. Da un lato, infatti, non si considera il carattere globale di quella politica, che integrava progetti arditi (ma non avventurosi) con interventi modesti (ma continui) di manutenzione e ripristino. Dall'altro, si trascura un elemento fondamentale: la laguna stessa, intesa come via di comunicazione essenziale e insostituibile. C'è da aggiungere, inoltre, che le decisioni attuali non appartengono più a V. in quanto comunità sovrana, capitale di uno stato capace di incorporare la politica di salvaguardia in una strategia generale, sintetizzabile nella visione lagunocentrica di Sabbadino, ma a un soggetto diverso, che non può ovviamente manifestare quell'identificazione totale con i destini della città e del suo ambiente lagunare, che fu tipica della classe dirigente di allora e che, attualmente, è certamente irripetibile.
In tempi più recenti ha preso il sopravvento una visione consumistica di V., che si è affiancata senza contraddizioni a una posizione apparentemente opposta, ma in realtà complementare, di tipo produttivistico, portatrice di un esplicito disprezzo per le acque della laguna, viste non più come liquide mura della città, ma, ironicamente, come massa fangosa da interrare definitivamente per uso agricolo o industriale, da scavalcare con ponti e strade o da sottopassare con tunnel sublagunari, come se non fossero esse il mezzo di comunicazione naturalmente dato, storicamente difeso e comunque preferibile tra città, isole dell'estuario e terraferma.
V. soffre più per quello che si è fatto (dopo la grande cesura del 1797) che per quello che non si è fatto. L'importante è che per ogni progetto e ogni iniziativa si rispetti il più possibile il punto di vista che è stato costantemente al centro della storia di V. e ne ha assicurato la sopravvivenza, grazie a interventi anche colossali, tenendo sempre ben ferma, però, la subordinazione di tutta l'area scolante alle esigenze di equilibrio idraulico e ambientale e, compatibilmente con esso, di funzionalità economica e portuale della laguna.
Già criticabile per la sua ''specialità'', la legge del 1973 si è dimostrata una pura e semplice dichiarazione di massima, incapace di realizzarsi per l'assenza di poteri e strumenti chiaramente individuati. Essa, nata nello spazio sempre più largo tra collasso ambientale e paralisi politico-amministrativa, dichiarava la volontà politica dello stato italiano di assumere il problema della salvaguardia di V. come questione nazionale, ne affidava lo studio a un Comitato tecnico-scientifico e demandava a un Consiglio di comprensorio (composto dai rappresentanti di V. e dei sedici comuni dell'immediato entroterra), la redazione di un piano generale, che ridefinisse il rapporto tra ambiente (laguna, litorali, terraferma) e sistema urbano. Ma gli Indirizzi governativi del 27 marzo 1975 tolsero ogni dubbio al fatto che la decisione politicamente più significativa e pregnante − quella relativa alla regolazione delle maree − era di esclusiva competenza degli organi centrali dello stato, i quali provvidero subito a ipotecarla con una scelta di grande impatto materiale e psicologico − restringimento fisso e chiusure mobili alle bocche di porto −, destinata a occupare la scena del dibattito sulla salvaguardia per un futuro indeterminato. La compatibilità di questa soluzione puramente ingegneristica al problema delle acque alte con il ruolo del complesso portuale e industriale di Porto Marghera fu assicurata a scapito della tutela del territorio, che cessò di costituire una variabile indipendente. Secondo gli Indirizzi, infatti, la conservazione dell'ecosistema, dell'equilibrio idrogeologico e l'abbattimento stesso delle acque alte andavano perseguiti "entro limiti tali da non turbare la funzionalità del sistema portuale e lo svolgimento delle attività quotidiane della popolazione".
Tra il 1980 e il 1981, questa opzione strategica fu sottoposta a uno studio di fattibilità da parte di un gruppo di esperti (J. Agena, R. Frassetto, A. Ghetti, E. Marchi, P. Matildi, R. Passino e G. Pezzoli). Le conclusioni degli esperti, che davano il necessario conforto scientifico alla scelta indicata e la traducevano in un progetto di massima, il cosiddetto ''progettone'', vennero rapidamente approvate, tra il febbraio e il maggio 1982, dal Consiglio comunale, dal Comitato tecnico-scientifico e dallo stesso Consiglio superiore dei lavori pubblici, che tuttavia avanzò rilievi e condizioni di non lieve entità: necessità di un contestuale riequilibrio idraulico-ambientale e studio degli effetti permanenti della diminuzione del ricambio mare-laguna, in una logica di gradualità, sperimentalità e reversibilità degli interventi. La principale controindicazione al progettato restringimento delle bocche di porto, da un punto di vista puramente ambientale, va individuata proprio nella riduzione del ricambio idrico e nel conseguente peggioramento delle condizioni igienico-sanitarie del bacino, nel quale si scaricano numerose sostanze nutrienti e inquinanti di origine agricola, industriale e civile, i cui risultati più evidenti sono l'eutrofizzazione della laguna, con crescita abnorme di alghe, mancanza di ossigeno e proliferazione dei chironomidi. La necessità di un preliminare disinquinamento della laguna è diventata così l'argomento più incisivo della resistenza ambientalista al cosiddetto ''progettone''.
La tendenza centralizzatrice e tecnocratica, accelerata dalla nuova mareggiata del 23 dicembre 1979, ha trovato compiuta realizzazione nella l. 29 novembre 1984 n. 798, meglio conosciuta come ''seconda legge speciale''. Essa ha istituito un Comitato interministeriale con funzioni di indirizzo, coordinamento e controllo degli interventi complessivi, composto dal presidente del Consiglio dei ministri, dai ministri dei Lavori pubblici, dei Beni culturali e ambientali, della Ricerca scientifica, dell'Ambiente e della Marina mercantile, dal presidente della regione, dal sindaco di Venezia, di Chioggia e di altri due comuni della gronda lagunare.
La legge ha introdotto un nuovo tipo d'intervento, rivolto alla difesa delle insulae del centro storico e dell'estuario dalle acque alte ''normali'' (fino a 1÷1,20 m sul medio mare), ritenute responsabili del degrado strutturale degli edifici molto più di quelle eccezionali, che restano invece affidate, in prospettiva, agli sbarramenti mobili (costituiti, secondo l'ultima versione, da paratoie incernierate sul fondo e sollevabili con immissione di aria compressa in caso di maree superiori a 1 m). Essa ha esteso dalla sfera astrattamente legislativa a quella esecutiva il carattere di ''specialità'' delle politiche di salvaguardia, tramite l'affidamento sia della progettazione sia della realizzazione a un unico concessionario, il Consorzio Venezia Nuova: una procedura in deroga alle norme esistenti in materia di opere pubbliche, che è stata interdetta nel 1991 in sede comunitaria, ma che assumeva intanto il significato, da un lato, della rinuncia da parte dello stato all'elaborazione e alla pianificazione diretta degli interventi, dall'altro, del riconoscimento al sistema d'impresa di un indiscusso primato nel settore strategico della ricerca e della progettualità, oltreché, naturalmente, della gestione e della realizzazione. Veniva affidato, infine, al Magistrato alle acque il controllo dell'attività dell'ente concessionario: un compito reso più arduo dalla fin troppo evidente disparità di mezzi tra i due soggetti. Il Consorzio Venezia Nuova ha presentato nel 1989 un ''progetto preliminare di massima'', che prevedeva, come primo punto di un organico programma di salvaguardia, un intervento alle bocche di porto più flessibile di quanto originariamente stabilito, con l'eliminazione dei restringimenti fissi e il conseguente aumento delle chiusure mobili (da 1,070 a 1,760 m). Il Consiglio superiore dei lavori pubblici, nella seduta del 15 marzo 1990, ha espresso un parere sostanzialmente negativo su tale progetto, suggerendo di stralciare l'opera principale e di dare la precedenza all'insieme degli altri obiettivi. Successivamente, peraltro, lo stesso organo ha finito per approvare (18 ottobre 1994) la versione definitiva del progetto, "subordinatamente all'osservanza di tutti i rilievi" e "secondo le priorità" di cui alla delibera precedente.
La novità più importante e controversa della seconda legge speciale, cioè il sistema della concessione unica e della deroga alle normali procedure di appalto di opere pubbliche, è stata parzialmente rivista dopo l'accennato pronunciamento CEE del 19 dicembre 1991 e dopo forti pressioni a livello locale per una gestione meno centralistica della salvaguardia. Si è giunti così alla l. 5 febbraio 1992 n. 139, che divide gli interventi in tre categorie − difese a mare, disinquinamento e manutenzione −, assegnate rispettivamente a stato, regione e comune, e ha aperto la possibilità anche per gli ultimi due enti di ricorrere all'affidamento, "in un quadro unitario", delle opere di propria competenza. La stessa legge ha anche solennemente confermato la priorità del riequilibrio idraulico e ambientale rispetto alla chiusura delle bocche di porto.
Ma oltre a ciò occorre anche, e soprattutto, dividere la fase della progettazione da quella della realizzazione degli interventi. A questo scopo è stata prevista, con decreto legisl. 13 gennaio 1994 n. 62, una società a prevalente partecipazione pubblica, l'Agenzia per Venezia, che tuttavia resta ancora indefinita e stenta a nascere. In questo scenario di incertezza e di sostanziale paralisi della politica di salvaguardia, si sta sviluppando un tentativo di collaborazione tra enti locali e Magistrato alle acque, con l'obiettivo di coordinare i progetti e controllare lo stato di avanzamento degli interventi. Il comune di V., in particolare, manifesta la volontà di procedere senza ulteriori ritardi alla realizzazione delle opere manutentorie (escavo dei rii, restauro delle fondamenta e ripristino della morfologia lagunare) attraverso specifiche gare d'appalto. Ma ormai è la scelta base del precedente periodo, cioè la chiusura delle bocche di porto, a essere apertamente contestata dal Consiglio comunale che, nella seduta del 16 marzo 1995, ha manifestato con voto unanime la volontà di accantonare la logica della grande opera e di adottare quella dell'intervento diffuso e integrato.
Mentre sembra tramontare l'illusione di un approccio ingegneristico risolutivo, vengono in evidenza e acquistano maggiore forza persuasiva i progetti di riequilibrio idraulico e ambientale, troppo spesso trascurati o relegati a un ruolo complementare e invece essenziali alla tutela complessiva della laguna, compresa la stessa difesa dalle acque alte, cavallo di battaglia di tutti i sostenitori del sistema di sbarramento mobile della laguna. Consolidamento dei litorali e dei moli foranei, riduzione dei fondali delle bocche di porto e del Canale dei petroli, escavo dei canali periferici e dei rii interni, difesa delle insulae del centro storico e dell'estuario dalle acque alte più frequenti, restauro dei marginamenti di isole e fondamenta, smantellamento delle casse di colmata nell'ex terza zona industriale, apertura delle valli da pesca, estromissione dalla laguna del traffico petrolifero, disinquinamento della laguna e del bacino scolante, ricostruzione della tipica morfologia lagunare (velme e barene), drastica riduzione del moto ondoso: questi gli obiettivi di un programma unitario e integrato di misure per la salvaguardia di V. e della sua laguna, in un'ottica non solo di breve, ma anche di lungo periodo. Senza purtroppo escludere a priori la necessità di un intervento traumatico alle bocche di porto, nel caso di un drastico aumento dell'eustatismo in un futuro più o meno lontano. Nell'ultimo secolo il territorio lagunare si è abbassato rispetto al mare di 24 cm per effetto di estrazioni idriche e gassose dal sottosuolo, le prime non più in atto da quando è stato costruito l'acquedotto industriale, le seconde da vietare in modo più esteso a tutta la fascia costiera dell'Alto Adriatico. Ma più che la subsidenza, parzialmente controllabile in ambito nazionale, è l'innalzamento del livello dei mari, indotto da modelli produttivi e di consumo a livello planetario, a preoccupare nella lunga prospettiva. In questo senso, il destino di V. dipende da quello più generale del mondo in cui viviamo.
Ma la politica di salvaguardia non può esaurirsi nei pur fondamentali aspetti idraulico-ambientali: la stessa l. 171 ne indica anche altri, tra cui, in particolare, lo sviluppo economico e sociale del territorio. In questo senso va detto che il problema della casa e il differenziale del costo della vita hanno prodotto un esodo dal centro storico che sembra inarrestabile (un terzo della popolazione è andato perduto nell'ultimo ventennio). Ridotta a 71.000 abitanti e preda della monocultura turistica, V. rischia di scomparire socialmente prima ancora che fisicamente. Occorre risanare il patrimonio abitativo, renderlo accessibile ai residenti, garantire i servizi necessari. Più in generale, bisogna incentivare gli usi produttivi compatibili con l'equilibrio ambientale e con la storia della città, escludendo pertanto la grande industria di base e il traffico petrolifero. Portualità commerciale e turistica, cantieristica, piccola-media industria e artigianato, turismo qualificato, servizi culturali e artistici, ricerca scientifica e tecnologica, acquacultura: dal rilancio di questi settori dipende il futuro di V. in quanto città economicamente e socialmente viva, in grado di lottare per la salvezza propria e dell'ambiente che la circonda.
Bibl.: Antichi scrittori d'idraulica veneta, voll. 1-4, Venezia 1919-52 (ristampa 1987); I.V.S.L.A. (Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti), Atti del convegno per la conservazione e difesa della laguna e città di Venezia, ivi 1960; R. Frassetto, Altimetria del centro storico di Venezia, in Bollettino di Geofisica teorica ed applicata, 18 (1976), pp. 3-16; Ufficio idrografico del Magistrato alle acque, Il comune marino a Venezia, Venezia 1983; Commissione di studio dei provvedimenti per la conservazione e difesa della laguna e della città di Venezia, Rapporti e studi, voll. 11, ivi 1961-87; P. Cacciari, Appunti per una storia del ''progettone'', in Oltre il ponte, 5 (1987), pp. 73-107; I.V.S.L.A., A vent'anni dall'evento di marea del novembre 1966. Atti della giornata di studio, Venezia 1987; Id., Per la difesa del suolo. Atti della giornata di studio, ivi 1988; G. Bettin, Dove volano i leoni. Fine secolo a Venezia, Milano 1991; M. Costantini, Dal porto franco al porto industriale, in Storia di Venezia, 12, Roma 1991, Il mare, a cura di A. Tenenti e U. Tucci, pp. 879-914; I.V.S.L.A., Conterminazione lagunare. Storia, ingegneria, politica e diritto nella Laguna di Venezia. Atti del convegno, Venezia 1992; C.V.N. (Consorzio Venezia Nuova), Quaderni trimestrali, dal gennaio-marzo 1993; Comune di Venezia, Interventi per la salvaguardia di Venezia e della sua laguna, Venezia, dicembre 1994; P. Baschieri, La morfologia lagunare dal 1970 al 1990, relazione al Forum per la laguna, 30 novembre 1994; P. Bevilacqua, Venezia e le acque. Una metafora planetaria, Roma 1995.
Arte. - La grande acqua alta del 4 novembre 1966 ha drammaticamente posto all'attenzione mondiale il problema della conservazione e del destino di V. e del suo territorio. Numerosi comitati sono stati costituiti in tutto il mondo con il compito di raccogliere finanziamenti per il recupero dei monumenti e delle opere d'arte compromessi dal degrado. Contemporaneamente sono stati varati provvedimenti legislativi per la difesa di V. e del territorio lagunare culminati nelle leggi speciali per V. del 1973 e del 1984, che tuttavia non hanno ancora risolto i molteplici problemi che affliggono il comprensorio lagunare. Tra gli altri effetti è stata ridistribuita la competenza degli organi giurisdizionalmente preposti alla tutela, per cui dal 1974 sono operanti esclusivamente sulla città e sulla laguna la Soprintendenza ai Beni ambientali e architettonici di V. e la Soprintendenza ai Beni artistici e storici di Venezia. Fondamentale quindi per la conseguente azione di salvaguardia il programma di catalogazione, finanziato con fondi ordinari e straordinari, del tessuto edilizio storico e dell'assetto ambientale della città, delle isole lagunari e del territorio, che è stato avviato dagli organi di tutela in collaborazione con enti pubblici territoriali, università e altre istituzioni culturali attive a V., investite di particolari competenze nel campo della ricerca.
Tra i molti restauri seguiti dalla Soprintendenza ai Beni ambientali e architettonici di V. sono da ricordare, per la risonanza che hanno avuto, quello degli arconi scolpiti del fornice centrale della basilica di S. Marco e, per la particolarità dell'intervento, l'altro sulla grande vetrata della fine del 15° secolo della chiesa dei SS. Giovanni e Paolo. Grande interesse ha suscitato anche la messa in luce della decorazione ad affresco cinquecentesca attribuita a Giovan Antonio da Pordenone seguita al restauro della cupola della chiesa di S. Giovanni Elemosinario. La complessa attività di restauro coordinata dall'organo di tutela è stata presentata a Palazzo Ducale con la mostra Vent'anni di restauri a Venezia '66-'86 (1986). Notevole anche il restauro della facciata della Scuola Grande di S. Rocco, in parte finanziato dalla Regione Veneto con i fondi della legge speciale, seguito dal Proto di S. Marco e conclusosi nell'anno del Tintoretto (1994). Per le opere pittoriche di competenza della Soprintendenza ai Beni artistici e storici di V. meritano una menzione i restauri del Convito in casa di Levi di Paolo Veronese, in occasione dell'anno palladiano (1980), e delle Storie di Sant'Orsola di Vittore Carpaccio alle Gallerie dell'Accademia, e la pulitura dell'immensa tela del Paradiso realizzata dalla bottega di Jacopo Tintoretto per la sala del Maggior Consiglio a Palazzo Ducale. Puliti anche i celebri cavalli della quadriga di S. Marco collocati nel Museo di S. Marco e sostituiti da copie (1982).
Per quanto concerne le istituzioni museali è stata riaperta nell'aprile del 1984, dopo 10 anni di lavori eseguiti sotto la direzione della Soprintendenza ai Beni artistici e storici di V., la Galleria Giorgio Franchetti a Ca' d'Oro, di cui è stato terminato il complesso lavoro di pulizia della facciata nel 1995. Se il nuovo allestimento della collezione Franchetti è stato l'avvenimento più significativo degli anni Ottanta per quanto concerne le raccolte d'arte antica conservate a V., non va trascurata la riapertura nel 1982 della Collezione Peggy Guggenheim a Palazzo Venier dei Leoni, legata alla città lagunare dopo la scomparsa della collezionista, ma direttamente dipendente dal Salomon R. Guggenheim Museum di New York. Nel 1985 sono stati aperti al pubblico la Raccolta d'arte dalla Collezione Vittorio Cini, a palazzo Caldogno Valmarana a S. Vio, sede staccata della Fondazione Cini, e il Centro Studi di storia del tessuto e del costume, quale sezione dei civici musei veneziani, a Palazzo Mocenigo a S. Stae, casa patrizia legata al comune di V. dagli ultimi rappresentati del casato. Nel 1986 è stato completamente rinnovato l'allestimento del Museo d'arte ebraica con l'inglobamento in un'unica area museale delle tre sinagoghe del Ghetto Novo.
Da segnalare l'acquisizione da parte dello stato di 5 importanti complessi: la Scuola Vecchia della Misericordia, il Casino Mocenigo a Murano, Palazzo Grimani a S. Maria Formosa, Palazzo Marcello a Cannaregio, i Casoni di Altino; edifici destinati ad accogliere laboratori di ricerca e restauro, uffici pubblici, nuovi istituti museali (Museo Archeologico a Palazzo Grimani, Museo d'Arte orientale a Palazzo Marcello).
La vocazione culturale e turistica di V. ha favorito in questi anni le manifestazioni a carattere espositivo, organizzate in primo luogo dal comune di V., che con la collaborazione delle Soprintendenze competenti, di varie istituzioni culturali e con la partecipazione di sponsor, ha curato una politica culturale di manifestazioni, nella prestigiosa sede di Palazzo Ducale, volte ad approfondire particolari momenti della storia e dell'arte veneziane. Fra le tante manifestazioni si ricordano: Da Tiziano a El Greco. Per la storia del Manierismo a Venezia 1540-1590 (1981), Tiziano (1990), Jacopo Tintoretto e i suoi incisori (1994), che con la mostra Jacopo Tintoretto: ritratti alle Gallerie dell'Accademia ha ricordato i 400 anni dalla scomparsa dell'artista, nonché una serie di manifestazioni legate all'arte vetraria: Mille anni di arte del vetro a Venezia (1982), Il relitto del Vetro (1990), Achille Seguso: vetraio muranese (1991), Silice e Fuoco (1993). Vasto consenso di pubblico hanno ottenuto esposizioni dedicate a differenti realtà culturali, come per es. 7000 anni di Cina, arte ed archeologia cinese dal neolitico alla dinastia degli Han (1983) e Traci. Arte e cultura nelle terre di Bulgaria dalle origini alla romanità (1989). Intensa anche l'attività svolta dal Museo Correr, tra cui fondamentali le mostre dedicate a Palma il Giovane 1548-1628. Disegni e dipinti (1990), Antonio Canova (1992), Francis Bacon (1993), e dalla Galleria di Ca' Pesaro, indirizzata soprattutto alla presentazione delle proprie collezioni e dell'opera di artisti dell'Otto e Novecento. Da segnalare la mostra Venezia. Gli anni di Ca' Pesaro 1908-1920al Correr (1987), che con Il Veneto e l'Austria. Vita e cultura artitica nelle città venete 1814-1866, allestita alla Gran Guardia di Verona nel 1989, ha visto la Regione Veneto promotrice di manifestazioni espositive. Palazzo Fortuny ha invece privilegiato la fotografia con rassegne dedicate ai maggiori protagonisti del settore. La Fondazione Cini si è dedicata soprattutto alla presentazione delle opere grafiche di artisti veneti conservate in collezioni pubbliche e private di raro accesso, e dal 1990 all'arte del Novecento; ha promosso le mostre Francesco Guardi. Vedute Capricci Feste, e Guardi. Quadri turcheschi, rispettivamente all'Isola di S. Giorgio e alla Galleria di Palazzo Cini (1993), mentre la Collezione Peggy Guggenheim, dopo il riordino delle raccolte, ha ospitato rassegne rivolte verso l'arte contemporanea.
Da rilevare, infine, come i risvolti di carattere economico indotti dalle ''grandi mostre'' abbiano suscitato l'interesse dell'imprenditoria privata, concretizzatosi con l'acquisto di Palazzo Grassi a S. Samuele da parte della FIAT e il suo adeguamento a sede espositiva di rango internazionale a opera degli architetti G. Aulenti e A. Foscari. Futurismo & Futurismi è stata la mostra inaugurale nel 1986, seguita da Effetto Arcimboldo (1987), Jean Tinguely (1987), I Fenici (1988, 750.000 visitatori in sei mesi), Arte Italiana. Presenze 1900-1945 (1989), Andy Warhol. Una retrospettiva (1989), Da van Gogh a Picasso da Kandinskij a Pollock il percorso dell'arte moderna (1990), I Celti. La prima Europa (1991), Leonardo & Venezia (1992), Marcel Duchamps (1993), Modigliani. Dalla collezione del dottor Paul Alexandre (1993), Rinascimento. Da Brunelleschi a Michelangelo: la rappresentazione dell'architettura (1994).
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