DE LEGGE, Venereo
Organaro attivo a Roma e a Ravenna nella seconda metà del XVI secolo, di sicura patria veneta, discendeva probabilmente da una antica famiglia della nobiltà veneziana cui appartenne anche l'organista contemporaneo Giovanni.
Nipote ed allievo di Alessandro Trasuntino, fu da questo probabilmente iniziato all'arte organaria, divenendone successivamente collaboratore. Questa relazione, che traspare da una registrazione di pagamento per un ampio lavoro di restauro dell'organo della cattedrale di Treviso nel 1543 (D'Alessi, p. 149) collega il D. ad una delle più importanti scuole organarie della prima metà del sec. XVI. In Alessandro Trasuntino è infatti da identificare quel "messer Alesandro dagli organi" celebrato dall'Aretino con la famosa simmetria (resa concreta nella proposta di un baratto) tra la maestria della sua arte e quella del Tiziano. L'importanza dell'attività dei Trasuntino nell'organaria del primo Cinquecento è confermata da un documento anonimo romano del XVIII secolo, nel quale è riassunto sotto questo nome (che raccoglie un certo numero di organari e cembalari di patria veneta attivi nella prima metà del XVI secolo) lo sviluppo organario di un'epoca (O. Mischiati, Un elenco di cembalari del 1741, in L'Organo, X [1972], pp. 105 s.).
Fu probabilmente la fama dello zio e maestro Alessandro - autore ancora secondo l'Aretino di un organo dalle canne d'ebano per la "musica reservata" del pontefice - ad aprire al D. intorno al 1560 le porte di Roma. Di fatto la figura che ne emerge dai documenti romani sembra riflettere un'immagine di vasta fama e valentia: il D. viene designato nei decreti capitolari della chiesa di S. Agostino nel 1563 come "huius artis peritissimus" (Bertolotti, p. 53), mentre nei documenti del fondo capitolare di S. Maria in Trastevere il suo nome è sistematicamente associato all'appellativo distintivo di magister.
L'attività romana nota del D. si riferisce alla costruzione tra il 1562 e il 1568 di due importanti strumenti per la chiesa di S. Maria sopra Minerva e per la basilica di S. Maria in Trastevere.
Il prospetto fonico di quest'ultimo strumento, come è descritto nel contratto stipulato il 21 giugno del 1567, sembra riflettere una concezione fonica puramente rinascimentale che tenderà a essere perpetuata nell'organaria veneta in una concezione di equilibrio fonico. Un solo registro di colore, un flauto in decimaquinta, è rappresentato accanto al gruppo di registri sviluppati dal principale (ottava, XV, XIX, XXII, XXVI); mentre è singolare l'indicazione di beneplacito del costruttore per la sostituzione dell'ultima fila di ripieno, la vigesimasesta, con una duodecima, indicante probabilmente un registro di flauto. "In prima detto mastro Venereo promette di far detto organo, cioè la prima Canna de palmi 19, con il suo piede de detta canna che sia coristo come si canta adesso nelle cappelle delle pie Chiese di Roma. Item che detta prima Canna comincia in fa che sarà il primo fa de basso, la qual prima Canna con tutto il restante del principale sarà de stagno fin le quali vanno de nanci, et questo sarà il primo registro chiamato principale. Item un altro registro chiamato ottavo. Item un altro chiamato quintadecima. Item un altro chiamato decima nona. Item un altro chiamato vigesima seconda. Item un altro chimato vigesima sexta o vero una duodecima seconda a lui parerà. Item un altro chiamato flauto, il qual flauto ha da essere in quinta decima. Item un'atta statura [una tastatura] de quaranta sette tasti. Item tre ò quattro mantaci secondo la qualità del instrumento et chi abbino de servire" (Roma, Arch. stor. del Vicariato, Fondo capitolare di S. Maria in Trastevere, vol. 43, c. 167r).
La struttura dell'organo segue parametri consolidati per uno strumento di grandi dimensioni, con una canna maggiore di dodici piedi, mentre l'ambito dello strumento è esteso, secondo una scrittura supplementare stipulata tra le parti il 2 dicembre dello stesso anno, fino al do nel basso con l'aggiunta per ogni registro del "mi re ut", la cosiddetta "gionta alla spagnuola". "Intendet dictus Venereus addere organo prefato tres voces nuncupates ut, re, mi con tre canne per Registro de più nelli bassi... et supradicti R.di Canonici... promiserunt dicto D. Venereo presente solvere scuta centum similia cum aliis scutis septigentis sibi d. Venereo debitis... et prorogaverunt terminum ad sex menses ad perficiendum organum" (Ibid., ibid., c. 172r).
Una collazione tra le clausole propriamente contrattuali contenute nei due atti indica il costo complessivo dell'opera (che comprende oltre alla parte fonica e meccanica dell'organo anche il suo ornamentum e su cui incide l'uso dello stagno per le canne di facciata) in 900 scudi d'oro, dei quali 100 consegnati al D. all'atto di stipulazione del contratto, i restanti 800 per rate annue di 50 scudi; il D. s'impegna da parte sua a consegnare l'opera per la fine del 1568 e a mantenere gratuitamente accordato lo strumento per un periodo di due anni dalla data di consegna.
Assolti gli impegni con il capitolo di S. Maria in Trastevere, il D. lasciò Roma all'inizio del 1571 alla volta di Ravenna, chiamato dal cardinale Giulio Della Rovere, arcivescovo della diocesi ravennate, alla costruzione del nuovo organo della chiesa metropolitana. Nel febbraio di quell'anno è raggiunto a Pesaro da Giacchetto Bontempo, organista titolare della basilica ravennate, per concordare il progetto dell'organo; si sofferma qualche giorno per servizio del cardinale nella sua residenza di Fossombrone, raggiungendo quindi Ravenna.
La disposizione fonica di questo strumento, descritta da una missiva che Giacchetto invia da Pesaro al suffraganeo di Ravenna, mostra una fisionomia simile per estensione d'ambito e consistenza del gruppo di ripieno all'organo di S. Maria in Trastevere; al contrario di questo sono peró ben maggiormente rappresentati registri da concerto; compare accanto al gruppo di ripieno un numero consistente di registri di flauto (in ottava e duodecima, mentre il flauto in decimaquinta, presumibilmente proposto dal D., è escluso dallo stesso Giacchetto) e un registro ad ancia (il regale); il principale è rafforzato per tutta la sua estensione e lo strumento è pure provvisto di un tremolo meccanico.
Nel suo insieme la disposizione fonica dello strumento sembra riflettere l'influenza sul gusto della committenza ravennate dell'indirizzo stilistico della vicina organaria bolognese. Il prospetto fonico dello strumento descritto nel progetto concordato dal D. e Giacchetto risulta infatti essere perfettamente sovrapponibile a quello dell'organo della basilica bolognese di S. Martino costruito da Giovanni Cipri nel 1555, presumibilmente assunto dalla committenza ravennate quale modello dell'organo da erigere nella chiesa metropolitana (O. Mischiati, L'organo della basilica di S. Martino di Bologna, capolavoro di Giovanni Cipri, in L'Organo, I [1960], pp. 213-256).
Il soggiorno del D. a Ravenna e i lenti progressi dell'opera che fu completata soltanto nei primi mesi del 1573 sono dettagliatamente descritti nel carteggio tenuto in questo anno dal cardinal Della Rovere con il suo suffraganeo, vescovo di Utica. L'immagine di magnificenza che circonda la figura del D. nei primi anni del suo soggiorno romano (lo storico della Minerva, padre Berthier, lo descrive come "magnifique chevalier, gentilhomme vénitien" dedito più per liberale otium che per servile negotium all'arte organaria tanto da prestare gratuitamente la sua opera) contrasta vivamente con lo stato di grave difficoltà finanziaria se non proprio di indigenza che emerge dai documenti ravennati. Alla base di quello che sembra essere un radicale quanto inaspettato cambiamento di fortuna sta invece un vero e proprio tracollo finanziario, che assunse forse le dimensioni del fallimento, incorso a Roma alla fine degli anni Sessanta. Tracce rilevanti di questa vicenda si trovano, oltre che nei documenti ravennati, nelle scritture del fondo capitolare di S. Maria in Trastevere. In un atto notarile conservato nel fondo della basilica trasteverina e databile ai primi mesi del 1571 è riflessa la cessione, fatta dal D. precedentemente a questa data, della somma di 500 scudi d'oro (credito che egli conservava nei confronti del capitolo di S. Maria in Trastevere per la costruzione dell'organo) per liberarsi dall'assillo dei creditori.
Se una ragione diretta delle difficoltà finanziarie del D. sembra poter essere trovata in una certa sua leggerezza nella contabilità e nell'amministrazione ("è da avertire di non lasciar i denari in mano di M.ro Venereo acciò non li converta in altro uso, ma gieli potrete dare secondo il suo bisogno" raccomanda il cardinal Della Rovere al suo suffraganeo nel 1572, lamentando ancora in una lettera successiva "non si sa come siano i suoi conti benché altre volte si domandassero e fosser mandati assai confusamente" [Casadio, 1939, pp. 181, 184]), di fatto la pratica dell'indebitamento rappresenta nella Roma della seconda metà del XVI secolo un costume decisamente generalizzato che interessa non solo lo strato più povero della popolazione ma anche le grandi famiglie del patriziato romano.
Terminato l'organo della chiesa metropolitana di Ravenna nei primi mesi del 1573, il D. tornò a Roma dove dovette risiedere fino alla morte. Nel dicembre del 1573 è infatti registrato un pagamento in suo favore per un lavoro di manutenzione dell'organo della basilica di S. Maria in Trastevere, dove ancora nel 1580 è impegnato nel rifacimento della canna maggiore dell'organo. Tornò invece a Ravenna nel 1575, proponendo il rifacimento in stagno delle canne di prospetto. La collocazione cronologica del suo transitus è fornita da un'indicazione documentaria del fondo della parrocchia di S. Maria in Vallicella a Roma (v. A. Morelli), dove il D., indicato come "organorum opifex", venne sepolto il 12 sett. 1581. Si ignora il grado di parentela con Giovanni da Legge "figlio di Messer Priamo", "Cavallier et Procurator di San Marco", cui è dedicato Il primo libro dei Ricercari di Annibale Padovano (Venezia 1556); il suo nome compare in modo ricorrente nel carteggio musicale di Prè Giovanni De Lago, dove sono raccolte numerose missive di sua mano o a lui dirette databili tra il 1520 e il 1533 (R. Casimiri, Il codice Vaticano 5318, in Note d'archivio per la storia musicale, XVI [1939], pp. 109-131).
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio stor. del Vicariato, Fondo capitolare di S. Maria in Trastevere, vol. 5D, cap. 41; vol. 43, cc. 167r-168v, 175r, 168r, 170v, 172v-173v; vol. 214, c. 54v; vol. 322, cc. 252r, 259r, 279v; A. Bertolotti, Artisti veneti in Roma nei secoli XV, XVI, e XVII, Venezia 1884, pp. 3-99; J. J. Berthier, L'église de la Minerve a Rome, Roma 1910, p. 251; G. D'Alessi, Organo e organisti della cattedrale di Treviso, Vedelago 1929, p. 149; R. Casadio, L'organo della chiesa metropolitana di Ravenna, in Note d'arch. per la storia musicale, XV (1938), pp. 175-188; Id., La cappella musicale della cattedrale di Ravenna, ibid., XVI (1939), pp. 179-185, 226; R. Lunelli, L'arte organaria in Roma e gli organi di S. Pietro, Firenze 1938, pp. 11, 17, 50, 51; K. Jeppesen, Die italien. Orgelmusik im Anfang des Cinquecento, I, Der klassische Orgelbau in Italien, København 1960, pp. 16-46; R. Lunelli, Studi e documenti di storia organaria veneta, Firenze 1973, p. 229; A. Morelli, Il tempio armonico. Musica nell'oratorio dei filippini... (di prossima pubbl. nella coll. "Analecta musicologica").