VENATIO
Diversamente da caccia (vol. ii, p. 241 ss.) sotto la definizione di v. i Romani comprendevano spettacoli nei quali si svolgevano cacce di selvaggina con i cani, lotte contro animali, giochi con animali ed ogni altra manifestazione di questo tipo.
La v., una parte dei ludi, apparteneva nella Roma repubblicana ai munera degli aediles, passò in seguito a quelli dell'imperatore, sporadicamente anche a quelli dei consoli e dei pretori; fuori Roma a quelli dei magistrati provinciali; assai rare, a causa del loro costo, le venationes date da privati. Per questo di tanto in tanto un imperatore regalava ai suoi amici senatori costose fiere: si sa ad esempio che Onorio regalò alcuni leopardi a Q. Aurelio Simmaco per i giochi pretorî di suo figlio (Symmach., Epist., iv, 12, 2; vii, 59). La v. di regola era prevista nei ludi triumphales, gladiatorii e funebres; si tennero dapprima nel Foro (Vitr., v, 1), poi nel circo (vol. ii, p. 647 s.); e soprattutto nell'anfiteatro (vol. i, p. 374 s.); il Colosseo di Roma fu chiamato infatti "ϑέατρον κυνηγετικόν" (Cass. Dio, lxvi, 25), proprio perché vi si svolgevano le cacce con i cani. Lo spettacolo aveva luogo al mattino, donde anche il nome di ludus matutinus. Celebri le venationes dell'età di Augusto (cfr. Resgestae: ed. H. Volkmann, Kl. Texte, 29-30, 1957, cap. 22) e la v. dell'11 a. C., del 2 a. C. e del 12 d. C. Le origini di questa istituzione sono però molto più antiche. Prescindendo dal trionfo di L. Cecilio Metello del 250 a. C., con 210 elefanti - piuttosto uno spettacolo che una v. la prima v. vera e propria, con leoni e pantere, è quella che chiuse il trionfo di M. Fulvio Nobiliore nel 186 a. C.; segue nel 169 a. C. la caccia con i cani e con 63 pantere e leopardi, 40 orsi ed elefanti data da Scipione Nasica e da P. Lentulo: presupposto di tanto lusso la conquista dei territorî cartaginesi del Nord-Africa dopo la battaglia di Zama del 202 a. C., che rendeva possibile la cattura di un gran numero di leoni, pantere, leopardi e struzzi. Il trasporto di questi animali fu dapprima interdetto con decreto senatorio, abrogato però verso la metà del II sec. a. C. dal tribuno della plebe Gn. Aufidio in occasione dei ludi circensi dati dallo Stato (Plin., Nat. hist., viii, 64; Pauly-Wissowa, ii, c. 2288, s. v. Aufidius, n. 5; per la datazione v. T. R. S. Broughton, Magistrates Rom. Republ., 1951, p. 420 ss.). Circa nel medesimo torno di tempo Scipione minore fece gettare in pasto alle belve i disertori (Valer. Max., ii, 7, 13) e ne derivò ben presto la damnatio ad bestias. Nel corso del I sec. a. C. le modalità del combattimento subirono alcune variazioni; si facevano cioè combattere fra loro o contro i venatores, bestie della stessa razza o di specie diverse. Inoltre il numero delle belve si accrebbe e dai nuovi territorî conquistati giunsero animali esotici: il coccodrillo, l'ippopotamo, il rinoceronte dall'Egitto, gli orsi dalla Germania. Nelle province furono organizzati e perfezionati i metodi di caccia e di cattura. I nuovi corpi degli ursarii legionis della Legio I Minervia di Colonia e della Legio XXX di Castra Vetera, dovevano essere espressamente esonerati dal normale servizio militare. Già in tempi più antichi non erano mancati alle Venationes di questo tipo gli animali autoctoni dell'Italia: camosci, lepri, cervi, cinghiali e tori. Al tempo di Cesare fu portata a Roma per la prima volta una giraffa; sotto Augusto erano molto in voga le tigri addomesticate. A poco a poco gli imperatori trasformarono le venationes in spettacoli di massa, introducendo metodi brutali. Claudio fece gettare teli sopra i leoni perché vi rimanessero impigliati e in altra occasione scagliò nell'arena contro le belve africane un intero squadrone di cavalleria della guardia pretoriana al comando dei prefetti ed introdusse la taurocatapsia tessalica (ταυροκαϑαψια: A. Evans, Palace of Minos, iii, 1964, p. 229 s. con fig.). Nelle solennità ufficiali Commodo, appassionato cacciatore e gladiatore, scendeva di persona nell'arena. Si raggiunse l'acmè nei giganteschi spettacoli dell'inizio del III secolo. Nel 202 d. C. Settimio Severo diede all'arena la forma di una nave da cui balzarono fuori per essere uccise 700 belve. Nel 248 d. C. Filippo l'Arabo aprì i giochi secolari, che celebravano il millesimo anno della fondazione di Roma, con una v. di un numero mai visto di fiere esotiche di tutte le specie. I venatores furono addestrati in scuole del tipo delle familiae gladiatorie; nacquero le riserve imperiali (vivarium) che richiedevano un numeroso personale (probabilmente i bestiarii). Si erano intanto andati delineando particolari tipi di v.: la semplice missio, il pancarpum con belve di varie specie ed infine la v. non cruenta, un vero e proprio gioco in cui i venatores muniti di reti e protetti da pareti o porte girevoli dovevano attirare le belve fuori dalle gabbie; particolarmente istruttive in proposito le scene dei dittici consolari. Contrariamente ai ludi gladiatori, le venationes e i giochi non cruenti con le fiere durarono fino al VI sec. d. C.; prova ne sono quelle del 523 d. C. date da Eutarico, genero di Teodorico, nel restaurato Colosseo (Platner-Ashby, Topograph. Diction. of Rome, 1929, p. 7) e soprattutto il fatto che Atalarico, figlio di Eutarico, restaurò nel 528 d. C. l'anfiteatro di Ticinum (odierna Pavia, v. Fuchs, Kunst der Ostgotenzeit, 1944, p. 10, fig. 2; A. Rumpf, Stilphasen d. Spätantik. Kunst, 1955, p. 39, tavv. 35, 162). Ancora nel 536 Giustiniano pretendeva che i consoli dessero venationes oltre che spettacoli. L'anno seguente Procopio narrando l'assalto di Vitige contro Roma, ricorda il serraglio imperiale presso la Porta Praenestina (Bell. Got., i, 22, 10; 23, 14 ss.). Poco dopo le venationes furono vietate in Italia da Totila (A. M. Colini-L. Cozza, Ludus Magnus, 1962, p. 105), mentre in Gallia si tenevano probabilmente ancora nel 577 d. C. nei circhi di Parigi e di Soissons (Gregor. Tauron., Hist., v, cap. 17).
Per il tardo periodo repubblicano e la prima età imperiale le raffigurazioni di venationes sono assai rare e di poca importanza; la caccia con i cani e la lotta con le fiere non rientrano nel patrimonio figurativo della società romana dell'epoca. Le cose cambiarono nella piena età imperiale (v. rieti); nella tarda antichità infine le rappresentazioni di v. si fecero frequentissime e sempre più importanti poiché entrarono a far parte del repertorio figurativo dei mosaici, che hanno in questo periodo piena dignità artistica. Le strutture sociali di Roma avevano subìto radicali mutamenti; basti un esempio: l'imperatore Giustiniano diede la figlia in moglie ad un guardiano di belve.
Bibl.: Generale: G. Lafaye, in Dict. Ant., V, p. 680-709 s. v.; O. Keller, Tiere des Klass. Altertums, Innsbruck 1887; id., Antike Tierwelt, Lipsia, 2 voll., 1909; P. Friedländer, Sittengeschichte Roms, 1922, II, p. 78 ss., IV, p. 267 ss.; A. M. Colini-L. Cozza, Ludus Magnus, Roma 1962; L. Foucher, Venationes à Hadrumète, in Oudheidkundige Mededelingen, XLV, 1964, p. 87 ss. In particolare: monumenti tardo-repubblicani: denario di L. Livineio Regulo del 39 a. C. circa: Dict. Ant., V, fig. 7369; H. A. Grueber, Brit. Mus. Cat. Coins, III, 1910, tav. 57, 17. Rilievo di Villa Torlonia, combattimento tra gladiatori e fiere: Dict. Ant., V, fig. 7372; S. Reinach, Rep. Rel., III, 346, 2. Primo periodo imperiale: rilievi Campana, gladiatori con animali nel circo: H. Rohden, Röm. Tonreliefs d. Kaiserzeit (Ant. Terrakotten, IV, 2, 1911), tav. 74, 1-2. Dipinti di combattimenti con animali nell'anfiteatro di Pompei: Dict. Ant., V, 7372; J. Overbeck, Pompej, 1884, fig. 110 s. Rilievo di una caccia con cani dalla tomba di Umbricio Scauro dinanzi alla Porta Ercolana di Pompei: Dict. Ant., V, fig. 7375; J. Overbeck, op. cit., I c, fig. 114; A. Mau, Pompei in Leben und Kunst, 1908, fig. 258. Graffito di venatores durante una caccia nel Colosseo: A. M. Colini-L. Cozza, Ludus Magnus, 1962, fig. a p. 100. Graffito con struzzo ed iscrizione su un blocco di marmo del Ludus Magnus: Colini-Cozza, op. cit., p. 47, fig. 67. Rilievo di Rieti: E.A.A., VI, p. 687. Scene della tomba dei Nasoni connesse probabilmente con la caccia e la cattura di animali selvatici per le v.: ultimamente B. Andreae, Studien zur Röm. Grabkunst (19. Erg. Heft Röm. Mitt., 1963), p. 88 s. con lit. tav. 56, I, 63, I, 64. Coperchio di sarcofago di Villa Medici con scene di caccia e leoni in gabbia trasportati per nave: M. Cagiano de Azevedo, Antichità Villa Medici, 1961, p. 63 s., n. 61, tavv. 31, 49-50. Nicolo con Commodo che caccia una pantera: Dict. Ant., V, fig. 7365; G. Lippold, Gemmen und Kameen, tav. 73, 2. moneta di Otacilia Severa, Rev.: ippopotamo e legenda: saeculares: M. Bernhart, Handb. Münzkunde röm. Kaiserzeit, 1926, p. 75 s., tav. 56, 14. V. del mosaico di Villa Borghese: ultimamente: L. Rocchetti, in Riv. Ist. Arch. St. Arte, XIX, n. s., X, 1961, p. 69 s., figg. 1, 3, 6-8, 12, 14. Mosaico dell'Aventino al Vaticano: B. Nogara, Mosaici ant. Vaticano e Laterano, 1910, tavv. 9, 1-4. - I seguenti mosaici in Germania, in Gallia e nell'Africa proconsolare rappresentano v. in circhi o all'aperto, per la caccia o la cattura di animali selvatici: Germania: recentemente K. Parlasca, Mosaiken in Deutschland, in Röm.-German. Forschungen, 23, 1959, p. 88 ss., tavv. 36-39 (Nennig), tavv. 88-91 (Kreuznach), tav. 25, 2 (Trier, La fontana di Antonio), tav. 100 (Westerhofen). Gallia: G. Lafaye, Invent. Mos. Gaule, 1909, p. 87, n. 1072 m. e fig. tav. (Reims). Rezia: Boscéas prés d'Orbe, Svizzera: W. Déonna, L'art Rom. en Suisse, 19432, fig. 61, p. 94 s. Africa proconsolare: P. Gauckler, Invent. Mos. Afrique procons., II (Tunisia), 1910, n. 71 f, fig. tav. (El Djem), 463 (Oued-Ramel), 511 a (Radès: giochi con orsi), 607 (Cartagine); R. Hinks, Brit. Mus. Cat. Paintings and Mos., 1933, n. 57 s. (Bordje-Djedid; Cartagine); F. G. de Pachtere, Invent. Mos. Afrique procons., III, (Algeria), 1911, n. 45 (Hippone), 450 (Orléansville); Zliten: S. Aurigemma, Mosaici Zliten, Roma-Milano 1926. Tarda Antichità: 1) Dittici consolari: R. Delbrück, Consulardiptychen, 1929, p. 75 s., testo e tavole. 2) Contorniati A. Alföldi, Kontorniaten, 1943, p. 12 "f 2", n. 176 s., tav. 3) Mosaici: Piazza Armerina: E. A. A., VI, p. 149; Antiochia: D. Levi, Antioch Mos. Pavements, I-II, 1947; Apamea: F. Mayence, in Ant. Class., V, 1936, p. 404 s., tav. 50 s. (Mos. des Triclines).