Vedi VEIO dell'anno: 1966 - 1997
VEIO (v. vol. VII, p. 1106)
Dopo la fondamentale pubblicazione, nel 1968, dei risultati delle ricognizioni di superficie condotte dalla Scuola Britannica di Roma, sotto la guida di J. Ward Perkins, le indagini sul centro di V. e sul suo territorio si sono incentrate sullo scavo delle necropoli limitrofe all'area urbana, mentre ulteriori dati sono emersi da una più aggiornata analisi dei precedenti ritrovamenti. Di particolare rilievo sono il lavoro di riesame del Santuario di Portonaccio, l'edizione del complesso dei reperti e della storia degli scavi condotti da A. Giorgi agli inizî del 1800, nonché lo studio dei corredi delle necropoli di Valle La Fata e Grotta Gramiccia. Estremamente utile è stata inoltre la ricostruzione delle ricerche archeologiche condotte a V. tra il XIV e la metà del XIX secolo.
In tale quadro e in assenza di un sostanziale aggiornamento dei dati relativamente alle fasi più antiche dell'insediamento umano nell'area, alcuni nuovi elementi hanno reso estremamente aperta la problematica relativa ai tempi e alle modalità di formazione del centro di Veio.
Nel corso del riordinamento del materiale proveniente da scavi condotti tra il 1913 e il 1916 nelle necropoli veienti, è stato ricomposto il corredo di una tomba protovillanoviana dal sepolcreto di Casale del Fosso che costituisce la più antica sepoltura finora rinvenuta. Allo stesso orizzonte culturale sono anche riconducibili alcuni frammenti ceramici rinvenuti in superficie presso la Porta Nord-Ovest, in prossimità quindi del sepolcreto stesso. Questi elementi hanno fatto supporre che, come in altri insediamenti villanoviani dell'Etruria meridionale, la prima occupazione dei pianori su cui si svilupperanno i grandi centri etruschi possa risalire anteriormente alla prima Età del Ferro. Anche per quanto riguarda la distribuzione e l'organizzazione dell'insediamento in età villanoviana, il tradizionale quadro che vedeva la coesistenza di più villaggi con distinte necropoli, è stato posto in discussione sulla base dei risultati di più accurate indagini di superficie che hanno permesso di rilevare una più ampia distribuzione di materiali della prima Età del Ferro su tutto il pianoro.
È databile al 680-670 a.C. la nota Tomba delle Anatre, con volta a vela e banchina laterale, decorata nella parete di fondo con una teoria di cinque anatre gradienti verso sinistra, dipinte alternatamente in giallo e in rosso con particolari in nero, a.C., che costituisce il più antico esempio di tomba dipinta etrusca. Al 670-650 a.C. è riconducibile la tomba «principesca» scavata nel 1980, assieme ad altre cinque, nella necropoli di Monte Michele. La tomba si differenzia notevolmente nel panorama dell'Orientalizzante veiente sia per la tipologia sia per la ricchezza del corredo. Caratterizzata da una grande camera quadrangolare e da due piccole celle aperte sul dròmos, accoglieva quattro deposizioni riferibili a un unico nucleo familiare.
Nella camera principale la sepoltura maschile si configura come principesca per la presenza nel corredo di oggetti rari e preziosi (tra cui un flabello in lamina di bronzo decorata a sbalzo, uno scettro e ornamenti personali in oro), per la forma del cerimoniale (con l'utilizzo di un'urna in bronzo contenente le ceneri del personaggio avvolte in una stoffa, che rimanda al rituale funerario «eroico» descritto da Omero), e infine per l'uso del carro a quattro ruote per il trasporto del defunto nella tomba. La presenza nei corredi di buccheri, di quasi certa fabbricazione locale, viene a porsi tra le attestazioni più antiche di tale classe ceramica a V., precedentemente poco documentata nelle tombe anteriori alla metà del VII sec. a.C.
Per quanto riguarda l'area urbana, sono di estremo interesse i risultati del riesame delle piante dello scavo eseguito dallo Stefani nel 1944 sull'acropoli di Piazza d'Armi. Si è individuata una distribuzione pressoché regolare degli spazi abitativi lungo una via principale, che corre lungo l'asse maggiore della collina in direzione SE-NO, con al centro una piazza occupata quasi per metà dalla grande cisterna ovale. L'intervento di urbanizzazione si fa risalire alla fine del periodo orientalizzante.
Nell'ambito del lavoro di revisione degli scavi del Santuario dell'Apollo di Portonaccio occorre segnalare la ricomposizione di un gruppo frammentario con Atena ed Eracle che si discosta notevolmente, per le sue peculiarità stilistiche, dalle opere del Maestro dell'Apollo di Veio.
Alla durezza che possiamo definire «tuscanica», evidente soprattutto nella testa del Mercurio, si oppone una contenuta eleganza che se da un lato rimanda a esperienze precedenti, nello stesso tempo richiama l'arte attica dell'età dei Pisistratidi e di Clistene. Il gruppo, interpretato come donario e collocato cronologicamente intorno al 500 a.C., sembra costituire «quanto di più «greco» sia stato prodotto in Etruria e nell'Italia media nell'età dell'arcaismo finale» e proprio il mito creato attorno all'Apollo «in quanto espressione di una etruscità strutturale e atemporale» (Colonna, 1987) ha contribuito, per lungo tempo, al suo disconoscimento, essendo testimonianza di un linguaggio diverso.
Relativamente all'occupazione del territorio, ancora adesso ricostruibile soprattutto sulla base dei risultati delle indagini di superficie, tra VII e VI sec. a.C. si assiste a una diffusa occupazione delle campagne mediante l'insediamento di piccole fattorie, basate probabilmente su singole unità familiari, che sembrano testimoniare un incremento demografico e una notevole espansione delle aree coltivate. Di tali insediamenti è stato finora oggetto di indagine soltanto quello di Casale Pian Roseto, di cui si è scavato un ambiente seminterrato, interpretabile come cisterna o magazzino, riempito con scarichi di materiale inquadrabile tra il 430 e il 380 a.C. Tale intervento è stato collegato con i mutamenti di proprietà e con la riorganizzazione del territorio avvenuti in seguito alla conquista romana di V., all'interno comunque di una sostanziale continuità nell'occupazione delle campagne protrattasi per tutto il IV sec. a.C. E solo, invece, in età tardorepubblicana che i dati a disposizione mostrano una recessione dell'area. Difatti il riesame della ceramica proveniente dalle ricognizioni di superficie ha mostrato come solo un quinto sia databile al ÉÉ- É sec. a.C. I motivi vanno verosimilmente ricercati nel crescente accentramento a Roma delle forze produttive nonché nella dimensione mediterranea che acquistano i mercati, a discapito di quelli su scala regionale.
Nella prima età imperiale tutta l'area conosce un notevole sviluppo, testimoniato dalla ricchezza delle ville e dal fiorire delle stazioni stradali, tra cui quella ad Vacanas, posta al XXI miglio della Via Cassia, e individuata nel 1980 a seguito di lavori di sistemazione del moderno tracciato stradale. La mansio, cui era annesso un edificio termale, è costituita da una corte centrale porticata con ambienti coperti sui quattro lati e una serie di tabernae aperte direttamente sulla Via Cassia, di cui si è portato alla luce un ampio tratto.
Per quanto riguarda la valorizzazione del patrimonio archeologico dell'area veiente, va innanzitutto segnalato l'esperimento di musealizzazione temporanea del Tempio dell'Apollo in località Portonaccio, effettuato dalla Soprintendenza Archeologica per l'Etruria Meridionale in collaborazione con il Dipartimento di Antichità dell'Università degli Studi di Roma «La Sapienza», che propone al pubblico, sulla base di una nuova ricostruzione grafica, le proporzioni reali del monumento attraverso una struttura realizzata in tondini di ferro che poggia direttamente sui resti delle fondazioni del tempio e ne rievoca la volumetria nonché, in parte, la complessità del sistema decorativo.
Si segnala infine l'istituzione da parte del Comune di Formello, il cui territorio rientra interamente all'interno dell'area a più immediato contatto con la città di V., del Museo dell'Agro Veientano il cui progetto museale, di prossimo allestimento all'interno del seicentesco Palazzo Chigi, prevede di ripercorrere, attraverso i materiali e l'apparato documentario, la storia del territorio dalle origini all'età contemporanea. Tra il materiale marmoreo conservato nel museo si ricorda un sarcofago rinvenuto a Formello (località Selvapiana) con eroti clipeofori e altre figurazioni, una statua virile (Hüftmanteltypus) di età giulio-claudia, forse dal foro di V., e una statua di Priapo del terzo quarto del II sec. d.C., probabilmente rinvenuta a V. nel corso degli scavi promossi dal Cardinale Flavio Chigi alla metà del '600 e recentemente restaurata.
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