Vedi VEIO dell'anno: 1966 - 1997
VEIO (Veii)
Città etrusca a 15 km a N-O dal centro di Roma, presso il villaggio di Isola Farnese. Fondata da villanoviani, in una delle prime fasi dell'antica Età del Ferro laziale, raggiunse una posizione di grande potenza e prosperità nel VI e V sec. a. C. Come per tutta la zona etrusca più vicina a Roma, i rapporti tra le due città sembrano essere stati dapprima stretti e amichevoli, ma con l'accrescersi delle ambizioni territoriali da ambedue le parti, esse divennero inevitabilmente le due più acerbe rivali e, dopo una lunga guerra, V. fu finalmente presa e distrutta da Camillo nel 396 a. C., e il suo territorio fu incorporato in quello di Roma. Anche se il luogo ben presto si ripopolò, esso non raggiunse mai più l'antica importanza. In età repubblicana l'ager Veientanus era un'area con stanziamento agricolo intensivo ma sotto Augusto la città divenne municipio col titolo di Municipium Augustum Veiens. Come centro urbano, tuttavia, sembra essere stato una creazione artificiale, perché in età romana il centro della prosperità si trovava piuttosto nelle ville della campagna circostante. Anche nella sua maggiore estensione, la città romana occupò solo una piccola parte dell'area della città precedente; nel tardo Impero si impoverì sempre di più, e infine scomparve dalla storia nel IV secolo. Molte ville invece sembra che siano sopravvissute fino al primo Medio Evo, e non furono del tutto abbandonate fino all'anarchia del tardo IX e del X secolo.
Il territorio di V. è limitato dal Fosso della Valchetta (l'antico fiume Cremera), e da uno dei suoi affluenti, il Fosso del Piordo che, all'estremità N-O della zona, si avvicinano moltissimo uno all'altro e poi si allontanano di nuovo per racchiudere un pianoro di terreno aperto e ondulato di circa 350 ettari di estensione. Lungo la maggior parte del suo perimetro, esso è delimitato da ripidi versanti che diventano strapiombi quasi verticali di tufo verso la punta S-E del promontorio, sopra la confluenza dei due fiumi. Qui è situata l'acropoli, la cosiddetta Piazza d'Armi, che è staccata dal resto del pianoro da un profondo fossato, in parte artificiale.
1. - Età etrusca. - Non vi sono testimonianze di una stabile occupazione prima dell'Età del Ferro. In verità, eccettuati pochi piccoli stanziamenti dell'Età del Bronzo, indicanti una penetrazione lungo il fiume Cremera dalla valle del Tevere, è probabile che la quasi totalità dell'ager Veientanus fosse coperta di foreste al tempo del primo stanziamento. Questo si formò contemporaneamente alla prima fase villanoviana di Tarquinia e, quasi certamente, proprio da quest'area arrivarono gli originarî colonizzatori, seguendo la via naturale lungo la cresta, che scende a V. dai Monti Sabatini. È possibile che inizialmente sia stata occupata solo la Piazza d'Armi ma, in questo caso, solo per poco tempo, prima che l'occupazione si allargasse a tutto il pianoro. Entro questo comune perimetro esterno, la V. villanoviana sembra aver compreso dapprima, come l'antica Roma, tutta una serie di villaggi distinti, ma in stretta relazione fra loro. Due di essi sono stati parzialmente scavati nella Piazza d'Armi e presso la porta N-O, e resti superficiali attestano l'esistenza di altri due sulle pendici di fronte alla porta N-E e sull'altopiano ad O della Piazza d'Armi. Delle necropoli riferibili a questi villaggi se ne conoscono tre gruppi principali, tutte poste immediatamente fuori del perimetro, ciascuna accanto ad una importante strada antica: quella di Grotta Gramiccia, presso la strada per Nepi, Tarquinia e Vulci; quella di Valle la Fata, presso la più antica strada per Roma; e quella della Vacchereccia e dei Quattro Fontanili, fuori della porta N-E (Capena). La necropoli annessa alla comunità di Piazza d'Armi, si trova probabilmente nella valle sottostante, presso la strada che scende a Fidene e al Tevere.
Nonostante costituisse una comunità notevole, la V. villanoviana non godeva di particolare prosperità. Anche la più ricca delle necropoli conosciute, quella di Grotta Gramiccia, ha pochi sepolcri paragonabili a quelli delle città costiere. Il materiale domestico proveniente dal villaggio presso la porta N-O, presenta numerose tracce dell'influenza della civiltà laziale contemporanea, e suggerisce l'ipotesi di una commistione di popoli non villanoviani nella primitiva comunità. Il materiale funerario e gli usi (per esempio l'uso comune di grandi cippi crestati circolari per le antiche tombe a fossa) indica gli stretti contatti che esistevano, anche anticamente, con il vicino territorio falisco.
Fino al tardo V sec. a. C. la città sembra essersi accontentata delle sue difese naturali, eccetto probabilmente una scarpata difensiva e una fortificazione intorno alla Piazza d'Armi. In seguito, di fronte al pericolo di una guerra con Roma, l'intero pianoro fu circondato da una fortificazione massiccia, fatta di terra battuta che però incorporava un muro di sostegno verticale in blocchi di tufo. In mancanza di una sistematica esplorazione della località, non si può dire molto circa la topografia interna della città etrusca. La zona E del pianoro è divisa in due alture, e il centro cittadino sembra essersi trovato nel punto di convergenza dei due versanti, con strade irradiantesi in tutte le direzioni verso le porte principali, che erano almeno sette, oltre a un certo numero di porte secondarie. Non vi è alcuna traccia di divisione regolare del terreno e, a giudicare dai ritrovamenti in superficie, gli stanziamenti furono del tutto uniformemente distribuiti sull'intero pianoro.
Nel V sec. molte delle case erano a pianta rettangolare e costruite parzialmente in pietra; resti di esse sono stati scavati nella Piazza d'Armi e presso la porta N-E e N-O; in quest'ultima località, erano sovrapposti ad una casa di legno di forma simile. Depositi votivi che indicano la vicinanza di templi, sono dati come provenienti dalla contrada Campetti e dalle pendici del Fosso della Valchetta, presso la Piazza d'Armi, e lo Stefani scavò le fondamenta e alcune delle terrecotte di un tempio del principio del VI sec. a. C., nella stessa Piazza d'Armi. Presentava una semplice struttura rettangolare, con al centro quello che può essere interpretato come un pilastro di legno, a sostegno del columen.
a) Santuario di Portonaccio. - È l'edificio meglio conosciuto e il solo di V. totalmente scavato. Gli scavi, iniziati nel 1914 e continuati saltuariamente fino al 1921 e poi nel 1939, misero in luce i resti di un tempio e le tracce di altri impianti sacri (una piscina, un altare, una fossa dei sacrifici, ecc.), che facevano parte di un santuario, completamente distrutto in età romana e forse già in rovina dopo la conquista romana di V. al principio del IV sec. a. C.
Il tempio era a struttura rettangolare, orientato a S-E e misurante m 13,25 × 8,07 esternamente. La facciata è completamente distrutta e i resti sono stati malamente danneggiati da tarde cave di pietra. È possibile tuttavia stabilire che l'area della cella era divisa longitudinalmente da due muri interni. Questo fatto è stato generalmente interpretato come testimonianza di un tempio a triplice cella di tipo convenzionale, ma i resti potrebbero documentare altrettanto bene una pianta con un'unica cella, disposta contro il muro posteriore di un recinto a forma di cortile (come per esempio a Fiesole e Bolsena: v. tempio: Italia e Roma). Al centro di un'area lastricata, circa 30 m ad E del tempio e leggermente obliquo rispetto al suo asse, si eleva l'altare, preceduto da due gradini, con la fossa dei sacrifici, sotto la quale ne venne messa in luce un'altra, più antica. Nel lastricato sono intagliati alcuni pozzi rituali e un elaborato sistema di canaletti in relazione con una grande cisterna confinante col fianco N del tempio. L'estremità orientale è occupata da un ambiente rettangolare, del quale si conserva il lato S col muro di sostruzione, ambiente da cui proviene ingente materiale ceramico e un gruppo di iscrizioni. Che sia esistito fin da epoca arcaica un santuario in questo luogo è dimostrato dai depositi votivi; esso tuttavia può essere stato solo un tèmenos aperto, giacché le più antiche terrecotte architettoniche sono del tardo VI secolo. E anche se gli scavi non sono interamente chiariti, è probabile che, nella sua forma attuale, tutto il complesso, con altare e tèmenos cintato, sia databile al 500 circa. A questa data appartiene anche il mirabile complesso di statue in terracotta dipinta, intere e frammentarie, ora al Museo di Villa Giulia. Le statue sono circa in grandezza naturale; di esse, una intera si interpreta come Apollo; una frammentaria, priva del capo, come Ercole col piede sulla cerva; una, di cui è conservata solo la testa e la parte inferiore del corpo, come Hermes; inoltre è stato ricostruito quasi per intero il simulacro di una dea col bambino: restano inoltre frammenti di altre statue. Per alcune di queste figure superstiti è accertato un reciproco rapporto nell'ambito di una composizione che si è interpretata come Apollo ed Ercole in lotta per la cerva sacra di Delfi, e forse alla scena partecipa Hermes. È dubbio però se sia da comprendere anche la figura femminile, che sembra piuttosto far parte di un gruppo di Latona e Apollo che fugge davanti al pitone. I gruppi erano visibili di profilo, come un altorilievo. Furono interpretati dapprima come decorazione di frontone; come acroterî del tempio; o come composizioni votive estranee alla decorazione del tempio. Ma la ricostruzione, da frammenti, delle basi delle statue, in forma di cassetta aperta ad arco nella parte inferiore, ha permesso di precisarne finalmente la collocazione. Le basi delle statue cioè sarebbero state adattate sul grande trave longitudinale del tetto del tempio (columen), secondo un allineamento lungo lo schienale dell'edificio, riscontrabile anche negli acroterî di certe urne chiusine in forma di edicole. Oltre a queste citate, l'area ha restituito altri frammenti di statue di proporzioni e tecniche diverse, tra le quali è da ricordare un torso nudo maschile, forse inserito in un trono o in una quadriga (per una valutazione storico-artistica di questo materiale v. vulca). Alla decorazione del tempio appartengono anche le numerose terrecotte architettoniche messe in luce dagli scavi: tegole di gronda con motivi dipinti in bianco, rosso e nero, a meandro, a zig-zag, a fasce di rombi; antefisse raffiguranti menade, sileno, Achebo, Gorgone; terrecotte templari di prima fase, contrassegnate da lettere per facilitarne la messa in opera; di seconda fase con cornici traforate, lastre terminali del coronamento; lastre di rivestimento della trabeazione (v. terracotta). Le antefisse mostrano analogie con le statue di terracotta, ne ripetono lo schema e persino alcune particolarità nel rendimento anatomico, non ne eguagliano però la qualità.
Tra il materiale sono state anche rinvenute lastre di argilla con avanzi di fregi e scene figurate, dipinte a più colori (rosso e nero) sulla ingubbiatura chiara del fondo, raffiguranti soggetti diversi: dovevano far parte del rivestimento parietale della cella del tempio. Numeroso anche il materiale ceramico, spesso con iscrizioni.
b) Necropoli. - L'etrusca V. era completamente circondata da necropoli. Alcune di esse si sono sviluppate senza cesura sui preesistenti cimiteri di età villanoviana. Così avvenne per i cimiteri di Grotta Gramiccia, dei Quattro Fontanili e della Vacchereccia, rispettivamente di fronte alle porte di N-O (Tarquinia) e di N-E (Capena). Altri furono creati ex novo e si svilupparono ovunque naturali fratture delle rupi che circondano la città offrissero facili accessi alle pendici circostanti. Così (seguendo da Piazza d'Armi il senso inverso a quello dell'orologio) si trovavano le necropoli di Macchia della Comunità, Monte Michele, Picazzano, Casale del Fosso presso la strada per Caere, Riserva del Bagno, Pozzuolo, Oliveto Grande, Casalaccia, e Monte Campanile. La sequenza dei sistemi di sepoltura è quella familiare; dapprima pozzetti, dei quali alcuni più tardi ed elaborati sono contenuti in custodie; poi sepolcri a fossa, anche questi con tendenza a diventare sempre più elaborati, e infine tombe a camera oppure (quest'ultimo tipo apparentemente caratteristico di V.) recinti rettangolari aperti con loculi sepolcrali aprentisi all'esterno.
Anche lo sviluppo topografico segue un disegno conseguente, le più antiche sepolture occupando la sommità dell'altopiano, lungo le strade o i sentieri fuori della città, mentre i più tardi sepolcri si estendevano costantemente al di là e più in basso di questi nuclei, verso i ripidi pendii inferiori in cui erano tagliati i sepolcri a camera. Questi ultimi sono normalmente semplici camere rettangolari, con uno o più letti funebri, echeggianti la più semplice delle forme normalmente in uso a Caere. Nessuno presenta speciali rielaborazioni e la pittura è rara. La sola tomba dipinta con decorazione figurata è quella Campana, nella necropoli di Monte Michele (la sua pittura, ora illeggibile, è del periodo arcaico e generalmente attribuita alla metà del VII sec. a. C.; ma può essere in realtà più tarda e gli ultimi studî l'assegnano a circa il 600 a. C.). Una semplice tomba con un fregio di anatre stilizzate, è stata scoperta recentemente nella Riserva del Bagno. Al di fuori dell'area dei maggiori cimiteri, prevalentemente distribuiti lungo le antiche strade e sentieri, si trovano pochi grandi tumuli databili dalla seconda metà del VII sec. a. C. In quello sulla sommità del Monte Aguzzo fu trovata l'Olpe Chigi, protocorinzia, (v. olpe chigi; e tavv. a colori vol. iii, p. 1018, vol. vii, p. 138) e il ben noto vaso di bucchero con l'alfabeto etrusco inciso sopra, ambedue ora al Museo di Villa Giulia. Il materiale dei cimiteri manca per la maggior parte di uno studio sistematico; in linea generale, sembra riflettere mode delle città costiere, però con certi tratti caratteristici attribuibili in parte all'esitenza ed allo sviluppo di botteghe e stili locali. Molto del bucchero, per esempio, è chiaramente fabbricato nella Valle del Tevere, possibilmente a V. stessa. Una circostanza che attende chiarimenti (se davvero essa non è dovuta alla casualità della conservazione del materiale o delle scoperte), è la relativa scarsità di oggetti fini importati per tutto il V sec., il periodo di massima prosperità per Veio.
L'etrusca V. era il centro di una fitta rete stradale, che la congiungeva a Roma ed alle città etrusche dei dintorni e inoltre dava accesso alle campagne ed alle fattorie dell'ager Veientanus. Le più antiche strade seguivano sempre, possibilmente, tracciati naturali; così era il sentiero sull'altura che andava dalla porta di N-O verso Nepi, Vulci e Tarquinia; la strada per Capena e per Monte Musino, la strada nella vallata del fiume Cremera verso il Tevere; la strada che conduceva a Roma; alla via Trionfale; e una strada diretta verso le paludi salate alla foce del Tevere. Nel V sec. a. C., questa primitiva rete stradale si sviluppò in un elaborato ed ingegnoso sistema, capace di portare il traffico rotabile attraverso la zona in tutte le direzioni. Alcune delle strade tagliate in roccia, sono a più di 15 m di profondità, e in un caso (a Pietra Pertusa, sotto la cresta dove più tardi passò la via Flaminia), c'è un tunnel di circa 200 m di lunghezza. Ovunque fosse possibile, i cunicoli tagliati in roccia prendevano il posto dei ponti, quantunque l'esistenza di ponti in legno con pilastri di pietra si possa supporre in parecchi punti. Dal quadro di questo sistema stradale, che si irradiava da V. con ben pochi incroci, è evidente che nell'ager Ve ientanus gli abitati erano strettamente centralizzati entro la città, con tracce relativamente scarse di pagi o fattorie isolate, come quelle che si trovano, per esempio, nell'agro falisco. Il solo sostanziale nucleo secondario stradale era Prima Porta, di fronte a Fidene, il punto di passaggio del Tevere, che ebbe una così grande parte nella storia delle guerre tra V. e Roma.
Un'altra caratteristica dell'ager Veientanus è l'elaborato sistema di cunicoli, attraverso i quali le acque superficiali di molte delle vallate a N e ad E di V. erano artificialmente deviate sottoterra, per distanze talvolta di più di tre chilometri. Questi cunicoli, che furono tagliati non più tardi del V sec. a. C., servirono certamente allo scarico, e non (come sosteneva Fraccaro) alla raccolta dell'acqua. E poiché la loro distribuzione coincide molto strettamente con l'esistenza di un tipo di terreno il cui naturale drenaggio è scarso, sembra quasi sicuro che essi avessero uno scopo agricolo. Essi non solo sono un valido indice dell'abilità tecnica e delle risorse umane dell'etrusca V., ma anche una dimostrazione che l'area era intensivamente coltivata in età etrusca. Così viene anche confermata l'ipotesi suggerita dalla rete stradale, che la massa della popolazione di V. viveva in città ed usciva per lavorare i suoi campi. Un'altra impressionante opera idraulica è il Ponte Sodo, un ponte tagliato nella roccia, in posizione drammatica, nella parte N della città, e il cunicolo lungo 600 m, e profondo fino a 25 m attraverso il quale una parte dell'acqua del fiume Cremera era trasferita, attraverso la cresta, nel fiume che scorre nella parte S della città. Il primo fu probabilmente tagliato per eliminare le inondazioni in un'ansa del fiume; lo scopo principale del secondo invece è incerto; in età romana e medievale servì come mulino ad acqua.
2. Età romana. - V. non ristabilì più la sua indipendenza dopo la cattura ed il sacco del 396; il suo territorio fu annesso a Roma, le sue difese furono abbattute, e può anche darsi che per un breve periodo, essa sia stata quasi completamente abbandonata. In realtà molti studiosi, fuorviati dalle esagerazioni politiche di Properzio (iv, 10, 27-30), hanno creduto che, eccettuati i santuarî che si conservarono per tutto il periodo ellenistico, la città fosse abbandonata fino alla sua ricostruzione per opera di Augusto. Questa ipotesi non tiene conto del fatto che fino a che la via Cassia non fu costruita (171 a. C.), la principale strada verso le colonie di Sutri e di Nepi, verso Falerli Novi e l'Etruria meridionale, passava proprio attraverso V. che continuava ad essere il centro del solo effettivo sistema stradale di tutta l'area; e dai ritrovamenti superficiali risulta evidente che l'area intorno agli incroci stradali, che aveva costituito il centro della città etrusca, fu molto presto ripopolata, e divennè il centro di mercato e di affari per tutto il circondario.
Il Municipium Augustum Veiens, fondato non più tardi dell'1 a. C., non fu una nuova creazione, ma il riconosci-, mento di una situazione già esistente. La storia più tarda della località è, d'altra parte, quella di un costante declino: la popolazione si allontanava dalla città verso le nuove strade principali e verso le fattorie dell'aperta campagna. Si trovano infatti pochi resti di nuove costruzioni dopo il I sec. d. C., e la più tarda iscrizione databile è del III sec. d. C. Come città V. potrebbe, poco dopo, aver cessato di esistere interamente.
Confrontata con la precedente città etrusca, la città romana era piccola, occupando circa venti ettari intorno all'incrocio stradale centrale. Il Foro giace proprio a S-E del moderno incrocio di viottoli. Esso fu frugato alla ricerca di statue e di marmi nel 1812-17, ma il solo ricordo che ci resta è la lista dei ritrovamenti, fatta trenta anni più tardi dal Canina. Dodici grandi colonne ioniche di marmo andarono ad adornare la facciata dell'antico Palazzo delle Poste in Piazza Colonna, a Roma; un altro più piccolo gruppo fu riusato nella Basilica di S. Paolo, e una grande quantità di statue di età giulio-claudia e di iscrizioni, tra cui una statua seduta di Tiberio ed una testa colossale dello stesso imperatore e di Augusto, passarono ai Musei del Vaticano e del Laterano. Il Lanciani, nel 1889, mise in luce una villa e altre costruzioni; un'altra villa presso l'estremità O del pianoro fu parzialmente messa in luce nel 1963; ma non è mai stato fatto uno scavo sistematico della località. Esiste la testimonianza epigrafica di un teatro e di terme pubbliche; la statuaria e le iscrizioni suggeriscono l'esistenza di un edificio di culto della famiglia giulio-claudia (cfr. Caere, Lucus Feroniae). I Bagni della Regina, nella gola della Valchetta, a N della Piazza d'Armi, sono terme di età augustea o tiberiana, sorte su di una sorgente di acqua minerale calda. Un'altra sorgente calda nella valle delle Vignacce, a S della città romana, sembra essere stata ugualmente sfruttata. Le principali necropoli romane, consistono in un folto gruppo di ripostigli per cinerarî, tagliati nella roccia, fuori della porta N-E (La Spezeria e II Colombario) e in un gruppo di tombe a camera, alcune delle quali con stucchi del Il sec. d. C., nella Valle delle Vignacce. Due mausolei del primo periodo imperiale furono scavati e distrutti quando fu allargato il cimitero di Isola Farnese.
In età romana l'ager Veientanus fu intensamente colonizzato, e resti di piccole fattorie e ville sono comuni in tutta l'area. Piccole fattorie repubblicane, che usavano ceramica a vernice nera, sono molto numerose, e in alcuni posti (per esempio intorno a Grotta Rossa o sulle alture a N-O di Prima Porta), così strettamente e uniformemente intervallate da sembrare il prodotto di un organizzato schema di divisione dei terreni. In età imperiale è chiara e spiccata la tendenza delle unità individuali ad ingrandirsi, mentre le costruzioni parallelamente diventano più lussuose (come testimoniano i resti di complessi termali, l'uso di marmi importati, di tessere di pasta vitrea e di statuaria decorativa), benché poche se non nessuna di esse raggiungessero la vastità e la ricchezza delle grandi ville a S e ad E di Roma. Lo sviluppo della vita nella campagna era parallelo al costante movimento dalla vecchia città verso i nuovi agglomerati che erano cresciuti lungo le vie Cassia, Clodia e Flaminia. Erano sorte infatti Careiae (presso Galeria), Ad Nonas (La Storta), Baccanae (presso Campagnano), e Ad Gallinas Albas (Prima Porta). Questi agglomerati lungo la strada, di natura strettamente pratica, e che hanno lasciato poche tracce, non sembra siano sopravvissuti alle invasioni barbariche; alcune delle grandi ville in campagna invece, rimasero costantemente occupate, in maniera tradizionale, fino all'VIII sec. d. C. circa, quando Adriano I fondò la Domusculta Capracorum, a S. Cornelia, 2 km a N-E di Veio. La distruzione finale e la scomparsa del quadro di vita classico sono segnate dalla fondazione (circa nel 1004), della fortezza e del villaggio di Isola Farnese (Castrum Insulae), sul promontorio roccioso più a S dell'abbandonato luogo di Veio.
Bibl.: In generale: W. Gsell, in Mem. Inst., I, 1832, pp. 3-29; id., Topography of Rome and its Vicinity, Londra 1846, pp. 303-340; G. Dennis, Cities and Cemeteries of Etruria, Londra 1848, II, pp. 4-14; L. Canina, Descr. dell'Antica Città di Veii, Roma 1847; J. B. Ward-Perkins, Veii; the historical Topography of the Ancient City, in Papers Brit. School Rome, XXIX, 1961, pp. 1-123 (con bibliografia precedente).
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