VARIO RUFO (L. Varius Rufus)
Poeta dell'età augustea, un poco più anziano di Virgilio e di Orazio. Fece i suoi studî, insieme con questi e con altri giovani destinati a illustrare quel periodo storico, nella scuola epicurea di Napoli, dov'erano celebri maestri greci, come Filodemo e Sirone. Fu molto legato a Mecenate, presso il quale egli stesso introduceva per la prima volta Orazio, nel 38 a. C., come ci è appreso da una notissima satira del Venosino (la 5ª del Libro I). Visse in speciale familiarità con Virgilio; e quando questi morì, da Augusto gli veniva affidato il compito di pubblicare postuma l'Eneide; inoltre componeva un'apposita trattazione sulla vita e sui costumi del grande poeta defunto.
Dei suoi scritti non abbiamo che scarsissimi frammenti. Durante la giovinezza di Virgilio e di Orazio, era egli celebrato come il poeta epico per eccellenza. Un suo poema De morte, ricordato nelle Bucoliche virgiliane, fu scritto intorno al 40 a. C. sotto l'impressione delle guerre civili; probabilmente con spirito epicureo e lucreziano mirava a vincere negli animi il terrore della morte (e conteneva anche parole di sarcasmo e di avversione politica contro il triumviro Antonio, suggerite dalle Filippiche ciceroniane).
Per le celebrazioni del 29 a. C., in occasione del ritorno di Ottaviano dalle vittorie di Azio e d'Oriente, a lui fu dato incarico di comporre una tragedia: scrisse il Tieste, ch'ebbe splendido successo, e ricevette lauto conpenso dal principe. In onore del quale componeva anche un carme, ricordato col titolo di Panegirico d'Augusto.
Bibl.: I frammenti in Fragmenta poetarum Latinorum, a cura di W. Morel, Lipsia 1927. Vedansi: A. Weichert, De L. V. vita et carminibus, Grimma 1836; Schanz-Hosius, Geschichte der römischen Literatur, II, Monaco 1935, pp. 162-64; A. Rostagni, Arte poetica di Orazio, Torino 1930, pp. xxx-xxxi; id., Virgilio minore, Torino 1933, passim.