Variazioni climatiche
Le ricerche sulle v. c. vengono sistematicamente raccolte dall'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), che è stato costituito sin dal 1988 da due agenzie dell'ONU, ossia la WMO (World Meteorological Organization) e l'UNEP (United Nations Environment Programme).
L'IPCC riprende le ricerche sul clima effettuate in ogni parte del globo dai ricercatori dei singoli Paesi ed elabora dei documenti-guida, principalmente con la finalità di offrire un'indicazione alle autorità politiche nazionali e sovranazionali per indirizzarle verso quelle attività economiche e industriali che abbiano un impatto ridotto sui processi di continua evoluzione climatica. Al termine di ogni nuova raccolta d'informazioni vengono stilati rapporti il cui scopo è quello di orientare le strategie di tutti i Paesi allo scopo di affrontare i cambiamenti climatici per cercare di mitigarne le conseguenze soprattutto in quelli più poveri, i più vulnerabili rispetto agli eventi meteorologici che sono indotti dalle variazioni climatiche.
L'IPCC è suddiviso in quattro sottogruppi specialistici e produce regolarmente i rapporti scientifici, tecnici e socioeconomici volti alla comprensione delle modalità con le quali avvengono i cambiamenti climatici, le loro potenziali conseguenze e le possibili indicazioni per un adattamento e una riduzione degli effetti sull'ambiente. Il primo sottogruppo indaga gli aspetti scientifici del sistema climatico e le origini dei cambiamenti del clima, nel tentativo di distinguere i cambiamenti naturali da quelli dovuti alle attività umane. Il secondo valuta la sensibilità e la vulnerabilità, sia dei sistemi naturali sia di quelli umani socioeconomici, in rapporto alle variazioni climatiche. Il terzo sottogruppo studia le possibili azioni dirette alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra quale meccanismo di limitazione e contenimento dei cambiamenti del clima. Il quarto sottogruppo, poi, The task force on national greenhouse gas inventories, raccoglie le informazioni per la compilazione di un catalogo di quei gas che, una volta liberati nell'atmosfera, ne aumentano l'effetto serra. L'IPCC ha realizzato, nel corso del 2007, il suo quarto rapporto.
In una semplificazione del clima e delle sue variazioni, un modello termodinamico efficace a scala globale vede il bilancio energetico della Terra attraverso il flusso dell'energia radiante. Il bilancio è la somma algebrica della radiazione entrante, principalmente di origine solare, e di quella uscente verso lo spazio siderale, emessa sia per riflessione di quella solare, sia per effetto termico come radiazione di corpo nero. Il risultato di un modello di questo tipo è la temperatura termodinamica di equilibrio dell'atmosfera quale si ricava dall'insieme delle osservazioni meteorologiche. Le variazioni percentuali e assolute della concentrazione atmosferica di gas a effetto serra, degli aerosol, della radiazione solare e delle proprietà della superficie terrestre alterano l'equilibrio termodinamico su cui poggia il sistema climatico. Le concentrazioni atmosferiche di anidride carbonica (CO2), metano (CH4) e diossido di azoto (NO2), aumentate per effetto delle attività umane sin dall'inizio dell'era industriale, oggi hanno raggiunto valori molto superiori a quelli dell'età preindustriale, misurati attraverso l'analisi dei paleoghiacci antartici e della Groenlandia. La concentrazione di CO2 è passata da un valore della fase preindustriale di circa 280 ppm (parti per milione) a 379 ppm nel 2005. L'intervallo di variabilità storico di questa concentrazione, ricavato dai paleoghiacci, va da 170 a 300 ppm durante 650.000 anni. La crescita annuale dell'anidride carbonica durante il decennio 1995-2005 è stata di 1,9 ppm/anno, superiore alla crescita media osservata dall'inizio delle misurazioni della CO2. Dal 1960 al 2005 la crescita media è stata di 1,4 ppm all'anno. L'aumento è dovuto principalmente all'uso di combustibili fossili e, in misura minore, alla riduzione delle foreste che assorbono la CO2 atmosferica. L'emissione totale di CO2 è passata da 23,5±1,5 Gt/anno negli anni Novanta del 20° sec., a 26,4±1,1 nel 2005. Il metano atmosferico ha avuto anch'esso un fortissimo incremento per effetto delle attività umane principalmente agricole e zootecniche, raggiungendo nel 2005 una concentrazione di 1732 ppb (parti per miliardo) a fronte di un intervallo da 320 a 790 ppb lungo i 650.000 anni di rilevazioni dedotte dai paleoghiacci polari.
Il rapporto 2007 dell'IPCC attribuisce, quale causa principale della crescita della temperatura dell'atmosfera per effetto della diminuzione della radiazione emessa dalla Terra verso lo spazio, un'altissima probabilità all'aumento di concentrazione dei gas a effetto serra. Si ritiene che la combinazione dei diversi gas dia un contributo radiativo al riscaldamento terrestre di 2,3±0,23 W/m2, superiore a quanto stimato per gli ultimi 10.000 anni. L'aumento dovuto all'anidride carbonica è stato di circa il 20% dal 1995 al 2005, ed è stato il maggiore per un singolo decennio negli ultimi 200 anni. La v. c. in atto presenta un inequivocabile riscaldamento, che diviene sempre più evidente dalle osservazioni di un aumento della temperatura dell'atmosfera e delle temperature rilevate alla superficie degli oceani, da un generalizzato fenomeno di fusione di ghiacci e nevi perenni e dalla elevazione del livello dei mari.
Dei dodici anni compresi tra il 1995 e il 2006, undici appartengono alla serie dei dodici anni più caldi dal 1850, momento che segna l'inizio delle misurazioni strumentali della temperatura dell'aria. La rapidità dell'aumento della temperatura nella seconda metà del secolo scorso è raddoppiata rispetto alla prima metà dello stesso. Il temuto effetto delle isole di calore urbane sembra avere un risultato trascurabile sul riscaldamento globale (nella misura di soli sei millesimi di grado centigrado sulla terraferma e di contributo nullo sugli oceani). L'aumento di vapor acqueo in atmosfera è compatibile con l'accresciuta capacità di contenimento per effetto dell'innalzamento della temperatura dell'aria. Ghiacciai e nevi perenni sono in diminuzione in entrambi gli emisferi e si ritiene che siano responsabili dell'aumento del livello dei mari nel periodo 1993-2003. Il livello globale degli oceani è aumentato di 1,8±0,5 mm annui dal 1961 al 2003; ma dal 1993 al 2003 l'altezza dei mari è cresciuta di ben 3,1±0,7 mm all'anno. Si stima che il processo di innalzamento sia iniziato nel 19° sec. e che la media dell'aumento nel 20° sia stata di 0,17 metri. I nuovi e più recenti valori sono stati ricavati dalle osservazioni dei satelliti geofisici. Si sono osservati numerosi cambiamenti anche di lungo termine nel clima di aree continentali, regionali, e intorno a bacini quali il Mediterraneo: tra questi, la riduzione dell'estensione della calotta polare artica, la differente distribuzione delle piogge in quantità e tipo, la variazione nella circolazione dei venti, l'intervento di periodi aridi ed eventi alluvionali con sempre maggiore frequenza.
Per cercare di distinguere la componente antropica delle v. c. da quella propria naturale, l'IPCC, nel suo quarto rapporto del 2007, ha esaminato anche ricerche paleoclimatiche. L'informazione paleoclimatica conferma l'ipotesi che il riscaldamento osservato nella seconda metà del secolo scorso sia anomalo in rapporto agli ultimi 1300 anni. L'ultima volta che le regioni polari ebbero una temperatura superiore a quella attuale risale a circa 125.000 anni fa, ossia in un'epoca interglaciale, particolarmente diversa dalla presente, in cui il livello dei mari era da 4 a 6 m al disopra dell'attuale e l'orbita terrestre risultava lievemente differente. La conclusione del quarto rapporto dell'IPCC pone molta attenzione al fatto che la responsabilità dell'accelerazione delle v. c. in corso sia attribuibile, con grande probabilità, alle attività umane di variazione del bilancio termodinamico terrestre, nel senso di un aumento della radiazione trattenuta dal pianeta. Le raccomandazioni dirette alle autorità politiche convergono sulla necessità di ridurre l'impatto delle attività sul clima.
La vulnerabilità dei sistemi, naturali e umani
Le nuove conoscenze acquisite consentono di valutare alcune delle conseguenze delle v. c. sugli ecosistemi naturali e sulle attività umane. L'innalzamento della temperatura potrà essere seguito da diversi effetti, tra cui gli aumenti della superficie dei laghi di origine glaciale, dell'instabilità dei suoli soggetti al permafrost, della frequenza delle valanghe.
Nelle regioni polari artiche e antartiche le variazioni di temperatura e di superficie gelata cambieranno gli ecosistemi con conseguenze che certamente modificheranno i biomi (ossia i complessi viventi in rapporto alle condizioni ambientali) nella zona di transizione acqua-ghiaccio, mettendo a rischio i superpredatori della catena alimentare, quali, per es., gli orsi polari e le orche. La variazione della temperatura porterà una differente distribuzione delle precipitazioni per localizzazione, intensità e quantità. Nell'agricoltura, in particolare in quella avanzata in cui i prodotti dipendono dall'irrigazione, si potrà avvertire la necessità di reperire in altri luoghi le risorse idriche, divenute scarse in assoluto o comunque distribuite diversamente nel corso delle stagioni. Nei Paesi poveri, poi, l'agricoltura potrebbe subire conseguenze disastrose, allorquando le attese piogge stagionali non si presentino, o si presentino in forme violente e inutilizzabili. L'aumento del livello dei mari inciderà direttamente sugli insediamenti e indirettamente sulle falde acquifere costiere in relazione all'effetto della penetrazione salina, che aumenterà in corrispondenza.
bibliografia
IPCC, Fourth assessment report "Climate change 2007", Genève 2007.