VALTELLINA (A. T., 17-18-19 e 24-25-26)
L'alta valle dell'Adda, dalle sorgenti allo sbocco sul Lago di Como. La Valtellina corrisponde a uno dei solchi longitudinali più cospicui dell'intero arco alpino, chiusa com'è tra il cimale orobico a S. è quello retico a N., e perciò al limite tra la linea di massima culminazione della falda mediana cristallino-gneissica e quella prealpina meso-cenozoica che la fronteggia in tutta la sua lunghezza a E. del Lario. Verso settentrione un'elevata chiostra di rilievi - dal P. Badile (m. 3307) all'Ortles (m. 3899), attraverso la Cima di Castello (m. 3993), il P. Tremoggia (m. 3438), il Bernina (m. 4050), il P. Palù (m. 3912), il P. d'Arlas (m. 3367), il P. Lagalb (m. 2962), il Corno di Campo (m. 3302), il P. Zembrasca (m. 3095), il Foscagno (m. 3058), il D. Resaccio (m. 2719), le Cime di Plator (m. 2944) lo Sciumbraida (m. 3124), il P. Umbrail (m. 3031), il Giogo dello Stelvio (m. 2757), il Livrio (m. 3174), e il Madaccio (m. 3432) - separa la Valtellina dalla Bregaglia (Mera), dall'Engadina e dalle valli che a questa confluiscono. Verso oriente il distacco dai finitimi bacini dell'Adige e dell'Oglio è pure segnato da un potente bastione montuoso, che per lo Zebrù (m. 3839), il Cevedale (m. 3778), il Vioz (m. 3644), il Corno dei Tre Signori (m. 3359), il P. di Pietra Rossa (m. 3278), adduce al Colle dell'Aprica. Meno elevato, se pur non di molto, il diaframma delle Orobie, che fra Torena (m. 2911) e Legnone (m. 2610) guardano a S. verso la Camonica, la Seriana e la Brembana. Presso lo sbocco nel Lario, invece, la separazione dal minore bacino del Mera (considerato talora, ma a torto, affluente dell'Adda), sebbene contrassegnata dai gruppi del Ligoncio (m. 3033) e dello Spluga (m. 2845), è in realtà annullata dalle facili comunicazioni lungo i piani alluvionali dei due fiumi che qui si confondono, sì che nell'uso Chiavennese e Valtellina vengono a formare talora un'unica regione e come tali si trovano riunite nella circoscrizione amministrativa della provincia di Sondrio. Giova però ricordare che questa non comprende l'intera Valtellina così com'è delimitata dalle displuviali di cui s'è fatto cenno, rientrando la maggior parte (235 kmq.) della Valle Poschiavina - una delle più importanti fra quelle che affluiscono sulla destra dell'Adda - nel cantone svizzero dei Grigioni. E così, mentre nei suoi confini fisici la Valtellina misura in cifra tonda 2640 kmq., la parte chiusa entro le frontiere del regno ne ha solo 2400. La valle che tra Bormio e Tresenda mantiene una direzione all'incirca da NE. a SO., volge, da Tresenda a Colico, quasi esattamente da E. a O., continuando, com'è chiaro, il solco tettonico ove scorrono, oltre l'Aprica, il Fiumicello (Val di Corteno), l'Oglio e l'alto Noce (Val di Sole). Il solco, data la facilità dei valichi (quello dell'Aprica ad appena 1881 m.; quello del Tonale a 1883 m.), serve bene alle comunicazioni fra le alte valli dell'Adda e dell'oglio, e fra queste e la finitima valle dell'Adige, mentre la direzione del tratto a monte di Tresenda, trasversale all'asse dell'arco alpino, e che mette capo a un altro passaggio (lo Stelvio, 2759 m.), era destinata a favorire i rapporti fra la pianura lombarda e le regioni dell'Europa centrale (Engadina) e orientale (valle dell'Adige e della Drava). Verso l'Engadina poi, un'altra via relativamente agevole è segnata, meglio che dall'elevato passo del Muretto (2560 m.), alla testata della Val Malenco, dalla larga depressione del Bernina (m. 2330), cui si accede attraverso il corridoio, perpendicolare all'Adda, della Val di Poschiavo, oggi seguito dalla ferrovia congiungente Tirano a S. Moritz. Nessuna grande via di comunicazione attraversa invece il bastione orobico, dove pure sono numerosi i passi (S. Marco, 1985 m.; Dordona, 2080 m.; Venina, 2433 m. verso la Val Brembana; del Diavolo, 2604 m., verso la Val Seriana; di Belviso, 2631 m., verso la Val di Scalve e la Camonica), evidentemente per la maggior convenienza che i grossi centri padani (Bergamo, Brescia, Cremona) avevano e hanno di gravitare sulle due docce laterali del Lario e della Camonica inferiore.
Come tutte le grandi valli longitudinali alpine, e in rapporto con la facile erodibilità della massa scistoso-micacea in cui venne scavata, la Valtellina presenta versanti assai svasati, largo (fin oltre 2 km.) fondo vallivo, e fianchi a dolce pendio, almeno in tutta la sua parte inferiore e media (tradizionalmente fatte terminare la prima a Sondrio, la seconda a Tirano), mentre a monte di Mazzo presenta più netto il suo carattere glaciale, restringendosi in gole rocciose che si continuano fino all'ampia conca di Bormio. Oltre Bormio, la valle torna a chiudersi fra spalle ripidissime, si fa triste e selvaggia, senza bosco né prati, e tale si mantiene nelle due grandi diramazioni - la Val Fraele che sale all'Alpesella, dove sono le scaturigini dell'Adda, e la Val di Braulio che adduce al giogo dello Stelvio - con cui circonda il gruppo Casina-Sciumbraida. Caratteristiche, nella bassa valle, la frequenza e l'imponenza dei coni di deiezione che i torrenti laterali hanno trascinato al loro sfocio nell'Adda, di cui vengono colmando e innalzando il letto, e gli ampî terrazzi fluvio-glaciali che la fiancheggiano, preferiti dalle colture e dagl'insediamenti, mentre la doccia entro cui scorre il fiume è spesso occupata dal ghiaieto ricoperto di cedui. A valle di Sondrio gl'impaludamenti parziali del fondo hanno deteminato la necessità di una bonifica che comprende 850 ha., fra gli sbocchi dei torrenti Finale e Masino. Dei molti tributarî che finiscono all'Adda, i più importanti gli vengono dall'arco alpino: il Frodolfo (Valfurva) a Bormio, il Roasco (Val Grosina) a Grosotto, il Poschiavino a Tirano, il Mallero (Val Malenco) a Sondrio, il Masino presso Ardenno, ecc., alimentati tutti da numerose riserve lacustri (specialmente il Poschiavino e il Roasco, di origine per lo più glaciale), ma a profilo ancora non sistemato, con acque spesso impetuose e causa di frequenti alluvioni. Molto più brevi (salvo il Bitto che mette foce presso Morbegno) i torrenti che calano dalle Orobie, nei quali è tipica la soglia (300-400 m.) con cui le loro valli terminano, sospese, nel trogolo glaciale della valle maggiore.
Il contrasto fra i due versanti, del resto, oltre che nella morfologia, è ben riconoscibile nella flora spontanea e nelle colture, in rapporto essenzialmente con la diversa esposizione dei pendii. Mentre fra Tirano e Colico le viti si spingono sul lato settentrionale, tutto a solatio, ben sopra gli 800 m., in mezzo a una vegetazione di tipo collinare che s'impianta agevolmente sulle larghe conoidi torrentizie e gli ampî terrazzi fluvio-glaciali, sul fianco opposto, a bacìo, la vite manca del tutto, le colture cominciano solo verso i 700 m., subito con aspetto nettamente alpino e con prevalenza assoluta del bosco ceduo e del castagno, che cessa di regola verso i 1000 m. Naturalmente il contrasto si riflette con pari evidenza nella distribuzione degl'insediamenti, nella densità e nella popolazione media dei centri, com'è facile dedurre anche dal semplice esame di una carta topografica.
Poche e ristrette sono le zone pianeggianti e tutte lungo il fondo valle (Sondrio, Tresenda, Chiuro, Bormio, oltre il settore che scende da Morbegno al Lago), il cui punto più basso, nel piano di Delebio, è alla quota di 200 m. Inoltre, poco meno della metà della superficie territoriale è occupata da aree improduttive (dal 18,3% nella bassa Valtellina al 47,7% nel Bormiese) e da incolti produttivi, sì che rimane in media all'incirca 1/3 di superficie agraria (da 46,5% nella bassa Valtellina al 20,4% nella zona fra Albosaggia e Buglio) e appena un 10,2% di superficie lavorabile (da un massimo di 16% nella bassa ad un minimo di 5,4% nell'alta Valtellina). I boschi (compreso un 7% di castagneti da frutto) occupano all'incirca 1/5 del territorio e 1/4 i pascoli permanenti. L'economia della regione ha quindi carattere prevalentemente silvo-pastorale, con allevamento di bestiame e produzione di latte. La popolazione rurale rappresenta il 62% della complessiva (cens. 1931). L'appoderamento fondiario contrappone le grandi unità delle zone a economia silvo-pastorale al minutissimo parcellamento di quelle a economia agraria, in cui dominano nettamente le piccole aziende (inferiori a 10 ha.) e la conduzione diretta. Delle colture cerealicole la segale e il mais sono le più diffuse, pur non bastando al consumo interno; di quelle legnose la quasi totalità è rappresentata dalle viti. L'allevamento è diretto soprattutto ai bovini (dei quali la Valtellina possiede un'ottima razza alpino-grigia) e agli ovini; dei primi si esportano annualmente 10-12 mila capi da carne, e si trasformano, in circa 130 latterie, 400 quintali di latte, con produzione di buon formaggio (circa 25 mila quintali), di burro (10 mila q.) e di ricotta (11 mila q.). In declino è invece la bachicoltura, una volta assai fiorente.
Poche le industrie (stabilimenti metallurgici e segherie a Morbegno, cotonifici a Sondrio, elettrochimica ad Ardegno, Masino, ecc.), che assorbono appena il 7,2% della popolazione totale. Cospicuo però il complesso degl'impianti elettrici (Morbegno, Brusio, Grosotto, Sondrio, Bormio, Venina, ecc.) ottenuti dalle numerose alte conche alpine, alimentate dalle acque dei ghiacciai, impianti che riforniscono oggi una cospicua parte dell'industria lombarda.
La popolazione ammontava nel 1931 a 112.757 ab., con una densità, quindi, di , appena 42 ab. per kmq.; ma i valori oscillano molto da zona a zona (da 8 ab. per kmq., in Val Masino e in Valfurva, a 530 nel comune di Sondrio e 432 in quello di Morbegno), salendo naturalmente di molto se riferiti alle superficie lavorabili (fino a 1330 ab. per kmq. nel comune di Sondrio). L'ultimo cinquantennio ha veduto, nel complesso della valle, un leggiero aumento di popolazione (20,2%) in totale, ma, mentre fino al 1911 tale sviluppo s'era compiuto con un ritmo apprezzabile, esso è andato riducendosi molto nell'ultimo ventennio. L'emigrazione, che nella provincia di Sondrio toccò il 44,4% della popolazione residente durante il triennio 1910-12, segnava ancora il 24,8% in quello 1928-30.
La popolazione vive per il 71%, agglomerata in centri, dei quali però uno solo, il capoluogo di provincia, superava nel 1931 i 5 mila abitanti.
Oltre alle comunicazioni ferroviarie (Milano-Lecco-Colico-Sondrio-Tirano, e di qui per il Bernina a S. Moritz), la Valtellina gode di ottimi servizî automobilistici, che vi hanno favorito, negli ultimi anni, un intenso traffico di turisti, diretti, oltre che al settore a monte di Sondrio, giustamente celebrato come una regione di crescente interesse alpinistico, alle non meno famose valli laterali.
Bibl.: Guida alla Valtellina, Milano 1873; E. Brusoni, Guida ciclo-alpina-itineraria-descrittiva della Valtellina, ecc., sondrio 1906; A. Corti e G. Laeng, Le Alpi di Val Grosina, Brescia 1909; E. Bassi, La Valtellina: guida artistica illustrata, Sondrio 1924; Catasto agrario 1929, fasc. 18: Prov. di Sondrio, Roma 1935.
Vini di Valtellina. - La Valtellina è una delle plaghe più rinomate fra quante producono vini tipici in Italia. Le località migliori dal punto di vista enologico si trovano sulla destra dell'Adda, nei comuni di Sondrio (località Sassella), di Montagna (località Grumello), di Pendolasco (località Inferno). I vitigni che dànno i vini tipici valtellinesi sono pochi: il principale è la Chiavennasca che, se non identico, è certo molto simile al nebbiolo piemontese, che produce il barolo, il barbaresco, ecc.; altri vitigni abbastanza coltivati sono la Brugnola, la Pignola, la Rossola. La vendemmia si fa sempre molto tardi. I vini superiori vengono invecchiati in botte per circa 3 anni, e continuano a perfezionarsi in bottiglia. I tipi migliori e più rinomati sono: il Sassella, di colore rosso rubino vivo, di profumo delicato e persistente, di sapore aspretto da giovane, ma poi armonico, specialmente dopo un invecchiamento piuttosto lungo. L'Inferno è di colore più intenso ma meno vivo, meno acido, meno alcoolico, più morbido, di più pronta maturazione. Il Grumello è di profumo e sapore delicato, un po' più alcoolico del precedente. La composizione media di questi vini è di 12 a 13% d'alcool; 7 a 8,5‰ d'acidità totale; 25-27‰ d'estratto. Questi vini sono molto ricercati e apprezzati in Svizzera, specialmente nel Cantone dei Grigioni.
Arte.
Il patrimonio artistico della Valtellina, adunato in secoli di grande travaglio politico, economico e religioso, per voti e offerte di popolo e di valligiani emigrati in lontane città, raramente di ricche famiglie e congregazioni, è ingente, ma poco noto.
Scarse vi sono le reliquie preromane e romane, più propriamente documenti storici che d'arte; del tardo Medioevo si hanno ruderi di castelli, di torri, dell'Abbazia cluniacense di S. Pietro di Vallate (fondata nel 1078), il quasi coevo tempietto di S. Fedelino (Novate), la vasca battesimale (1056) con la preziosissima "Pace aurea" (sec. XII) e il grande calice (sec. XV) di Chiavenna, qualche superstite campanile fasciato di archetti pensili.
Del sec. XV, in chiese e casolari, affreschi, per lo più frammentarî, testimoniano l'attività di oscuri, tardi imitatori dell'arte fiorente in lontani centri.
Opere d'importazione: ancone di G. P. Malacrida da Como in Mazzo (1489); di Andrea de Passeris da Torno in Grosio (1494); di Jvo Steigel da Memingen (Ulma) a S. Croce di Val Bregaglia (1499); altre d'ignoti artisti d'oltralpe a Premadio, Cepina, S. Nicolò Valfurva, preludono a correnti artistiche che, nel sec. XVI, affluiranno però solo dalla Lombardia, ancorché la Valtellina ne sia stata avulsa (1513) dal dominio grigione.
Nel sec. XVI, a opera di artisti lombardi, cospicue fabbriche sorgono e si adornano: i santuarî di Tirano, di Morbegno (Assunta e S. Antonio), di Ponte (Madonna di Campagna); più tardi di Grosotto; i palazzi Besta di Teglio, Vertemate Franchi di Piuro, ecc.
Il De Passeris affresca nell'abside della Madonna della Sassella (1511) e a Sacco (1514); Sigismondo de Magistris da Como dipinge a Montagna (1514), a S. Giovanni di Bioggio (1522) e ad Albosaggia (1523); Simone Baschenis da Averara opera a Sacco e Pedesina (1528); Fermo Stella da Caravaggio nel Battistero di Mazzo (1527), in S. Lorenzo di Teglio (1528); quivi forse istoriò con scene tratte dall'Eneide il cortile del palazzo Besta, ove Aragonus Aragonius da Brescia adorna una sala (1581); da ultimo ai cremonesi fratelli Campi sono attribuiti gli affreschi del palazzo Vertemate Franchi di Piuro (dopo il 1577). Di Bernardino Luini l'arcipretura di Ponte vanta una squisita lunetta (1520?). A Morbegno G. Ferrari dipinse la lunetta di S. Antonio e le disperse ante dell'organo dell'Assunta, dove, dal 1515 al 1526, con F. Stella e con G. del Majno, intagliatore pavese, attese alla mirabile ancona, di fattura simile a quella di Ardenno (1540). Il Ferrari dipinse anche la ruinata vòlta di Traona, lodata dal Lomazzo, e, con ogni probabilità, anche la pala della Sassella (1534).
Pochi e poco noti i pittori locali: fra essi emerge Cipriano Valorsa da Grosio per la feconda produzione che riflette la grazia luinesca e la vivacità coloristica del Ferrari: trittici di Buglio e di Stazzona; affreschi di Sondrio (1536 e 1592), Chiuro (1563 e 1591), Bianzone (1558), Mazzo (1540, 1541 e 1564), Vione (1580), Grosotto (tavola, 1549), Grosio (1566), Somtiolo (1584), S. Bartolomeo di Morignone, Bormio, Teregua (1546), ecc.; nonché a Pelizzano (Val di Sole, 1571); gli si può degnamente attribuire il delicato polittico di Sazzo.
Agli architetti e scultori Rodari da Maroggia si devono i bei marmi di Ponte (di Iacopo, post 1498); i due portali di Mazzo (di Bernardino, 1508); quelli dell'Assunta e di S. Antonio di Morbegno (di Tomaso, 1517); il santuario di Tirano, pure di Tomaso, con Alessandro Scala da Carona e altri (1505-1539).
Nell'intaglio eccellono: Aloisius de Donatis (due ancone a Caspano, 1508); Vincenzo da Brescia (ancona a Caiolo, 1539); Pietro Brasca da Como (coro di Chiuro, 1527, e di Ponte). Delle caratteristiche "stufe" di questo secolo, emigrate le migliori oltralpe, non restano in Valtellina che i mirabili intagli del palazzo Vertemate Franchi di Piuro, le "stufe" Peverelli e Pestalozzi di Chiavenna, Sassi de Lavizzari e Ripamonti di Sondrio, Paribelli di Albosaggia, Guicciardi di Ponte (1570), i lacunari del palazzo Besta di Teglio, ecc. Unico, ma superbo esemplare di fusione in bronzo, il grande ciborio di Ponte, d'Innocenzo e Francesco Guicciardi (1578).
Nel sec. XVII, ben scarsi e modesti i pittori locali; il solo Giacomo detto Gianolo Parravicini da Caspano (1660-1729) emerge per elegante disegno, composizione e colorito in tele e affreschi a Caspano, Traona, Sondrio, Ponte, Milano, Varese, Crema, Verona, Venezia.
Cosio possiede un'ottima tela, venuta da Napoli (1604), forse del Ribera, e il santuario di Gallivaggio una pala di P. C. Landriano, detto il Duchino (1606), nonché affreschi di D. Caresiano di Valle Intelvi (1605). Nella parrocchiale di Novate operarono G. Quaglia da Laino e G. P. Recchi (1643); P. Lanzano firma (1649) una pala in S. Giovanni di Morbegno e G. Nuvolone altra nella collegiata di Chiavenna (1657).
I bormini fratelli Alberti intagliarono ancone nel Trentino. G. Bulgarini da Brescia (dal 1608 al 1617) e G. B. Salmoiraghi, milanese (dal 1638 al 1650), scolpirono il superbo organo monumentale del santuario di Tirano. P. Ramus da Edolo scolpì l'ancona in quello di Grosotto (1677); G. Schmid da Lipsia compose e firmò il coro di Berbenno (1648); Dorigo Alberto Tedesco dipinse vetrate per Bormio.
Del sec. XVIII in Morbegno, sono di A. Kauffmann tre ritratti presso il conte Melzi, e nell'arcipretura una gustosa tela di G. B. Pittoni, e una di G. Petrini da Lugano, autore di altre due in Delebio, che vanta, mirabile gioiello, l'oratorio di S. Girolamo. G. P. Romegialli da Morbegno, quivi e nei dintorni, si afferma per virtuosità di scorci e di colorito.
Gian Pietro Ligari (1686-1752), il migliore artista valtellino di ogni tempo, si forma a Roma, sotto L. Baldi (1700-02), e a Venezia prima del 1709; dal 1711 opera a Milano; nel 1727 si trasferisce definitivamente a Sondrio. Fu a un tempo pittore e architetto e coltivò l'incisione, la musica e la meccanica.
Di lui restano opere egregie nella pinacoteca di Brera e nell'Ambrosiana, in chiese e palazzi di Albosaggia (1721-23), Andalo (prima del 1737), Ardenno (1747), Biolo (1726), Cedrasco (1742), Cepina (1733), Chiavenna (1738), Delebio (1722-29), Lanzada (1720), Morbegno (1724-26-27-33-34-9-47), Nigola (1729), Piateda (1739), Pendolasco (1723), S. Cristina (1744), Sondrio (1725-44-46-49-50, ecc.), Tresenda (1723), Teglio (1730-45), nonché in raccolte private in Valtellina, a Milano, Brescia e Roma; tutte dimostrano preparazione artistica profonda, in soggetti per lo più sacri, ispirati da vivo ascetismo.
Il comune di Sondrio ne possiede l'autoritratto, con il prezioso materiale dello studio Ligari, esistito fino al 1934 presso i discendenti.
Nel palazzo Salis di Coira, G. P. Ligari operò a fresco (1729-30 e 31), e vi spedì numerose tele; delle opere assolte per le chiese di S. Marco, S. Raffaele, S. Maria Segreta (1722) e per il marchese Lucini di Milano; per i conventi di S. Anna (1740), della Trinità e di S. Leonardo (1745) e per il duomo di Como, manca finora ogni traccia. Diede i disegni per la collegiata (1727), per gli altari (1733) e per il campanile (1733-1742) di Sondrio, solo in parte eseguiti, per altre fabbriche sacre e civili, e per importanti particolari architettonici.
Cesare Ligari (1716-1770), allievo del padre,. si perfezionò a Venezia (1736-39); dopo breve sosta a Milano, si stabilì a Sondrio, coltivando anche felici attitudini musicali; nel 1764 si trasferì a Como. Della sua produzione pittorica, di stile vivace e piacevole, spesso improntata al gusto tiepolesco, si ornarono chiese e palazzi in Albosaggia (1739), Arigna (1747), Chiesa Val Malenco (dal 1753 al 1759), Chiuro (1767), Cedrasco (1765), Gallivaggio (1740), Morbegno (1761), Montagna (1754), Polaggia (1748), Ponte (1749), Roncaglia (1756), Sacco (1748), Villa di Tirano (1749), e fecero tesoro molte raccolte private; operò anche, fuori di Valtellina, a Bolvedro (1769), Birago (1746), Castiglione d'Intelvi (1746), Como. (S. Leonardo e collegio Gallio, 1753), Coira, Milano, Domaso (1758), Torino (prima del 1746) e Turate (1749). Di tante opere, le più sono disperse. Vittoria Ligari (1713-83), anch'essa pittrice e fine musicista, fu assidua collaboratrice del padre e del fratello; sue tele firmate sono a Cepina e Lanzada (1756).
Di G. B. del Piaz da Trento (1683), che nel 1703 si stabilì a Lòvero, sono, nel santuario di Grosotto, la monumentale cantoria (1713); in quello di Tirano e nelle chiese di Lovero, Bormio, S. Nicolò Valfurva, altri mirabili intagli.
Chiavenna, Gordona, Morbegno, Ardenno, Torre S. Maria, Ponte, ecc., si gloriano di superbi stendardi, paliotti, paramenti e arredi di questo secolo, mentre i cancelli dell'ossario di Andalo eccellono per eleganza di disegno e perfezione tecnica su quelli tanto ammirati dell'ossario di Cepina, di G. Colturi (1737).
Nel secolo XIX esercitarono lodevolmente la pittura A. Ligari (1801-85), bisnipote di G. Pietro; A. Caimi (morto nel 1878), ambedue allievi di Brera; P. M. Rusconi (1785-1869), tutti da Sondrio; F. Carbonera da Vervio (1819-80), G. Gavazzeni da Talamona (1837-1907), dell'Accademia Carrara, distintissimo nel ritratto e nell'affresco.
Si hanno di Fr. Hayez un S. Ranieri (1833) nell'oratorio della terza cantoniera dello Stelvio, e di P. Lovarini, direttore dell'Accademia Carrara, una lodata tela a Livigno.
V. tavv. CXXIII e CXXIV.
Bibl.: G. F. Damiani, in Riv. archeol. com., 1896; S. Monti, Arte e storia, ecc., Como 1902; F. Malaguzzi-Valeri, Note d'arte valtellinese, in Rass. d'arte, VI (1906), pp. 124-37; L. Bonapiani, Ville e castelli, ecc., Milano 1907; P. Buzzetti, Arte ed artisti nel Contado di Chiavenna, in Rass. d'arte, X (1910), pp. 175-181; XI (1911), pp. 104-110; A. Giussani, in Riv. arch. com., 1910, 1919, 1922, 1926, 1929, 1931-33; C. Bassi, ibid., 1913, 1924, 1930; id., in Riv. ospitalità italiana (agosto-settembre 1934); G. Aurini, in Riv. archeol. com., 1921; P. Toesca, Storia dell'arte ital., I, Torino 1927; E. Bassi, La Valtellina, 5ª ed., Monza 1928; T. Urangia Tazzoli, La contea di Bormio, II, Bergamo 1933; M. Gnoli, Invent. oggetti d'arte d'Italia: Prov. di Sondrio (in corso di stampa).
Storia. - Sui primissimi abitatori non si hanno notizie attendibili: nell'età del bronzo alcune località erano abitate, come Arquino, Tola, Poschiavo, Tresenda, Albosaggia, Talamona, Delebio, e Colico; non dovevano essere del tutto ignoti i valichi del Bernina e di Fraele.
La toponomastica permette di riscontrare alcuni insediamenti liguri, cui forse si sovrapposero altre genti (Illirî? Umbri?), mentre è certa un'influenza, almeno culturale, etrusca, risalita dalla Pianura Padana. È invece escluso un legame diretto della Valtellina con i popoli retici, che giunsero solo al versante settentrionale delle Alpi; con i Reti ebbero i Valtellinesi affinità di razza e rapporti commerciali, ma non giuridici. Altre influenze, questa volta celtiche, ci rivela la toponomastica, e molto probabilmenie anch'esse venute dalla Pianura Padana; e forse a questa è dovuta l'organizzazione territoriale delle montaneae (i "monti" di Cosio, Talamona, Ardenno, ecc.), per cui si vennero anche formando le divisioni per valle o per sezione di valle, segnando i torrenti il confine: così si sarebbero venute precisando quelle circoscrizioni di populi, di cui abniamo qualche raro esempio nel bacino della Val del Mera (Bergalei, Clavennates) e della Bassa Valtellina (Aneuniates = Ologno): ogni valle o sezione di valle ebbe probabilmente il suo concilium e il suo oppidum o castellum.
Tardi giunsero i Romani: conquistata la pianura e parte del Lario, fino alla fine del sec. I a. C. non giunsero a porre stabilmente piede in Valtellina; può darsi che durante la seconda metà del sec. I a. C. i Valtellinesi avessero riconosciuto una specie di protettorato romano: ma scoppiata nel 23 a. C. la grande ribellione alpina, anche la Valtellina dovette prender partito contro Roma. Domata la Rezia, pure in Valtellina s'introdusse il sistema di fiscalizzazione generale di tutti i territorî, attribuiti territorialmente ai più vicini municipia, divenendo le terre tributarie e gli antichi possessori servi fiscali o lavoratori sottoposti a censo.
I territorî valtellinesi vennero, pertanto, uniti alla pertica di Como; le vecchie circoscrizioni continuarono a sussistere, ma ormai come pure circoscrizioni economiche, e non più politiche. La dominazione romana è, per la Valtellina, un ricordo di prosperità legata specialmente alla sistemazione delle vie di comunicazione, di cui due importantissime partivano da Chiavenna verso Curia Raethorum (Coira), la prima per Cuneus Aureus (v. spluga), e la Tumeliasca, l'altra per la Bregaglia e il Maloia e il Settimo: anche il valico del Muretto non era sconosciuto. Tardi vi s'introdusse il cristianesimo. Le pievi, tre nella valle del Mera (Muro, Chiavenna e Samolaco) e dieci nella Valle dell'Adda (Ologno, Ardenno, Berbenno, Sondrio, Tresivio, Teglio; Villa di Tirano, Poschiavo, Mazzo e Bormio) con molta probabilità ricalcano le antiche suddivisioni pagensi.
Durante il sec. IV per la via dello Spluga passarono alcuni degli eserciti inviati a fronteggiare i barbari rumoreggianti ai confini della Rezia: nel 354 Costante II, diretto contro gli Alamanni, e nel 383 Valentiniano; ma la traversata più celebre, in questo tempo, è quella di Stilicone, che in pieno inverno, nel 401, piombò con l'esercito dalla Rezia in Lombardia, passando per lo Spluga, contro Alarico. Nell'età gotica i confini d'Italia furono portati alle Alpi, e per opera di Teodorico sorse, forse, la chiusa a Muro (in Val Bregaglia) se non pure in altri luoghi; l'età bizantina vide una modificazione assai sensibile, territorialmente, con la formazione del limes incentrato nell'Isola Comacina (Crisopoli), cui furono annesse le contigue vallate del centro (lago di Como, Intelvi, Valsassina) e le valli del Mera e dell'Adda. La conquista dell'Isola Comacina per parte di Agilulfo non determinò, forse, l'occupazione totale del territorio: i valichi alpini e le vie di discesa verso il piano rimasero forse in mano non dei Bizantini, ma dei Franchi. La zona valtellinese sarebbe rimasta in questa incerta situazione fino al principio del sec. VIII, quando Liutprando avrebbe riallacciato questi territorî al regno longobardo. La conquista operata da Carlomagno portò anche qui ingerenze franche, con la donazione (775) al monastero di S. Dionigi presso Parigi di alcune pievi valtellinesi (Bormio, Poschiavo e Ologno?) che destò un aperto dissidio con il vescovo di Como: pare che lo stesso imperatore abbia, più tardi (dopo l'806?), limitato le interferenze dell'abate di S. Dionigi in Valtellina. A metà del sec. IX la Valtellina formava un beneficium in favore del conte Manfredo, forse il figlio del conte di Milano, e forse a questo periodo va fatta risalire la separazione della giurisdizione di Chiavenna da quella della restante Valtellina. La progressiva feudalizzazione degli uffici fece svolgere in Valtellina le figure particolari dei vicedomini, aventi giurisdizione territoriale ristretta all'ambito della pieve. Durante i torbidi dell'età italica, la Valtellina fu aggregata al ducato milanese di nuova creazione, seguendone le varie vicende fra i contendenti: ma si crearono alcune incrinature nella compagine fiscale: i redditi di Chiavenna furono ceduti al vescovo di Como (937), la corte di Masino fu donata a S. Pietro in Ciel d'oro di Pavia (943). Le più gravi, però, son legate alla politica di Ottone I, che nel 960 cedeva la Bregaglia al vescovo di Coira e creava, pare, la contea autonoma di Chiavenna (con l'intento di tenersi sgombre le vie del Settimo e dello Spluga), affidata a un conte Amizone: però su Chiavenna si appuntarono le mire del vescovo di Coira e di quello di Como, onde per due secoli si ebbe alternativa di concessioni ora all'uno ora all'altro. Un fatto saliente si ebbe nel 1004, allorché Enrico II donò al vescovo di Como la metà del viscontato di Valtellina, ciò che però non impediva all'impero di esercitare quei diritti di sovranità che gli erano riservati. Poco dopo (1026 circa) pare sia avvenuto uno scambio di beni fra l'abbazia di S. Dionigi e il vescovo di Coira, il quale così acquistò Poschiavo e Bormio, mentre nelle rimanenti pievi si affermano le signorie dei capitanei, quasi tutti rilevanti dal vescovo di Como (salvo quelli di Ardenno che paiono milanesi): in Bormio e Poschiavo si afferma l'avvocazia dei Venosta di Amazia per i vescovi di Coira, e ad Ologno il consortile dei vicedomini. Tale situazione si consolida verso la fine del sec. XI in seguito alla lotta fra i due vescovi comaschi Landolfo da Carcano e Guido Grimaldi, imperiale il primo e papale il secondo, e al sorgere del comune vicinale, di cui l'esempio più antico si ha per Chiavenna (1097; che formava un tutto con Piuro, nella proporzione di tre a uno, sia nella rappresentanza sia nei carichi: onde litigi infiniti durante il secolo seguente dibattuti a Milano o a Como, a seconda delle vicende politiche). Durante la guerra decennale fra Milano e Como (1118-27), la Valtellina servì a Como quale base di rifornimenti, onde fu corsa dai Milanesi nel 1126 fino a Berbenno. Di questi turbamenti si giovò Eginone Venosta, che, occupata la pieve di Mazzo, mirò a fondare un proprio dominio sull'alta Valtellina, da Tirano a Bormio, ma poco dopo era costretto a retrocedere la pieve di Villa al vescovo di Como (1150), che gli riconosceva i diritti di capitaneato di pieve (già dei Misento) su Mazzo. La distruzione di Milano (1162) aumentò il potere dei visdomini, liberi da ogni interferenza nella bassa Valtellina; ma declinato l'astro federiciano dopo Legnano, Milano riprese le sue posizioni, mentre Bormio s'agitava contro i Venosta e il vescovo di Coira tentava invano di porre saldo piede in Piuro e forse in Chiavenna. Più gravi gli avvenimenti verso il 1190, quando Bormio diede a divedere sentimenti di ribellione contro il vescovo di Como, che vennero rintuzzati con una spedizione militare nel 1201: la pace, peraltro, fu turbata da frequenti defezioni di Bormio, sobillata e sostenuta dai Venosta. Comunque, per tutta la prima metà del sec. XIII, il predominio di Como sulla Valtellina non ebbe sensibili scosse, cosicché qui si ebbero a sentire abbastanza intensi i contraccolpi delle lotte fra guelfi e ghibellini combattutesi fra i Vitani e i Rusca. Franchino Rusca, signore di Como, nel 1335 cedeva la sua signoria ad Azzone Visconti, che facilmente occupò tutta la Valtellina, mentre con Bormio venne a patti, come fece con Poschiavo: e si ebbe in prosieguo di tempo una riforma amministrativa della valle, sottoposta a un podestà direttamente dipendente dai signori di Milano, scomparendo, con ciò, i varî podestà locali e venendo suddivisa la valle in tre terzieri. L'equivoca posizione di Bornno portò ad atti di ostilità fra i Visconti e il comune (1346); ma di lì a poco dovette chinare il capo di fronte ai signori di Milano, mantenendo, però, separata la propria giurisdizione da quella della restante Valtellina. Nel 1370, tutta la valle si sollevava contro la signoria viscontea, sotto la guida di Tebaldo Capitanei di Sondrio, ma già l'anno seguente buona parte delle terre era tornata all'obbedienza, e nel 1373 la pace ritornava completamente in seguito a trattative e a una larga amnistia: da questa pace furono esclusi Chiavenna, Bormio e Sondalo, la prima passata all'obbedienza del pontefice, e tornata solo nel 1376 ai Visconti, Bormio ritornata ai Venosta e rioccupata armata manu nel 1377, quando ritornavano all'obbedienza Sondalo e Poschiavo. Salvo qualche lieve incidente, la tranquillità permase per tutto il regime di Gian Galeazzo Visconti: alla sua morte per breve tempo fu signore Franchino Rusca, ma a parare il colpo la reggenza infeudò Chiavenna ai Balbiani (1403), e tre anni dopo, malgrado la donazione al vescovo di Coira fatta da Mastino Visconti (figlio di Bernabò) di tutte le valli valtellinesi - e che doveva naturalmente restare per il momento senza effetto - Poschiavo veniva infeudata ai Malacrida; quest' ultima, peraltro, si dava nel 409 al vescovo di Coira. Ben presto però tornò la pace, quando Filippo Maria iniziò la sua politica di ricostruzione del ducato e un tentativo veneziano di impadronirsi della Valtellina fu sanguinosamente infranto (1431). Sotto gli Sforza, la valle fu interamente sottratta alla dipendenza amministrativa di Como, venendo a dipendere direttamente dalla Camera ducale: e per questa via si rese possibile l'infeudazione fattane da Ludovico il Moro al fratello card. Ascanio (1485): ma già i rapporti con i Grigioni sì erano fatti di nuovo difficili. Nel 1486 il Bormiese veniva saccheggiato per rappresaglia, i Curvaloni assalivano dallo Spluga e dalla Bregaglia Chiavenna e la davano alle fiamme, e l'anno dopo i soldati delle Leghe occuparono Bormio e scesero fino a Sondrio. Ma dopo lo scontro di Caiolo, indubbiamente vittorioso per i ducali, i Grigioni restituirono le terre occupate ottenendo esenzione di dazî e dodicimila ducati. La Valtellina passò, con tutto il ducato, al re di Francia, dopo Novara (1500). Il periodo della dominazione francese fu contrassegnato da soprusi, violenze e rivolte. Ma nel luglio del 1512, dalla Bregaglia, da Poschiavo e da Flims partono le colonne delle tre Leghe per la conquista della Valtellina, che fu aggregata alle Leghe non come territorio confederato, ma come conquista. Cacciati i Francesi dal restante della Lombardia (1525), verso Valtellina si indirizzarono le mire di Gian Giacomo Medici, detto il Medeghino, signore di Musso, ma le sue azioni, se ebbero un inizio lieto, non furono durature, e tutta la zona delle valli dell'Adda e del Mera rimase in saldo possesso delle Leghe. Propagatasi l'eresia dalla Germania nella Svizzera, anche nelle zone di lingua italiana si ebbe una larga infiltrazione, appoggiata dagli organi delle Leghe, così che buona parte della Bregaglia (ove predicava P. P. Vergerio), della Val Poschiavo e della stessa Valtellina seguì la nuova fede, malgrado gli sforzi dei cattolici: d'altra parte il governo grigione apertamente favoriva i riformati e in ogni modo tentava di combattere l'elemento cattolico. Agl'inizî del sec. XVII due partiti stavano a fronte, i cattolici, spagnoleggianti, e i riformati, filofrancesi: riflessi di quei partiti che, guidati dai Planta o dai Salis, dividevano i Grigioni, parteggiando per Spagna o per Francia. La lotta si acuì dopo che la dieta di Losanna stabilì di aprire un seminario riformato a Sondrio (1617). Poco di poi (1619) una vera bufera si scatena contro i cattolici, e sei commissarî furono mandati, con poteri illimitati, con il preciso mandato di abbattere il cattolicismo. Di fronte a ciò, il fermento si fece vieppiù profondo, e scoppiò in una sanguinosa rivolta il 15 luglio 1620 con il massacro di molti riformati e di parecchi magistrati grigioni, fra cui lo stesso governatore (il cosiddetto Sacro Macello). Si instaurò così, un governo libero, a capo del quale fu Giacomo Robustelli, anima della congiura, ma ben presto la questione da strettamente locale divenne internazionale, per le mire spagnole e franco-venete, troppo in contrasto. Le leghe non furono tarde a prendere misure militari per rioccupare la Valtellina: il 1° agosto Sondrio veniva occupata e saccheggiata, come poco prima era stata Chiavenna; ma la rotta di Ganda in un tempo liberava la Valtellina e Chiavenna dalle truppe retiche, e poco dopo la stessa Spagna si muoveva a difesa degl'insorti. Ai primi di settembre i Retici tornarono alla carica, per Bormio, con aiuti di Zurigo e di Berna, ma l'11 di quel mese furono disfatti a Tirano: l'anno dopo, però, il trattato di Madrid fra Spagna e Francia prevedeva il ritorno della Valtellina ai Grigioni, ciò che tuttavia non avvenne così presto, perché le discordie insorte nella Confederazione e nelle leghe consigliarono (1622) di far occupare la valle dalle truppe pontificie, in qualità di depositarie, ciò che avvenne l'anno seguente. Nel 1624, però, le soldatesche franco-retiche, al comando del marchese di Coeuvres, occupavano quasi senza incontrar resistenza, Tirano e progressivamènte tutta la valle, da Bormio a Chiavenna, restringendosi poi la guerra, intramezzata da tentativi diplomatici di pace, in vane e sterili scaramucce, finché il trattato di Monçon (1626) non ribadì il principio del ritorno allo statu quo, che venne pienamente attuato l'anno successivo. Tuttavia in seguito alla ripresa del partito cattolico, per qualche tempo la valle fruì di una certa autonomia, talché si poté emanare una serie di disposizioni contrarie ai riformati. Sennonché, apertasi la guerra per la successione di Mantova, l'imperatore dava ordine a un numeroso corpo di lanzichenecchi di marciare attraverso i Grigioni e la Valtellina verso la Lombardia, per recarsi all'assedio di Mantova, e tale passaggio, oltre a mali finanziarî, portò seco la peste; ma il continuo transito d'imperiali e spagnoli attraverso i valichi retici pose la Francia nella necessità d'interrompere tali comunicazioni, e per tal modo, nel 1635, si decise la spedizione del duca di Rohan in Valtellina, che da Chiavenna prese a risalir la valle (aprile): nel mese successivo Bormio veniva occupata e saccheggiata dai Tedeschi del Fernamonte, che venne però sbaragliato a Mazzo ai primi di luglio. L'occupazione francese durò fino al 1637, quando, profilatosi un accordo fra le Leghe e l'Impero, si addivenne pure al capitolato di Milano, con la Spagna, per la difesa del culto cattolico nella Valtellina, che tornava per tal modo nella soggezione precedente, durata senza scosse rimarchevoli sino alla fine del sec. XVIII. Il 1796 vede sorgere anche in Valtellina nuovi movimenti: di fronte al pericolo d'invasione francese le misure militari delle Leghe eccitano un fermento in Valtellina, tal che le truppe dovettero essere ritirate in gran fretta, poiché, come minor male, si richiedeva dai Valtellinesi l'annessione alla Lombardia e il 13 giugno 1797 le società patriottiche valtellinesi proclamarono la repubblica indipendente federata alla Cisalpina, cui fu poi annessa in causa dei torbidi reazionarî ed estremisti scoppiati in varî punti. Dopo la breve ripresa austriaca (1799-1800) la Valtellina con Bormio e Chiavenna formò un dipartimento della repubblica, poi Regno Italico (Adda). Alla caduta di Napoleone, i Grigioni tentarono un supremo sforzo diplomatico per riavere le terre valtellinesi; ma l'abile opera di Diego Guicciardi, e soprattutto l'interesse dell'Austria mantennero salda l'unione loro con la Lombardia, e prima dei nuovi moti rivoluzionarî due grandi vie militari venivano costruite, quella dello Spluga (1819-21) e quella dello Stelvio (1820-1825). Il 21 marzo 1848 la rivoluzione scoppiava anche in Valtellina, e si costituiva un governo provvisorio. Dieci anni dopo (29-31 maggio 1859) tutta la Valtellina si ribellava di nuovo agli Austriaci, e sosteneva, sotto la guida di Giovanni Visconti Venosta, commissario straordinario del re, l'urto degli Austriaci che dallo Stelvio erano scesi su Bormio. Giunto in aiuto il battaglione Montanari e quindi lo stesso Garibaldi, gli Austriaci dovettero ritirarsi verso lo Stelvio. La Valtellina ebbe ancora a risentire l'urto guerresco durante la guerra mondiale (operazioni dell'Ortles e del Cevedale).
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Periodici: Archivio storico lombardo, dal 1873; Rivista di Archeologia per la provincia e antica diocesi di Como, dal 1875; Periodico della Società Storica Comense, dal 1880; Archivio Storico per la Svizzera Italiana, dal 1926; Raetia, dal 1931; Quaderni della Pro Grigione Italiano, dal 1931; Jahresbericht d. hist. Gesellschaft Graubünden, dal 1880.