PANCIERA, Valentino
PANCIERA, Valentino (detto Besarel). – Naque ad Astragal di Forno di Zoldo (Belluno) il 29 luglio 1829 da Giovanni Battista, intagliatore e decoratore, e da Caterina Cordella da Goima.
Le ristrettezze economiche della famiglia impedirono a Valentino e ai fratelli minori Antonio e Francesco, che divenne poi suo socio, di avere una regolare istruzione. Solo agli inizi degli anni Quaranta frequentò per un breve periodo la scuola di disegno di Antonio Federici a Belluno. La sua prima formazione nel campo dell’intaglio ligneo avvenne nell’alveo della bottega di Giovanni Battista, a sua volta erede di una modesta attività artistica limitata perlopiù all’area della Val di Zoldo. Una svolta decisiva nella carriera del giovane venne dall’incontro con l’architetto feltrino Giuseppe Segusini, che avendolo visto all’opera insieme al padre nella decorazione dell’arcidiaconale di Agordo gli aprì la strada dell’Accademia di belle arti di Venezia, frequentata dal 1853 al 1855. Nel 1858 sposò la conterranea Maria Fontanella, dalla quale ebbe sei figlie: Elisabetta (1859), Giovanna (1862), Caterina (1867) e altre tre morte in tenera età.
La primogenita Elisabetta sposò a Venezia Antonio Casal, originario della Val di Zoldo e titolare di un importante cantiere per piccole imbarcazioni, con il quale Valentino collaborò a lungo. Caterina, ultimogenita, fu invece avviata agli studi artistici e assunse ruoli importanti nell’atelier del padre.
Le prime opere autonome di Panciera, ottenute grazie ai buoni uffici di Segusini, furono i santi Pietro e Paolo per l’altare maggiore della parrocchiale di Tiser e le quattro statue lignee degli Evangelisti per il duomo di Belluno, tutte realizzate tra la primavera del 1855 e l’estate dell’anno successivo, mentre ancora frequentava i corsi dell’Accademia veneziana che non riuscì poi a concludere. Tornato a Belluno, ottenne numerose commissioni soprattutto per opere sacre destinate alle pievi del Bellunese. Tra queste la Madonna del Rosario per la parrocchiale di Ospitale di Cadore e la Madonna di Loreto per la chiesa di S. Maria di Loreto di Feltre.
Sul piano artistico questi primi lavori mostrano da un lato un’indubbia perizia esecutiva e dall’altro gli esiti di una formazione eterogenea e affrettata, che evidenzia recuperi della tradizione barocca spesso mediati e talvolta sostituiti da quella sorta di neoclassicismo ‘riformato’ che aveva potuto apprendere alle lezioni accademiche di Luigi Ferrari.
Risale al 1861 la prima partecipazione a una mostra di rilevanza nazionale: insieme al fratello Francesco si recò infatti a Firenze per la I Esposizione nazionale, dove i due ottennero una medaglia e un riconoscimento in denaro presentando una statua e un rilievo della Vergine e soprattutto una grande cornice ornamentale intitolata Fratellanza italiana.
Composta da una serie di paffuti amorini a tutto tondo che danzano tenendosi per mano, l’opera colpì la critica e la giuria per il vertiginoso virtuosismo dell’esecuzione. Il successo di quell’esperienza, unito alla consapevolezza delle possibilità che gli offriva la propria capacità tecnica, indirizzò in seguito Valentino verso l’intaglio decorativo di gusto neobarocco, sulle orme dell’illustre conterraneo Andrea Brustolon, del quale fu ben presto considerato una sorta di erede spirituale.
Agli anni Sessanta risalgono alcune delle sue realizzazioni più celebri e significative: nel 1862 consegnò alla chiesa bellunese di S. Rocco un monumentale tabernacolo ligneo; l’anno successivo, su commissione di Paolo Colussi, realizzò la sua prima cornice dedicata a Brustolon; al 1864 data la decorazione del soffitto di due sale della Magnifica Comunità di Pieve di Cadore, dove inserì 32 busti di illustri cadorini; nello stesso anno il Comune di Belluno gli saldò il compenso per il busto in marmo di Giovanni De Min. Nel 1865 iniziarono i suoi rapporti con la famiglia Mengotti di Fonzaso, per la quale intagliò diversi arredi e quattro monumentali sovraporte. Nel 1868 consegnò all’arcidiaconale di Agordo una Madonna del Rosario modulata su modelli quattrocenteschi.
Alla fine degli anni Sessanta si dedicò alla scultura in marmo realizzando una serie di busti celebrativi e quattro statue colossali per il santuario di S. Maria delle Grazie di Este. Nel 1867 realizzò una grande pala lignea con la Crocifissione per la parrocchiale di Vigo di Cadore, che presentò con notevole riscontro di pubblico e di critica all’Esposizione universale di Parigi di quell’anno.
Da questo momento in poi fu un crescendo di riconoscimenti anche internazionali, che oltre ai più importanti eventi italiani, lo videro partecipare con successo alle esposizioni universali di Vienna (1873), Filadelfia (1876), Barcellona (1888), dove fu premiato con medaglia d’oro, e Parigi (1878, dove presentò il Monumento ad Andrea Brustolon, collocato sette anni dopo nella chiesa di Dont di Zoldo; 1889 e1900, dove ottenne altre due medaglie d’oro). La sua produzione di mobilio di pregio fu poi presentata alle esposizioni internazionali di Londra (1874) e Amsterdam (1877), all’Esposizione italiana di Edimburgo (1890) e alla World’s Columbian Exposition di Chicago del 1893.
Sull’onda di un crescente successo commerciale dovuto soprattutto alle opere decorative in stile neobarocco, alla metà degli anni Sessanta Valentino e il fratello Francesco trasferirono definitivamente il laboratorio da Belluno a Venezia, dapprima presso la residenza al ponte del Soccorso di uno zio tintore e quindi in un piccolo laboratorio nei dintorni di S. Maria dei Carmini, che ben presto si rivelò insufficiente. Valentino si spostò quindi verso la fine del 1873 nei nuovi locali del palazzo Contarini di S. Barnaba, sul Canal Grande, prima presi in affitto e quindi acquistati nel 1882.
Risale a quegli anni il suo massimo successo commerciale che segnò anche una progressiva industrializzazione dei metodi di lavoro con l’introduzione di macchinari elettrici, tra cui una sega circolare con la quale nel 1885 si tranciò quattro dita della mano destra: un handicap parzialmente ovviato grazie a speciali congegni applicati ai moncherini che gli consentirono di continuare a lavorare il legno quasi con la stessa perizia, facendo sì che la stampa creasse intorno allo sfortunato intagliatore un’aura quasi eroica (Nicoletti, 1885). Dopo l’incidente, Panciera cominciò a utilizzare in maniera sistematica disegnatori professionisti in grado di tradurre visivamente spunti e idee che non era più in grado di realizzare: tra questi i più dotati erano certamente i bellunesi Goffredo Sommavilla e Luigi Cima, e lo scultore friulano Luigi De Paoli. Dai carteggi familiari ancora conservati e in gran parte inediti appare poi evidente che a partire da queste date la figlia Caterina, affettuosamente chiamata Ninetta, lavorò fianco a fianco con il padre anche per commissioni ritenute di grande importanza.
All’inizio degli anni Ottanta Valentino realizzò per l’avvocato torinese Antonio Borgogna, per il quale già aveva eseguito numerosi lavori d’arredo, una gigantesca Apoteosi di Vittorio Emanuele II. Nel 1880 consegnò la decorazione del felze per la gondola reale, primo di una lunga serie di lavori che gli furono affidati dalla casa reale italiana, tra i quali vanno ricordati nel 1883 un grande tavolo portagioie intagliato e dorato destinato agli appartamenti della regina Margherita nel palazzo del Quirinale, e due colossali candelabri per la villa reale di Monza. La serie culminò nel 1888, in occasione della visita ufficiale del Kaiser Guglielmo, con la consegna di 14 poltrone intagliate sul modello del celebre ‘fornimento’ Venier di Brustolon.
È datata 1882 la sua più importante scultura in marmo, il ritratto di Almorò III Pisani, eseguito per la cappella di famiglia di Vescovana, a figura intera e con l’uniforme di guardia d’onore vaticana: una realizzazione impressionante per la ricchezza e la minuzia dei dettagli.
Negli ultimi anni dell’Ottocento la sua produzione si concentrò soprattutto sul mobilio di pregio e sulla scultura sacra: ultimo suo lavoro il gruppo con l’Educazione della Vergine per la chiesa udinese di S. Cristoforo, lasciato incompiuto e ultimato dai suoi collaboratori nel 1904.
Morì a Venezia l’11 dicembre 1902.
Dopo i notevoli riscontri ottenuti tra i contemporanei, la fortuna critica di Panciera Besarel ebbe un notevole appannamento immediatamente dopo la morte. Il recupero critico e storiografico operato negli anni Venti del Novecento da Giuseppe Biasuz (1928) è proseguito soprattutto in occasione del centenario della scomparsa, quando una mostra e un volume monografico ne hanno tratteggiato un profilo che ne fa una delle figure più interessanti del panorama veneto della seconda metà dell’Ottocento.
Fonti e Bibl.: D. Zasso, Di Andrea Brustolon scultore in legno e del suo monumento da erigersi in Belluno, Venezia 1880, passim; G. Nicoletti, XXIII agosto MDCCCLXXXV inaugurazione del monumento ad Andrea Brustolon in Dont di Zoldo, Rovigo 1885; A. De Gubernatis, Dizionario degli artisti italiani viventi, Firenze 1889, s. v.Besarel; G. Biasuz, V. P.-Besarel, Treviso 1928, s.v. Besarel; G. Angelini - E. Cason Angelini, Centenario del monumento ad Andrea Brustolon a Dont di Zoldo, Forno di Zoldo 1985; G. Angelini - E. Cason Angelini, Prime opere dello scultore V. Besarel (1829-1902), di Zoldo, in Archivio storico di Belluno Feltre e Cadore, LXI (1990), 270, pp. 3-10; G. Galasso, Giovanni Marchiori e V. P. Besarel, in Scultura lignea barocca nel Veneto, a cura di A.M. Spiazzi, Verona 1997, pp. 342-347; E. Cason Angelini - G. Gambaretto, La Madonna del Besarel nell’arcidiaconale di Agordo, Agordo 2002; V. P. Besarel (1829-1902) storia e arte di una bottega d’intaglio in Veneto (catal., Belluno-Forno di Zoldo) a cura di M. De Grassi, Belluno 2002; G. Angelini - E. Cason Angelini, Gli scultori Panciera Besarel di Zoldo, Belluno 2002; G. Caniato, Casal-Besarel: un matrimonio fecondo, in Con il legno e con l’oro la Venezia artigiana degli intagliatori, battiloro e doratori, a cura di G. Caniato, Venezia-Sommacampagna 2009, pp. 230-241; F. Vizzutti, P. V. (detto Besarel), in Nuovo Liruti Dizionario biografico dei Friulani. III. L’etàcontemporanea, Udine 2011, pp. 2515-2518; M. De Grassi, La scultura a Belluno nell’Ottocento, Mariano del Friuli 2012, ad indicem.