utilitarismo
Concezione filosofica che indica nell’utilità il criterio dell’azione morale. Sebbene motivi utilitaristici siano già presenti nel 18° sec. nella filosofia di C.-A. Helvétius, fondatore di tale concezione può essere considerato J. Bentham, al quale si deve la formulazione del principio fondamentale dell’u., secondo il quale è utile ciò che ha come conseguenza la più grande felicità del maggior numero di persone. Ancora a Bentham si può far risalire un’esigenza tipica di tutti gli utilitaristi, ossia quella di fare dell’etica una scienza esatta come la matematica: un rigoroso edonismo basato sul calcolo della differenza quantitativa tra i piaceri. Già con Bentham l’u. si allarga al campo giuridico e politico, con la proposta di radicali riforme. L’u. fu poi al centro della riflessione filosofica di J. Mill e di J.S. Mill. A quest’ultimo è da attribuire la tendenza a distinguere i piaceri anche dal punto di vista qualitativo e il coerente radicalismo impegnato ad applicare in tutti i campi sociali e politici il criterio utilitaristico di un accrescimento del benessere e della felicità degli uomini. Concezioni utilitaristiche sono presenti anche in altri filosofi: così a H. Spencer si deve l’indicazione della morale utilitaristica come ultima tappa dell’evoluzione, mentre H. Sidgwick analizzò le varie forme di u. conciliandole con il senso comune. In tutti questi filosofi l’u. acquista un certo tono di effettiva moralità, in quanto non solo si distingue dall’edonismo col considerare non l’utile immediato del piacere bensì l’utile più remoto e costante, ma si contrappone anche a un u. puramente egoistico con l’esigenza di considerare non solo l’utilità propria, bensì quella del maggior numero possibile di individui. G.E. Moore sostenne infine un peculiare «u. ideale» che rifiutava la definizione edonistica del bene. Successivamente il dibattito tra utilitaristi si è limitato alla ricerca della struttura ottimale di un sistema utilitaristico. Si è così distinto tra u. della regola (S. Toulmin, P. Nowell-Smith) e u. dell’atto (J.J. Smart), a seconda che si privilegiasse la giustificazione utilitaristica di poche regole generali o di ogni singolo atto.