DAVISI (D'Aviso, Avvisi, De Aviso, De Avisus, Avisius), Urbano Giovan Francesco
Nacque a Roma il 25 maggio 1618, quinto figlio di Giovanni Andrea, "berrettaro".
Compiuti gli studi delle umane lettere entrò nell'Ordine dei gesuati (fece la professione nel novembre 1636), ove studiò filosofia e teologia. Da Roma si trasferì a Bologna a studiare le "matematiche" alla scuola di B. Cavalieri, anch'egli gesuato.
Il documento più antico relativo a questo periodo bolognese (non abbiamo però nulla dei suo apprendistato matematico) è un atto capitolare dei convento dei SS. Eustachio e Girolamo (2 ag. 1644): il D. vi è indicato come vicario, ed il suo nome segue quello del prioredella Mascarella, e cioè il Cavalieri, e precede quello di Placido (Ghilardi) da Lucca, altro discepolo gesuato del matematico milanese. Dello stesso convento sarà poi priore dal '47al '50, ed avrà come vicario, almeno per un certo periodo, Stefano degli Angeli.
Del '50 è la ristampa a Bologna dello Specchio Ustorio del Cavalieri, curata dal D. "per soddisfare - scrive nella lettera dedicatoria - gli intendimenti" dei maestro. E sarà proprio alla luce di questi "intendimenti" che andranno lette le numerose varianti che la ristampa davisiana presenta rispetto al testo del '32. Tornato a Roma (1650), il D. ricoprì dapprima, per sei anni, la carica di definitore dell'Ordine per la provincia romana e fu poi eletto (1656) procuratore generale e priore del convento dei SS. Giovanni e Paolo. Nel 1656 ancora un impegno come editore: sotto il nome anagrammato di Buonardo Savi, dette alle stampe, insieme al libraio D. Grialdi, un manoscritto del Galilei, il Trattato della sfera, congiuntamente ad alcune pratiche astronomiche "insegnate afferma il D. nella lettera al lettore dal Cavalieri a' suoi scolari". L'adesione al metodo ed alla scuola del Galilei, già dichiarata nel '56, verrà meglio precisata in due lettere, scritte dieci anni dopo a due professori dello Studio di Bologna: G. B. Capponi, con il quale il D. intratteneva una corrispondenza su questioni attinenti le antichità romane, e il matematico G. Montanari: alla "scuola" ancorata alla auctoritas aristotelica e accusata di stravaganze ed astrattezze egli oppone "quella maniera di filosofare così nobile, e così soddisfacente agli intelletti ingenui" (al Montanari, p. 26) inaugurata dal "famoso" Galilei, che si basa sulla osservazione e sulla operazione, all'interno di un quadro cosmologico in cui vicino e lontano (visibile ed invisibile) da un lato., arte e natura dall'altro, risultano essere perfettamente omogenei.
Le due lettere (Due lettere scritte dal rev. padre fra Urbano Davisi..., Bologna 1667) possono considerarsi un breve trattato di meteorologia. Nella prima, per rendere ragioni di vari "effetti" meteorologici (pioggia, neve ...), il D. pone l'elemento dei fuoco al centro della terra e non nel concavo della luna corfie voleva Aristotele. Oggetto della lettera al Montanari è un'altra classica questione di meteorologia: l'origine delle fonti e dei fiumi. Prendendo le mosse, secondo tutta una tradizione, da Ecclesiaste I, 7, il D. conclude che "il mare... deve, trasmettere... tanta acqua quanta è quella che riceve dai fiumi..." (p. 28) e, supposti infiniti sifoni nel globo terrestre, spiega poi il salire dell'acqua, dal mare alla sommità dei monti, in base alla legge secondo la quale dati "due liquori diversi di quantità e specie e posti in un sifone, dove abbia ciascuno libertà di scorrere separatamente, il men grave si alzerà sopra il livello del più grave per tanto spazio, per quanto reciprocamente si eccedono le proporzioni delle loro gravità in specie" (p. 29), ove i due "liquori" in questione sono l'acqua dolce e l'acqua salata e la loro proporzione risulta essere "sperimentalmente" di nove ad otto.
Neppure trascurò il D. l'idraulica applicata. Si interessò della navigazione del Tevere come testimonia il titolo di un suo manoscritto (Tracratus de Tyberis navigatione ...), ricordato dal Mandosi e a noi non pervenuto. In un discorso (1667), che si conserva manoscritto nella Bibl. Vaticana (Discorso sopra l'antica Acqua Appia, in Vat. lat. 9027, ff. 94-95), indirizzato a Clemente IX, propone per "utile del Pubblico e del Privato" la canalizzazione dell'acqua di un condotto rinvenuto durante alcuni lavori e dal D. identificato, sulla scorta del Frontino, con quello dell'antica Acqua Appia. P,del 1675, infine, una breve lettera al doge di Venezia (Lettera del p. U. Davisi già Generale de' Gesuati al Serenissimo Doge di Venezia, in Raccolta d'autori che trattano del moto dell'acqua, Firenze 1723, I, pp. 301-305) in cui espone, sulla base di alcune esperienze romane, e seguendo il Borelli, un piano per ripulire la laguna.
Intanto, nel 1667, come attesta anche il frontespizio delle due lettere, e dall'aprile del 1662, il D. era generale dei gesuati. La nuova carica lo portò a compiere diversi viaggi. Nel 1663 (senz'altro in aprile ed agosto) era a Bologna nel convento di S. Girolamo. Tra il dicembre del 1664 e il gennaio del 1665 lo troviamo a Venezia ove compiva alcun. osservazioni astronomiche su di una cometa apparsa appunto in quel periodo. A Roma nel convento dei SS. Giovanni e Paolo continuò i lavori di ristrutturazione già intrapresi durante-il suo priorato: in particolare fece costruire una scala nobile, ed ornare un appartamento con studio di astronomia e geografia della Terrasanta. Il suo generalato non fu per altro esente da polemiche interne, tanto che il suo operato fu portato davanti alla Congregazione della Sacra Visita apostolica.
Alla soppressione dell'Ordine dei gesuati (6 dic. 1668) il D. fu nominato rettore con cura d'anime della chiesa trasteverina di S. Giovanni della Malva. In tale qualità fece restaurare la chiesa (1675) e si adoperò a far rispettare i diritti e le proprietà della parrocchia contro le pretese di alcuni parrocchiani, cosa che lo portò a sostenere numerose liti e cause (almeno quattro). In quest'ultimo periodo dette ancora alle stampe una lettera latina, Epistola de fontium atque fiuminum origine (Romae 1681) che, scritta su sollecitazione del medico napoletano L. A. Porzio, riprendeva la lettera al Montanari e rispondeva ad alcune obiezioni che ad essa fin dal suo apparire aveva mosso D. Rossetti.
Infine, nel 1682, uscì il Trattato della sfera (a Roma presso il Mascardi). Molto si è discusso, senza tuttavia giungere a una conclusione definitiva, sulla paternità di quest'opera, dacché nel 1690, il D., morto ormai da alcuni anni, ne uscì a spese e a cura del libraio A. Manari (a Roma presso il Molo) una "ristampa" con il titolo modificato in Sfera astronomica, che indicava come autore B. Cavalieri e relegava il D. al ruolo di semplice editore.
In realtà, il trattato è in larga misura del Cavalieri: diviso in due parti - una che espone la dottrina della sfera, la seconda costituita dalle pratiche astronomiche (molte delle quali il D. aveva già pubblicato nel '56) - e preceduto da una vita del Cavalieri, esso è la traduzione parziale, con aggiunte e modifiche del D. stesso, di uno scritto latino del matematico milanese (sfuggito finora all'attenzione degli studiosi del Cavalieri e dei D.), la Sphaera seu doctrinae sphaericae tractatus... authore F. Bonaventura Cavalerio, datato 1642 e conservato nella Biblioteca della università di Bologna (ms. Lat. 1858). In base a questo scritto (due libri, il primo dei quali, diviso in quaestiones, corrisponde alla parte teorica del trattato, e il secondo alle pratiche) è possibile determinare con più precisione l'apporto del Davisi. Intanto, nel trattato "davisiano" è abbandonata la divisione in quaestiones e di conseguenza è tralasciata tutta la parte "problematica". Particolarmente degna di nota è l'assenza di un capitolo corrispondente alla quaestio VI "utrum terra aliquo locali motu moveatur" nella quale il Cavalieri, esposte le. tre principali ipotesi astronomiche, prendeva partito per quella ticoniana. Pur pronunciandosi con il Cavalieri per l'astronomo danese (cap. XXVIII, p. 112) e rifiutando l'ipotesi copernicana condannata dalla Chiesa (cap. V, p. 10) - ma nella lettera al Capponi (p. 12) aveva, seppure implicitamente, avallato la teoria eliocentrica - il D. sembra qui voler eludere la questione del moto della Terra. Interamente del D. sono i capitoli XVII e XVIII che riprendono le due lettere del '67. Così pure nel cap. XVI, dopo aver esposto la teoria dei quattro elementi quale la trovava nel Cavalieri, giudica, "cose immaginarie" i calcoli relativi alle quantità di quegli elementi stessi.
Delle pratiche astronomiche infine, ove pure non mancano interventi del D., solo cinque (6., 7, 38, 39, 41) non hanno riscontro nella Sphaera del Cavalieri.
Individuata la fonte precisa dei trattato "davisiano", rimane tuttavia ancora oscuro il motivo per cui il D., sempre pronto a riconoscere i propri debiti verso il maestro, abbia invece taciuto riguardo a quest'opera. Né è possibile stabilire se la "ristampa" del '90 sia frutto di una iniziativa del libraio Manari o non rappresenti piuttosto l'adempimento di una volontà del D. stesso.
Il D. morì, dopo lunga e dolorosa infermità - si legge nell'atto di morte - ricevuta l'estrema unzione dal parroco di S. Salvatore de Pede Pontis, l'astronomo F. Serra, il 17 sett. del 1686 (e non del 1685 come finora si è ritenuto seguendo il Galletti); fu sepolto nella chiesa di S. Giovanni della Malva.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. storico dei Vicariato, S. Lorenzo in Damaso, battesimi, lib. VII (1617-1624), f. 33r; S. Giovanni della Malva, 6, Morti, III (1679-1747), f. 14v; Stato della chiesa di S. Giovanni della Malva, arm. 11, M. XIV, ff. 247r, 249r; Status animarum parochiae S. Ioannis de Malva, Anni 1686, f. 20v; Archivio Segreto Vaticano, Misc., Arm. VII, 60: Sac. Visit. apostol., ff. 298r-320v (SS. Giovanni e Paolo); Ibid., 28: stato temporale delle chiese di Roma, tomo II, ff. 185r-xgir (SS. Giovanni e Paolo); Bologna, Arch. gener. arcivescovile, Misc. vecchie carte 238, Atti capitolari, Ordini delle visite di S.. Eustachio in Bologna; Arch. di Stato di Bologna, P P. Olivetani di S. Bernardo delle Acque, Instromenti e scritture diverse dall'a. 1640 all'a. 1656, 13-2371, fasc. 25; D. Rossetti, Antignome fisico-matem. con il nuovo orbe e sistema terrestre, Livorno 1667, cap. III, pp. 107-115, 131; F. Nazari, in IlGiornale dei letterati, Roma, 26 febbr. 1669, pp. 22 s.; P. Mandosi, Bibliotheca Romana seu Romanorum, Romae 1682, pp. 234 s.; Acta eruditorum, dicembre 1691, Lipsiae 1691, pp. 555-59 (rendic. della Sfera astronomica); P. A. Galletti, Inscript. Rom. inf. aevL., Romae 1760, I, p. CCCCLXXXI; F. Jacoli, Intorno al problema "le noeud de cravate" e ad alcune opere di U. D., in Bull. di biogr. e di st. delle scienze..., XVI (1883), pp. 445-456; A. Favaro, Sulla autenticità della Sfera galiteiana edita dal p. D., in Mem. del R. Ist. veneto di scienze, lett. ed arti, XXIV (1891), pp. 55-70; Id., G. Galilei e lo studio di Padova, Padova 1966, 1, pp. 123 ss.; G. Dufner, Geschichte der Jesuaten, Roma 1975, pp. 239 s., 244, 362.