UMBRIA
(XXXIV, p. 654; App. II, II, p. 1057; III, II, p. 1010; IV, III, p. 715)
Popolazione e assetto insediativo. - Fenomeno rimarchevole sul piano demografico a livello regionale, dopo la ''crisi'' degli anni Cinquanta-Sessanta (da 803.918 a 775.783 ab., rispettivamente ai censimenti del 1951 e 1971), è l'opposta tendenza che, con un tasso di crescita totale positivo del 4ı circa, nel periodo intercensuale successivo si traduce in un aumento di popolazione di quasi 32.000 unità. Il fatto trova spiegazione nella positività del saldo migratorio −e non tanto nel movimento naturale, per il quale si registra una forte riduzione delle nascite − con consistenti flussi di rientro. Diffusa è la mobilità interna, per gran parte espressa da spostamenti dalla montagna al piano con conseguente ridistribuzione insediativa. Si confermano in perdita demografica l'Orvietano, la media Valle del Tevere, l'area trasimenica e la Valnerina. In cospicua perdita complessiva, secondo la tendenza avviatasi con lo spopolamento delle campagne e con l'abbandono dei centri storici minori fin dagli anni Cinquanta, risulta la popolazione sparsa, ormai ridotta a formare meno di un quinto del totale. Il fenomeno dell'inurbamento ha investito principalmente il capoluogo regionale (Perugia città contava 104.968 ab. nel 1991) e Terni. Sul piano dell'assetto territoriale la risultante di maggior rilievo è la formazione di aree ''forti'' (vallive) e ''deboli'' (montane) disposte in fasce imperniate in senso ovest-est, secondo la direttrice Valle Umbra-Conca di Magione, e nord-sud lungo il solco tiberino da Città di Castello a Perugia.
Una sostanziale stazionarietà complessiva − appena 4279 unità in più − e un allineamento con le tendenze osservate a livello nazionale hanno contraddistinto la dinamica demografica degli anni Ottanta: bassi tassi di crescita, invecchiamento della popolazione (al 1° gennaio 1991 il 18,7% spetta agli individui con 65 e più anni di età, a fronte del 14% composto dalle classi fino a 14 anni). Il dualismo manifestatosi già a livello provinciale si è confermato con l'espansione, seppur lieve, nel territorio di Perugia (144.732 residenti nel comune) e con le perdite in quello ternano. Intanto si è arrestato l'esodo e si è contratta l'emigrazione nei comuni minori, nonché il flusso immigratorio in quelli più grandi a seguito di un evidente esaurimento della loro forza attrattiva. Si sono avuti segnali anche di tendenze particolari, come l'attenuarsi del fenomeno emigratorio nel Nursino (il cui capoluogo ha perso, appunto, solo 78 ab. contro le quasi 700 unità in meno del precedente decennio). Nel territorio della Valnerina-Nursino si sono rivelati alcuni segni di ripresa quale effetto dell'opera di ricostruzione condotta (e ancora in corso) grazie ai finanziamenti seguiti al terremoto del settembre 1979, il più rovinoso degli ultimi decenni.
La dispersione dell'habitat di tipo urbano nelle campagne ha investito alcune aree, essenzialmente i comuni contermini ai maggiori (come Corciano, Deruta e Torgiano nel caso di Perugia). Più in generale, è soprattutto l'uso intensivo e congestionante del suolo, effetto di un'espansione edilizia abitativa e produttiva associata a opere infrastrutturali, che ha dilapidato rari e preziosi spazi agricoli confermando squilibri sul piano demografico ed economico. Intanto, per i problemi di organizzazione della vita urbana si sono avanzate soluzioni innovative in fatto di viabilità e di traffico nei centri storici (ha fatto molto parlare e scrivere il modello di Perugia con i suoi percorsi pedonali meccanizzati). L'immigrazione extracomunitaria − in crescita dalla metà degli anni Ottanta − sta mutando il quadro della presenza straniera (presenza relativamente cospicua, che pone l'U. al terzo posto in Italia dopo il Lazio e la Toscana se si considera il rapporto stranieri-residenti): più forte è divenuta la componente dell'immigrazione per lavoro, al pari di quella dei minori, figli di immigrati o di coppie miste. Purtuttavia rimane consistente anche quella per studio, sostenuta da due atenei (l'università degli studi e l'università italiana per stranieri) con aumentato peso culturale: soltanto al primo di essi, forte ormai di 11 facoltà e di 25 corsi di laurea, al 31 maggio 1993 risultavano iscritti 25.313 studenti.
Condizioni economiche. - Lo sviluppo del settore secondario ha connotato il periodo metà degli anni Sessanta-fine del decennio successivo; il processo d'incremento produttivo e più in generale di miglioramento economico è stato d'intensità superiore a quello di quasi tutte le altre regioni italiane. Questa evoluzione ha allargato la base produttiva regionale, a cui è seguito un ridimensionamento e, in certi comparti, una vera e propria fase recessiva per certi aspetti perdurante. Se ci riferiamo agli anni Settanta e ai singoli settori economici, per quello primario si rilevano soprattutto: l'esaurirsi del ruolo della mezzadria − calo da 10.555 a 2254 aziende, con questo tipo di conduzione, nell'intervallo intercensuario 1970-82 − sulle cui ceneri, ormai all'alba del decennio suddetto, la nuova struttura aziendale risulta già tutta costruita; un'opposta tendenza nella dimensione delle imprese, con concentrazione della proprietà e incremento della piccola proprietà contadina; i progressi della motorizzazione e la sua forte incidenza sulla progressiva e diffusa scomparsa delle ''piantate'' (coltura promiscua della vite maritata ad aceri od olmi) e di varie altre componenti del paesaggio agrario tradizionale (siepi, ciglioni, capezzagne, ecc.); l'avanzata delle colture industriali e in particolare del mais, del tabacco (3550 ha nel 1973, 8502 ha nel 1983) e del girasole (da 800 a 11.050 ha nello stesso periodo); infine, una sostanziale incapacità a conseguire un livello tecnologico adeguato.
Nel decennio successivo si è riscontrato un ulteriore decremento del numero delle aziende e della loro superficie, nonché degli occupati (ridotti, nel 1994, a formare solo il 7,1% della popolazione attiva totale). Mentre il livello produttivo ha teso al miglioramento, a rallentare i progressi dell'agricoltura sono stati gli scarsi successi nella ricomposizione fondiaria − le aziende minime, con meno di 1 ha, hanno registrato un'insignificante riduzione passando da 17.913 a 17.067 unità, e le 58.551 aziende operanti, ancora troppo numerose benché calate del 4% rispetto al 1982, hanno continuato a far registrare una ampiezza media di 11,7 ha. D'altronde, gli effetti della polverizzazione, oltre che della frammentazione fondiaria, si palesano anche all'osservazione diretta nella perdurante struttura a mosaico del paesaggio agrario, che ha continuato negli stessi anni Ottanta a improntare ogni spazio rurale di montagna, collina e pianura. Altre tendenze peculiari del settore sono state l'incremento del fenomeno del part-time, una maggiore diversificazione negli usi del suolo e un insufficiente sviluppo della cooperazione; nel frattempo, il numero delle aziende mezzadrili ha toccato livelli minimi (375 aziende nel 1990).
Più ampi spazi hanno conquistato le colture industriali del tabacco e del girasole in asciutto: nel 1993 le superfici destinate alle due colture ammontavano rispettivamente a 11.995 e 28.700 ha. Per l'ampliamento della rete irrigua si è fatto conto sulle acque di due grandi invasi artificiali realizzati negli anni Ottanta: il lago di Montedoglio, nell'alta Valle del Tevere presso Anghiari, e quello a monte di Valfabbrica sul fiume Chiascio (con una diga, lunga 444 m e alta fino a 84,5 m, capace di un volume d'acqua di 224 milioni di m3, da utilizzare anche per fabbisogni extragricoli). Tra le colture legnose la vite occupa sempre un posto di primissimo piano nelle coltivazioni umbre. Nel 1993 la superficie vitata era superiore ai 20.000 ha e, nello stesso anno, la produzione ha superato 1,3 milioni di q di uva. È intensamente proseguito il programma di miglioramento qualitativo della produzione (la regione vanta ormai 8 zone a DOC, due delle quali − Torgiano e Montefalco − di recente hanno potuto fregiarsi anche della DOCG). Per la coltivazione dell'olivo, pianta cui in alcune aree (Valle Umbra, Bassa Valnerina) si è finito per riconoscere importanza dal punto di vista paesaggistico e dell'assetto idrogeologico, i principali problemi derivano dall'insufficiente introduzione di moderne tecniche e dall'elevato costo di manodopera. Dalla fine degli anni Settanta è andato affermandosi anche un settore di punta come quello dell'agricoltura biologica, grazie ad alcune decine di aziende, su oltre 1000 ha di terreni ricadenti in aree per lo più abbandonate durante l'esodo rurale dei precedenti decenni.
Nel comparto zootecnico, al depauperamento del patrimonio bovino e suino (rispettivamente 98.200 e 321.200 capi) si è contrapposto l'aumento degli allevamenti di ovini e caprini, visti quale alternativa alle coltivazioni marginali, nonché di quelli avicoli, in consistente espansione.
Per gran parte i boschi, sulla cui fisionomia e struttura la costruzione della rete ferroviaria nella seconda metà dell'Ottocento e i due grandi conflitti mondiali produssero seri sconvolgimenti, sono stati utilizzati a turno breve risultando incapaci di fornire assortimenti legnosi di pregio; si tratta insomma di cedui (91% su un totale di 264.433 ha − dato ISTAT −, valore che fa dell'U. la regione con più alta incidenza di boschi con questa forma di governo). La superficie forestale è andata però ampliandosi − l'indice di boscosità ha toccato il 34,2%, a fronte d'una media nazionale del 25,8% − e ha fatto registrare un recupero della fustaia per effetto di rimboschimenti e della conversione di cedui. L'inversione di tendenza si è rafforzata con gli avviati interventi − volti a formare nuovi boschi o a migliorare quelli esistenti, oltre a valorizzare terre marginali ritirate dalla produzione (set-aside) − previsti da regolamenti comunitari (nn. 797/85, 2088/85, 2080/92).
Dai boschi ''poveri'' dell'U. si ricavano comunque apprezzabili quantità di tartufi, prodotto ad alto valore aggiunto e fonte di reddito per zone agricole marginali. La quasi totalità della produzione di esso (Tuber melanosporum), noto come ''tartufo nero pregiato di Norcia'', deriva dalla Valnerina, area dove per altro anche la troticoltura è andata affermandosi negli anni Settanta-Ottanta con oltre una dozzina di impianti sul fiume Nera e affluenti. La l. regionale 47/1987 ha cercato d'incentivare il comparto; fin dal 1983 si opera con un Programma Tartuficolo pluriennale che ha consentito di realizzare 57 impianti sperimentali su complessivi 115 ha (soltanto 16 sono entrati in produzione, a dimostrazione delle notevoli difficoltà per la diffusione su ampia scala di questo tipo di coltura).
La ricordata industrializzazione, manifestatasi essenzialmente all'incirca negli anni 1965-80, colloca la regione tra quelle del noto modello NEC (Nord-Est-Centro), pur se alla dinamica espansiva umbra andrebbero riconosciute certe particolarità, a cominciare dall'iniziale struttura dualistica del tessuto produttivo (poli perugino e ternano). La crescita è avvenuta con il concorso di piccole e medie imprese, operanti soprattutto nei comparti della moda e della meccanica, su aree sempre più estese (''industrializzazione diffusa'', specie nell'U. centro-settentrionale); si è ridotto il ruolo dei due comuni capoluogo nella distribuzione dell'industria regionale.
L'involuzione, o comunque l'indebolimento, del tessuto produttivo negli anni Ottanta ha determinato per l'U. un peso assai modesto nel contesto geoeconomico nazionale (soltanto l'1,3% per quanto attiene al PNL). La fase recessiva iniziale − in questo, in linea con quella del paese − è proseguita con un rallentamento rispetto alla dinamica nazionale (invece in espansione per il riaffermarsi dell'industria medio-grande); si è ridotta la vitalità delle piccole e medie imprese e sono emersi altri punti deboli del sistema produttivo, fortemente diversificato: scarsa propensione agli investimenti e all'associazionismo, assenza d'identità merceologica, minore competitività, ecc. Il calo delle unità produttive e la caduta occupazionale esprimono il ridimensionamento del settore, il cui tasso di sviluppo per quanto riguarda il valore aggiunto colloca l'U. al penultimo posto tra le regioni italiane (a essere più penalizzata è l'area ternana).
Per il modello di sviluppo prodottosi non si sono individuate aree o distretti industriali con forte addensamento di addetti. Le eccezioni, oltre al polo siderurgico-chimico ternano-narnese, vengono dal comparto alimentare (concentrato con la metà degli occupati nei comuni di Perugia, Bastia e Assisi) e da qualche altro ramo manifatturiero di relativa specializzazione, ma compresente con altri nella stessa area: legno e mobilio nell'Alta Valle del Tevere, meccanica nel Folignate e nell'area trasimenica, minerali non metalliferi nell'Eugubino-Gualdese (industria della ceramica, presente anche nel comune di Deruta con un altro sistema produttivo locale a elevata specializzazione).
Nel settore terziario rimarchevoli sono stati i risultati del turismo, settore di notevole e crescente peso nell'economia regionale.
Gli afflussi sono in aumento verso quei centri minori solitamente esclusi dai tradizionali itinerari. Perugia e Assisi si confermano comunque i due poli turistici più importanti, mentre anche il fenomeno della seconda casa pare assumere notevole rilevanza. Nel 1992 le strutture ricettive nel complesso ammontavano a 479 esercizi alberghieri e a 20.771 esercizi complementari (di cui 40 campeggi/villaggi turistici, oltre ad alloggi privati, ecc.). Con 3.986.480 presenze e 1.497.332 arrivi, la permanenza media (2,7 giorni) attesta come resti ancora lontano da raggiungere l'obiettivo del passaggio dal diffuso turismo di transito a quello organizzato di soggiorno.
Anche la rete commerciale si è rafforzata, e vigorosa è stata l'espansione dei supermercati nella seconda metà degli anni Ottanta.
Una moderna rete di superstrade − in primo luogo la E 45, per lungo tratto impostata sull'asse fondovallivo tiberino, e la ''bretella'' Foligno-Ponte San Giovanni-Bettolle − collega i maggiori centri urbani. Negli ultimi due decenni può dirsi pertanto attenuato, in parte, il tradizionale isolamento della regione con conseguenti maggiori opportunità per il movimento turistico; ciò nondimeno, per la viabilità trasversale un miglioramento è atteso dalla realizzazione della Strada delle Tre Valli, che allaccerà il solco tiberino con la Valle Umbra e la Valnerina assicurando un rapido sbocco al versante adriatico attraverso la galleria sottopassante Forca Canapine. I ritardi maggiori nell'ammodernamento delle infrastrutture viarie riguardano le strade ferrate; procedono con lentezza i lavori per il raddoppio della Orte-Falconara, la ferrovia trasversale più importante per il superamento (su rotaia) della barriera appenninica. Analoghi ritardi infine sono da lamentare per l'aeroporto di Perugia (S. Egidio), anche se sono previsti interventi di potenziamento.
Assetto del territorio. - A parte le note proposte di riconfigurazione dei confini regionali (avanzate da associazioni e centri di ricerca sulla base di criteri economici e poco o nulla storico-culturali) da realizzare attraverso contestati smembramenti tra Toscana e Lazio, o con una ''grande Umbria'' inglobante Marche e Lazio, esistono richieste per un riassetto endoregionale da attuare istituendo − ma la proposta è stata sempre rinviata − una terza provincia nell'U. sud-orientale con i territori facenti capo alle città di Foligno, Spoleto e Norcia. Nell'organizzazione del territorio vanno rilevati i limitati effetti del Piano Urbanistico Territoriale (approvato nel 1983) nella ricomposizione dei divari territoriali, e ciò per la mancata operatività dei Piani urbanistici comprensoriali. Come si è osservato di recente, appaiono avviarsi all'esaurimento i consistenti processi di urbanizzazione dei decenni precedenti, mentre si formano aree di addensamento ''oblunghe'' nelle principali aree di pianura; va così snaturandosi il tradizionale assetto policentrico e gerarchizzato della regione, senza peraltro far perdere un carattere dicotomico al quadro socioeconomico nel suo complesso: da un lato aree marginali e a basso grado di antropizzazione, dall'altro zone di concentrazione residenziale-produttiva in campagne urbanizzate, specie lungo i più importanti assi viari. Le sovrapposizioni fisico-funzionali in aree di limitata espansione adducono inevitabili ripercussioni sull'assetto infrastrutturale, con conseguenti minacce per la reclamata valorizzazione integrata e la tutela delle risorse ambientali. A quest'ultimo riguardo vanno segnalate le fasi finali di una lunga e dibattuta storia per il riconoscimento delle aree naturali protette, che ha visto l'istituzione, nel 1989, del Parco Nazionale dei Monti Sibillini (70.000 ha, di cui 20.000 ricadenti in territorio umbro) e di sei parchi regionali − del monte Cucco, monte Subasio, Trasimeno, Colfiorito, fiume Tevere e Nera − avvenuta nel dicembre 1994 dopo anni di dissensi e contestazioni da parte di associazioni agricole e venatorie.
Bibl.: A. Melelli, Evoluzione recente delle strutture insediative in Umbria, in Bollettino della società geografica italiana, serie 10, suppl. vol. 11 (1982), pp. 183-96; M. Tinacci Mossello, L'Umbria: una regione tra marginalità e sviluppo, in A.GE.I., Le aree emergenti. Verso una nuova geografia degli spazi periferici. ii. L'Italia emergente, a cura di C. Cencini, G. Dematteis, B. Menegatti, Milano 1984, pp. 349-74; B. Bracalente, Il sistema industriale dell'Umbria, Bologna 1986; A. Melelli, Recenti contributi alla geografia della regione umbra (1976-1986), Parte prima, "Quaderni Ist. Policattedra di Geografia", Università degli Studi di Perugia, 8 (1986); A. Melelli, C. Medori, Recenti contributi alla geografia della regione umbra (1976-1986), Parte seconda, ibid., 9 (1987); Istituto Regionale di Ricerche Economiche e Sociali (IRRES), Rapporto sulla situazione economica sociale e territoriale dell'Umbria, Perugia 1988; G. Bovini, Economia e società dell'Umbria contemporanea, ivi 1989; IRRES, Pensare il mosaico. Aspetti dell'Umbria alla fine degli anni Ottanta, ivi 1990; AA.VV., La rioccupazione degli spazi rurali in Umbria. Mutamenti recenti e tendenze in atto. Itinerari XLV Escursione Geogr. Interuniv., "Quaderni Ist. Policattedra di Geografia", Università degli Studi di Perugia, 14 (1992); Regione dell'Umbria, Piano Regionale di sviluppo 1992-1995. Struttura di programma, Perugia 1992; Id., Mutamenti strutturali dell'agricoltura umbra, ivi 1994.
Preistoria. - Le più antiche tracce della frequentazione umana nel territorio umbro, riferibili al Paleolitico Inferiore, sono documentate dai rinvenimenti di Monte Peglia e del lago di Corbara, con industrie litiche che corrispondono a un orizzonte pre-Acheuleano, caratterizzato da ciottoli scheggiati probabilmente appartenenti al ciclo della pebble culture. Nel sito di Monte Peglia è presente un'industria molto antica associata a fauna del Günz-Mindel, corrispondente a un momento del Pleistocene non molto dissimile da quello in cui sono attestate industrie della pebble culture di altre regioni italiane. L'Acheuleano, caratterizzato da industria litica con strumenti bifacciali, è documentato nel territorio perugino in diverse stazioni all'aperto localizzate nei dintorni del lago Trasimeno ai confini con la Toscana (Castiglion del Lago, Piana, Borghetto di Tuoro, Tuoro, ecc.), nei dintorni di Perugia (Bosco, S. Egidio, Piccione, Pila, S. Martino di Colle, ecc.), sino ai confini con le Marche (Gubbio, Sigillo, Costacciaro, Branca, ecc.) e nei dintorni di Norcia (Abeto e Torbidone). Nel Ternano, l'altipiano di Acquasparta viene frequentato intensamente durante il Paleolitico Inferiore e Medio con siti distribuiti in un'ampia area che va da Massa Martana sino a Sangemini, lungo i terrazzi che costeggiano il torrente Naja. Altre presenze sono state segnalate in zona montana (a circa 1000 m) sull'altipiano del Salto del Cieco presso Polino, legate probabilmente allo sfruttamento dei giacimenti selciferi presenti nella zona. Materiali attribuibili alla facies musteriana del Paleolitico Medio sono stati identificati sul Monte Arnata, tra Narni e Amelia, e ai Prati di Cottanello. Al Musteriano sono attribuibili numerosi giacimenti di superficie distribuiti sul Piano dell'Umbria, nel territorio di Perugia, lungo l'alto e medio corso del fiume Tevere, le vallate dei fiumi Puglia, Topino e Chiascio. Anche per il Paleolitico Superiore i rinvenimenti sono tutti di superficie, a esclusione della Grotta A di Tana del Diavolo presso Orvieto, che ha restituito un'industria di tipo epigravettiano evoluto con associazioni faunistiche di ambiente freddo. La neolitizzazione della regione, in base alle recenti scoperte, sembra avvenire intorno alla metà del 5° millennio a.C.
La facies culturale che sembra caratterizzare questo processo è quella della ceramica impressa tipica dell'ambiente adriatico, testimoniando dunque in quest'area l'espandersi di tale aspetto verso ovest. Recenti ricerche condotte a Gubbio in località S. Marco hanno rivelato la presenza di uno stanziamento riferibile a questa fase associato a ceramica tipo Sasso, che fornisce un'indicazione cronologica di un momento molto antico (datazioni al C14, dal 4480±80 a.C. al 4170±90 a.C.). Lo stesso aspetto è testimoniato ai Pozzi della Piana presso Orvieto, insieme ad altri ritrovamenti della facies del Sasso e altri materiali dell'età del Bronzo. La mancanza di dati stratigrafici non ha permesso di ricostruire la sequenza cronologica del deposito in quanto la cavità venne adibita a manifestazioni rituali, legate al culto delle acque sotterranee durante un lungo periodo compreso tra il Neolitico e l'età del Bronzo. In questa grotta sono stati trovati alcuni vasi simili a quelli della Grotta di Sarteano, mentre è particolarmente interessante la presenza dell'orcio dipinto tipo Monte Venere che fa ipotizzare una vasta rete di contatti, che interessano sia la Toscana sud-orientale che il Lazio settentrionale. A Grotta Bella presso Montecastrilli, il livello inferiore del deposito conteneva ceramiche a decorazione lineare e inornate, associate a resti umani, riferibili alla facies del Sasso. Nel livello sovrastante si sono rinvenute ceramiche figuline acrome e dipinte nello stile di Ripoli, che attestano una netta divisione tra i due aspetti e ampliano l'area di diffusione di questa cultura, caratteristica dell'area abruzzese, in aree interne. Per quest'ultimo aspetto si dispone di datazioni al C14, che collocano il complesso intorno al 4500 a.C. A un momento più tardo della cultura di Ripoli (Ripoli III-Fossacesia) appartiene il ''fondo di capanna'' di Norcia. Gli elementi che caratterizzano questa fase del Neolitico (anse tubolari e a rocchetto, anse con margini rilevati a cornetti, ciotole troncoconiche ed emisferiche, scodelline con orlo a tesa decorato a graffito) denotano il confluire di diversi aspetti culturali: l'apporto della facies di Ripoli tardo assume particolare rilievo insieme a quella di Diana e di Chassey-Lagozza. Un aspetto tardo riferibile a quest'ultima fase è documentato, per il momento, solo a Terni, nell'area della necropoli delle Acciaierie: in un settore ristretto, posto al disotto del livello di frequentazione della necropoli, si rinvenne una serie di buchi di palo riferibili a strutture abitative e diversi focolari, che hanno restituito vari frammenti ceramici, tra cui una scodellina che presentava un'elaborata decorazione a graffito su ambedue i lati.
Per quanto riguarda l'Eneolitico, se si escludono i rinvenimenti sporadici, diffusi in tutta la regione, l'unico indizio riferibile a un abitato si ha nelle vicinanze della necropoli delle Acciaierie a Terni, con materiali avvicinabili alla facies culturale di Conelle. L'aspetto funerario è conosciuto esclusivamente dalla tomba isolata di Poggio Aquilone (Marsciano) che conteneva un ricco corredo composto da manufatti litici e oggetti di metallo; purtroppo la mancanza di elementi ceramici diagnostici non permette d'inquadrare il rinvenimento in una precisa facies culturale.
La fase di passaggio tra Eneolitico ed età del Bronzo è per il momento poco attestata nel territorio umbro. Solo Grotta Bella ha restituito un livello in cui sono presenti materiali ceramici e metallici attribuibili a una fase evoluta dell'antica età del Bronzo e al Bronzo Medio iniziale. Con la media età del Bronzo (facies appenninica), si ha un incremento di siti all'aperto e in grotta, in particolare nella provincia di Terni. La maggior parte dei siti è concentrata infatti nell'area della Conca Velina (Cascata delle Marmore e dintorni del Lago di Piediluco): essi sono prevalentemente ubicati su terrazzi di antichi alvei fluviali posti ai margini di conoidi colluviali o su pianori difesi da scoscesi pendii (Narni). In questo periodo le grotte continuano a essere frequentate come ripari occasionali o per scopi culturali (Grotta di S. Francesco, Tane del Diavolo, Grotta Bella). In gran parte dei casi, questi siti continuano nella successiva fase sub-appenninica (Bronzo Recente). Nel Bronzo Finale perdura l'occupazione di alcuni abitati già frequentati nelle fasi precedenti: al contempo nuovi insediamenti vengono fondati su alture e luoghi difesi naturalmente (Forca d'Ancarano, ecc.). Le necropoli sono caratterizzate da campi di urne che attestano l'uso dell'incinerazione (Colle del Capitano presso Monteleone di Spoleto, Terni-Acciaierie) (Terni I). In questa fase compaiono i ripostigli di oggetti metallici (Piediluco, Gualdo Tadino) che inseriscono l'U. in un più ampio fenomeno di circolazione di beni che interessa tutta l'Europa. Vedi tav. f.t.
Bibl.: L. Lanzi, E. Stefani, Scoperte archeologiche nella necropoli delle Acciaierie, in Not. Sc., 1914, pp. 3-61; L. Passeri, Ritrovamenti preistorici nei Pozzi della Piana (Umbria), in Rivista di Scienze Preistoriche, 25 (1970), pp. 225-51; AA.VV., Preistoria e Protostoria a Terni, Mostra Preistorica, Terni 1975; M.C. De Angelis, Il Bronzo finale in Umbria e Toscana interna, in Atti della XXI Riunione Scientifica degli Istituti di Preistoria e Protostoria, 1979, pp. 221-47; A. Galiberti, Il paleolitico inferiore della Toscana e dell'Umbria, in Atti della XXIII Riunione Scientifica degli Istituti di Preistoria e Protostoria, 1982, pp. 147-61; R.P. Guerzoni, Materiali ceramici della capanna di Norcia conservati nel Museo Archeologico di Perugia (scavo Calzoni), in Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di Perugia, 22 (1984-85), pp. 149-80; R. Grifoni Cremonesi, Il neolitico della Toscana e dell'Umbria, in Atti della XXVI Riunione Scientifica degli Istituti di Preistoria e Protostoria, 1987, pp. 229-36; C. Balista, G.L. Carancini, R.P. Guerzoni, Insediamenti nell'area della conca Velina (province di Terni e di Rieti), in Rassegna di Archeologia, 10 (1991-92), pp. 403-10; G. Guerreschi, P. Catalani, G. Longo, A. Iannone, Grotta Bella (Terni). Una sequenza stratigrafica dal neolitico inferiore all'età imperiale. I livelli preistorici, in Bullettino di Paletnologia Italiana, 83 (1992), pp. 143-228; C. Malone, S. Stoddart, The neolithic site of San Marco, Gubbio (Perugia), Umbria: survey and excavation 1985-7, in Paper of the British School at Rome, 60 (1992), pp. 1-69; AA.VV., Territory, time and state. The archaeological development of the Gubbio basin, Cambridge 1994.
Archeologia. - Lungo la fascia alla sinistra del Tevere appare particolarmente determinante lo stabilizzarsi delle diverse etnie e la loro specifica caratterizzazione in un'epoca che coincide cronologicamente con la fine dell'età del Bronzo e l'inizio dell'età del Ferro. Non sempre gli insediamenti coincidono con quelli noti per l'epoca precedente. Le aree abitative più notevoli si sviluppano in particolare nella fascia di territorio intorno a Terni, che per la sua ubicazione assume un ruolo di scambio tra le valli fluviali del Nera e del Tevere. È documentata dalla necropoli delle Acciaierie, dove il rito della cremazione viene gradualmente sostituito dall'inumazione, privilegiata dall'8° secolo a.C. in poi. Secondo un modello culturale ampiamente diffuso in una vasta area compresa tra U.-Lazio-Marche-Abruzzo, il tipo di sepoltura adottato è quello delimitato da un circolo di pietre e coperto da un tumulo di pietrame. Anche l'altopiano di Colfiorito di Foligno, per predisposizione geografica un crocevia di comunicazioni territoriali, è stato ampiamente indagato nell'ultimo quindicennio a opera soprattutto di L. Bonomi. Sul lago Plestino è documentata la presenza di villaggi di capanne dagli inizi del 9° secolo a.C., fino almeno al 7° secolo a.C.: le relative necropoli documentano che l'inumazione è il rito prevalente di sepoltura.
In territorio perugino importante testimonianza della fase protostorica è il rinvenimento di un abitato protovillanoviano in via Settevalli. Nel 7°-6° secolo a.C. si diffondono nelle necropoli della fascia umbra e sabina materiali di corredo spesso importati dall'area etrusca, greca, e talora dal centro Europa, che caratterizzano una fase orientalizzante dominata da forti mutamenti sociali e con una spiccata connotazione delle classi con netta prevalenza di un ceto aristocratico-principesco (tombe di Todi, Monteleone di Spoleto, Colfiorito). Le forme delle ceramiche oltre che a una tipologia locale si rifanno talora all'area falisco-capenate-sabina, e il territorio sembra risentire di correnti culturali che, attraverso l'Etruria meridionale, collegano l'area con l'Italia meridionale, con l'area padana e con l'Europa centrale. Tale sviluppo appare ormai concluso con la fine del 7° secolo e il territorio umbro da tale epoca si può definire con maggiore omogeneità nel suo sistema ideologico-politico-sociale. Gli insediamenti abitativi prediligono zone fortificate d'altura (castellieri e oppida) e sono organizzati con sistema paganico-vicano. I luoghi di culto, noti soprattutto dal 6°-5° secolo a.C. in poi, sono spesso situati in zone di passo, posizionati in alture corrispondenti a importanti vie di passaggio e spesso − ma non sempre − collegati con la transumanza.
Tra gli scavi più recenti sono da ricordare i santuari nelle località Ancarano di Norcia, Monte Acuto di Umbertide, Monte Torre Maggiore di Cesi, Colle della Rocca di Spoleto. Gli ex voto, normalmente costituiti da rappresentazioni schematiche di offerenti maschili con scudo, elmo e lancia, o femminili, o da figure di animali, sono solo in rari casi di elevato livello stilistico (località Valle Fuino di Cascia). In singoli casi si sono potute distinguere le piccole fosse votive, esterne al santuario, con residui di ossa di animali e manufatti ceramici e metallici (Ancarano di Norcia). Questi santuari continuano per lo più a sopravvivere in età ellenistica e fino a epoca romana, e taluni di loro forniscono ancora testimonianza della propria esistenza nel 1° secolo d.C. In area etrusca è da ricordare a Orvieto (Volsinii) la presenza di importanti e ricchissimi santuari urbani ed extraurbani (si rammenti il recente scavo del santuario di necropoli in località Cannicella), in connessione con l'importanza sia politica che religiosa e culturale della città, nota dalle fonti come sede del Fanum Voltumnae.
Col 4° secolo a.C. e l'arrivo dei Romani in U., appare evidente il forte distacco politico, commerciale e sociale con l'epoca precedente, la profonda cesura e crisi che vi si verifica e che causa un veloce processo di urbanizzazione, ben documentato dalla costruzione di mura in opera poligonale negli oppida (Amelia e Spoleto), e dal ritrovamento di residui di capanne della stessa epoca all'interno dei nuclei più importanti e fiorenti (Spello, Spoleto, Gubbio, Bevagna). Nel corso del 4° secolo Volsinii perde completamente il suo dominio anche commerciale e viene sostituita progressivamente da Falerii e dalla stessa Roma. La produzione romana a vernice nera invade progressivamente la regione e sostituisce la produzione locale d'impasto, segnando un forte passo in avanti nella trasformazione delle tecniche. In connessione con la colonizzazione è da ricordare la creazione di alcune rare zecche di monete (Iguvium, Tuder) e la tesaurizzazione di gruppi di aes rude, aes grave ed aes signatum in località La Bruna di Spoleto (seconda metà del 3° secolo a.C.) e di ben due tesoretti a Bevagna (databili tra il 268 e l'89 a.C.). Anche la base strutturale della società si allarga coinvolgendo nell'amministrazione del potere sacerdozi e magistrature che sono ricordati, oltre che dalle Tavole Iguvine, da nuovi testi epigrafici (tra l'altro l'orologio solare di Mevania che menziona due quaestores fararii) databili al 2° secolo a.C. Le alleanze delle popolazioni etrusche e umbre con i Romani, attestate anche dalle fonti, preludono a una vera e propria strategia della tensione e conseguentemente, dopo la battaglia di Sentino, a un'intensa opera di colonizzazione della regione, ben documentata soprattutto nella monumentalizzazione dei santuari (nelle località: Collemancio di Cannara, Monte Torre Maggiore di Cesi, Villa S. Silvestro di Cascia, Villa Fidelia di Spello, Colle di Bettona). Il processo di romanizzazione si estende velocemente in tutti i piccoli centri della regione con segnali edilizi spesso assai più forti di quelli rilevabili nelle colonie stesse di Narnia e di Spoletium.
Essenziale per questa fase appare la documentazione delle necropoli, non sempre sufficientemente documentate (Norcia, Colfiorito, Spello, Gubbio). L'apertura della Flaminia (220 a.C.), lungo la quale numerosi sono i rinvenimenti, consolida in realtà antichi tracciati documentati da recenti e più antiche scoperte (località Piazza d'Armi di Spoleto, S. Cipriano di Campello), e segnala il passaggio di merci di grande interesse come per es. la ceramica megarese delle fabbriche di Lappius e di Popilius, che da Mevania si sposta a Otricoli. Non è da dimenticare la corrispondente viabilità minore e la viabilità d'acqua − Tevere e Clitunno − che offre buone possibilità di transitabilità alle merci. Le città etrusche come Perugia continuano a mostrare un grosso sviluppo e una forte stabilità sociale dei ceti abbienti alleati con i Romani fino almeno alla fine del 1° secolo a.C., come conferma il rinvenimento di una grande tomba a camera attribuita ai Cutu in località Monteluce.
Una nuova fase di deduzioni coloniarie (Spello, Todi) e una conseguente progettazione urbana si ha in età triumvirale (Spello, Todi, Gubbio, Spoleto, Bevagna, Assisi), con documentazioni edilizie e di infrastrutture stabili a partire dalla seconda metà del 1° secolo a.C. (acquedotti, templi, teatri e anfiteatri). La situazione territoriale subisce anch'essa in quest'epoca forti trasformazioni mediante oculate attribuzioni centuriali − ben documentate in particolare a Spello −che proseguono fino a epoca augustea con attribuzioni di aree talvolta lontane anche spazialmente dalla città prediletta dal principe (Fonti del Clitunno presso Spoleto). Ben documentati, tra la fine del 1° secolo a.C. e il 5° secolo d.C., appaiono gli impianti rustici produttivi, soprattutto nell'U. meridionale, ma un caso eccezionale è offerto dal recente scavo della villa di Plinio in Tuscis, rinvenuta presso Città di Castello (Tifernum Tiberinum).
I più recenti fra musei e Antiquaria in U. sono: il Museo Archeologico, presso il Palazzo Papale di Orvieto; il Museo Archeologico Nazionale di Spoleto, presso il convento di Sant'Agata; il Museo Civico, presso la Chiesa di San Francesco a Montefalco; il Museo del Vino a Torgiano; l'Antiquarium presso il comune di Corciano (tutti in provincia di Perugia). Vedi tav. f.t.
Bibl.: AA.VV., L'Umbria. Manuali per il territorio, 3, Terni, Roma 1979; AA.VV., Umbria Marche, Roma-Bari 1980; D. Manconi, M.A. Tomei, M. Verzar, La situazione in Umbria dal III a.C. alla tarda antichità, in AA.VV., Società romana e produzione schiavistica. L'Italia: insediamenti e forme economiche, 1, Bari 1981, pp. 371-406; M. Gaggiotti, L. Sensi, Ascesa al Senato e rapporti con i territori d'origine. Italia: Regio VI (Umbria), in Epigrafia e ordine senatorio, Tituli. 5, Roma 1982, pp. 245-74; AA.VV., Verso un Museo della città, Todi 1982; AA.VV., Les Bourgeoisies municipales italiennes aux IIe et Ier siècles av. J.Ch., Parigi-Roma 1983; AA.VV., Ville e insediamenti rustici di età romana in Umbria, Perugia 1983; A.L. Prosdocimi, Le Tavole Iguvine, Firenze 1984; L. Sensi, I ritratti romani di Spoleto, in Annali Fac. Lettere Univ. Perugia, 22 (1984-85), pp. 227-76; AA.VV., Il territorio nocerino tra protostoria ed altomedioevo, Firenze 1985; S. Diebner, Reperti funerari in Umbria (I a.C.-I d.C.), Roma 1986; AA.VV., Il volto di Germanico. A proposito del restauro del bronzo, ivi 1987; D. Manconi, Il santuario di Ancarano di Norcia, in Dialoghi di Archeologia, 1987, pp. 25 ss.; AA.VV., Gens antiquissima Italiae. Antichità dall'Umbria in Vaticano, Perugia 1988; AA.VV., Foligno: la necropoli romana di S. Maria in Campis, a cura di M. Bergamini, ivi 1988; G.L. Gregori, Epigrafia Anfiteatrale dell'Occidente romano, 2, Regiones Italiae VI-XI, Roma 1989; AA.VV., Gens antiquissima Italiae. Antichità dall'Umbria a Budapest e Cracovia, Perugia 1989; M. Tascio, Città antiche in Italia. Todi, forma e urbanistica, Città di Castello 1989; AA.VV., Gens Antiquissima Italiae. Antichità dall'Umbria a Leningrado, Perugia 1990; P. Fontaine, Cités et enceintes de l'Ombrie antique, Bruxelles-Roma 1990; L. Bonomi Ponzi, La via Flaminia e l'Umbria, in AA.VV., Viae Publicae Romanae, Catalogo della mostra, Roma 1991, pp. 195-201; AA.VV., Mevania da centro umbro a municipio romano, Perugia 1991; AA.VV., Gens antiquissima Italiae. Antichità dall'Umbria a New York; ivi 1991; AA.VV., Raccolta di Cannara, ivi 1992; AA.VV., Storia illustrata delle città dell'Umbria, Milano 1993 e anni successivi; D. Monacchi, Amelia, in Enciclopedia dell'Arte Antica, 2° Suppl., 1, Roma 1994, pp. 187-91 (con bibliografia precedente); J. Strazzulla, Assisi, ibid., pp. 487-89 (con bibliografia precedente); D. Manconi, Gubbio, ibid., pp. 895-98 (con bibliografia precedente); AA.VV., Spoleto. Il colle della Rocca. Primi risultati di scavo, Perugia 1994; M. Bonamici, S. Stopponi, P. Tamburini, La necropoli di Cannicella, Roma 1994; L. Bonomi Ponzi, D. Manconi, Umbria, in Enciclopedia dell'Arte Antica, 2° Suppl., 5, Roma (in corso di stampa).
Arte. - Dopo l'apertura di R. Longhi allo studio della cultura figurativa in U., riconosciuta come un capitolo originale e importante dell'arte italiana fra Due e Trecento, si è assistito nell'ultimo ventennio a un continuo approfondimento degli studi del ricchissimo patrimonio storico-artistico della regione che, accanto alle grandi realtà dei centri storici di primario interesse quali Assisi, Orvieto, Perugia, Spoleto, Gubbio, Todi, ha coinvolto anche i centri minori e le numerose emergenze culturali presenti con pari densità in tutto il territorio. La ricerca si è rivolta infatti con risultati di grande rilievo al riesame della pittura tardogotica, del manierismo e dell'Ottocento, mentre si sono avviate indagini sulla pittura del Novecento. Nuovo impulso hanno conosciuto anche gli studi sulla cultura figurativa e sulla committenza in U. fra Seicento e Settecento; i risultati di tale rinnovato interesse hanno portato alla mostra della Pittura del Seicento in Umbria, allestita nel 1989 negli ambienti in via di restauro della Rocca di Spoleto. Parallelamente all'accrescersi delle conoscenze è emersa sempre più chiaramente la necessità di procedere alla conservazione di quest'ingente patrimonio che, per la diffusione capillare nel territorio e soprattutto nei luoghi più eccentrici e sperduti, è spesso rimasto preda di furti o soggetto a degrado.
Già nel 1974 è stata avviata, grazie a un'intesa tra Regione e ministero del Bilancio, l'indagine per l'elaborazione del Progetto pilota per la conservazione e vitalizzazione dei centri storici della dorsale appenninica umbra e, ancora nel 1976, veniva messo a punto dall'Istituto centrale del restauro un Piano pilota per la conservazione programmata dei beni culturali in Umbria, che attribuiva estrema importanza al rapporto tra beni culturali e territorio; entrambe le iniziative non hanno avuto seguito. Con la l. regionale 39 del 6 giugno 1975 si favoriva l'istituzione dei Consorzi fra comuni per la gestione di musei, archivi e altri servizi culturali. Si cominciava a sentire così la necessità di formare personale specializzato nella conservazione di tale patrimonio e si arrivava, d'intesa con l'Istituto centrale del restauro, alla creazione a Spoleto di un Corso per la formazione di addetti alla manutenzione e al restauro dei beni culturali, preceduto da un biennio di sperimentazione e seguito nel 1979 da un secondo ciclo. Tali corsi erano finalizzati alla manutenzione e al restauro di dipinti, tessuti, manufatti lignei e cartacei.
Il terremoto del 19 settembre 1979 che ha colpito la Valnerina, una zona che più di altre esemplifica la realtà di un territorio estraneo allo sviluppo economico e culturale realizzato in altre aree della regione, ha rappresentato l'occasione per una verifica dei risultati raggiunti e degli obiettivi proposti negli anni precedenti. Il sisma ha provocato gravi perdite, come per es. la distruzione quasi totale della chiesa cinquecentesca della Madonna della Neve (Castel Santa Maria). All'indomani dell'evento si è proceduto all'elaborazione di Piani di recupero dei centri terremotati, favoriti da leggi regionali. Oltre all'intervento sugli edifici monumentali più compromessi staticamente e sulle opere d'arte strettamente connesse alle strutture murarie, si è pensato d'intervenire sul maggior numero possibile di manufatti artistici valutati non soltanto secondo priorità qualitative. Va inoltre ricordato che le campagne di restauro hanno dato luogo anche a importanti ritrovamenti che hanno aggiunto ulteriori elementi alla conoscenza del tracciato artistico in Valnerina (Arte in Valnerina e nello Spoletino, 1983).
In occasione dell'8° centenario della nascita di San Francesco (1982), ad Assisi, Foligno, Narni, Perugia e Todi si sono allestite varie mostre che, attraverso itinerari tematici, tendevano a mettere in luce la portata straordinaria del messaggio francescano, espresso nella cultura del tempo mediante molteplici linguaggi artistici. Le celebrazioni raffaellesche (1983) hanno rappresentato un nuovo stimolo per lo studio della pittura umbra tra 1480 e 1540 e un'occasione per ulteriori ricognizioni e nuovi restauri. In seguito a tali esperienze e in considerazione della singolare ricchezza del patrimonio storico-artistico della regione, si è giunti nella seconda metà degli anni Ottanta alla realizzazione di un sistema museale che tende a conservare il più possibile in loco le opere d'arte e tutti quei manufatti espressione di comunità spesso piccole, ma non per questo meno capaci in passato come oggi di produrre e custodire segni e memorie della propria variegata storia.
Si è così provveduto da parte della Regione e della Soprintendenza a un lavoro di schedatura e catalogazione delle opere d'arte presenti nei comuni umbri. A questo primo lavoro ha fatto seguito un esame più accurato che ha permesso d'individuare dei centri di particolare significato storico e artistico, dove era possibile far nascere una realtà museale anche di modeste dimensioni ma in grado di raccogliere tutte quelle opere d'arte facenti parte di raccolte comunali o private e di rappresentare un centro di nuovo vivo per la collettività. Si sono così riaperti in questi ultimi anni numerosi musei locali quali la chiesa museo di San Francesco a Montefalco, il museo del Capitolo della Cattedrale a Città di Castello, la Pinacoteca Comunale di Deruta, la Pinacoteca di Spello, il Museo Diocesano di Norcia, e la Pinacoteca Comunale di San Francesco a Montone; si sta ancora lavorando per il ripristino di altre preziose raccolte a Todi, Nocera Umbra, Trevi, Cascia e in molti altri centri; tali iniziative dal punto di vista finanziario sono state favorite a partire dal 1993 dall'erogazione di fondi a ciò destinati dalla Comunità Europea. In occasione di questi riordini si sono eseguiti restauri agli edifici storici, sempre prescelti come nuclei centrali delle piccole realtà museali locali. Si è incentivato anche lo studio più accurato delle opere (spesso bisognose di restauro) promuovendo la pubblicazione di cataloghi scientifici che hanno riacceso il dibattito critico. Si segnalano inoltre importanti iniziative condotte da privati, come per es. il Museo del vino di Torgiano o la Raccolta di tessuti caprai a Foligno. Anche l'arte contemporanea ha nella regione alcuni centri significativi come la fondazione Burri a Città di Castello, che oltre a ospitare nelle sue due sedi di palazzo Albizzini e degli ex essiccatoi le opere del maestro, propone anche iniziative culturali di vario genere. A Tuoro sul Trasimeno si è realizzato, a partire dal 1985, Campo del Sole, un notevole esempio di scultura pubblica progettata. A Trevi, su iniziativa privata, si è aperto il Trevi flash art museum of international contemporary art, mentre la Provincia di Perugia gestisce dal 1985 il Centro espositivo della Rocca Paolina. A Gubbio si tiene la storica Biennale di scultura, giunta ormai alla sua 22ª edizione.
Nel 1994 si è inaugurata a Perugia, dopo i lavori di adeguamento alle nuove norme di sicurezza, la Galleria Nazionale dell'Umbria. Oltre al nuovo allestimento nelle sale del Palazzo dei Priori, preceduto dal restauro architettonico degli ambienti, si sono presentate molte opere restaurate nei cinque anni di parziale chiusura della raccolta: dai marmi della fontana del 1281 di Arnolfo di Cambio, alla Madonna col Bambino di Gentile da Fabriano, al polittico di S. Antonio di Piero della Francesca già esposto alla Rocca Paolina in occasione delle celebrazioni di Piero della Francesca del 1992-93. Si sta lavorando anche per il recupero e l'adeguamento funzionale di altri musei statali come per es. il Palazzo Ducale di Gubbio o il castello Bufalini a San Giustino. Più difficili restano gli interventi a Palazzo Trinci a Foligno e alla Rocca di Spoleto, dichiarata museo con decreto ministeriale. In occasione dei restauri al suo interno si è riscoperto un intero ciclo di affreschi di soggetto cavalleresco di primo Quattrocento.
Importanti campagne di restauro sono state promosse dalla Soprintendenza dell'U. (Cappella Paradisi in San Francesco a Terni, decorazione ad affresco dell'abside del Duomo di Spoleto). Altre iniziative condotte anche con l'intervento finanziario di Istituti di credito o di varie associazioni hanno interessato i complessi di maggiore rilievo. Fra questi si può ricordare il restauro del Collegio del Cambio (1993) a Perugia, i restauri ancora in corso ai dipinti murali del Duomo di Orvieto (abside, cappella del Corporale, cappella di San Brizio), mentre ha preso l'avvio anche il cantiere per il restauro della Fontana Maggiore di Perugia (1994).
Bibl.: R. Longhi, La pittura umbra della prima metà del Trecento (1953-54), in Paragone, 281-83 (1973); V. Casale, G. Falcidia, F. Pansecchi, B. Toscano, Pittura del Seicento. Ricerche in Umbria, 1, Treviso 1976; L'Umbria. Manuali per il territorio. La Valnerina. Il Nursino. Il Casciano, Spoleto 1977; L'Umbria. Manuali per il territorio. Spoleto, Roma 1978; L'Umbria. Manuali per il territorio. Terni, 1-2, ivi 1980; L. Barroero, V. Casale, G. Falcidia, F. Pansecchi, B. Toscano, Pittura del Seicento e del Settecento. Ricerche in Umbria, 2, Treviso 1980; R. Cordella, Visita ai centri del Nursino colpiti dal terremoto, in Spoletium, 22-23 (1981), pp. 17-67; B. Toscano, Ricordo di un triennio di studi sulla Valnerina (1974-1977), ibid., pp. 12-16; Arte sacra in Umbria. Mostra di dipinti restaurati 1976-1981, Perugia 1981; Francesco d'Assisi. Documenti e archivi. Codici e biblioteche. Miniature, catalogo della mostra, Milano 1982; Francesco d'Assisi. Chiese e conventi, catalogo della mostra, ivi 1982; Francesco d'Assisi. Storia e arte, catalogo della mostra, ivi 1982; Arte in Valnerina e nello Spoletino, catalogo della mostra, Roma 1983; Pittura in Umbria tra il 1480 e il 1540, Milano 1983; Raffaello giovane e Città di Castello, catalogo della mostra, Città di Castello 1983; Valle umbra. Immagini e ipotesi per un sistema museale comprensoriale, a cura di F. Bettoni, Firenze 1985; Arte sacra in Umbria e dipinti restaurati nei secoli XIII-XX, Todi 1987; Pinacoteca Comunale di Città di Castello, 1, Dipinti, a cura di F.F. Mancini, Perugia 1987; Pittura del Seicento. Ricerche in Umbria, a cura di L. Barroero, V. Casale, G. Falcidia, F. Pansecchi, G. Sapori, B. Toscano, catalogo della mostra, ivi 1989; F. Todini, La pittura umbra dal Duecento al Cinquecento, Milano 1989; Museo Comunale di San Francesco a Montefalco, a cura di B. Toscano, Perugia 1990; Pittura del Seicento in Umbria. Ferraù Fenzoni, Andrea Polinori, Bartolomeo Barbiani, a cura di F. Todini, Todi 1990; Dall'Albornoz all'età dei Borgia, Atti del Convegno, ivi 1990; Campo del Sole. Un'architettura di sculture, a cura di E. Crispolti, Milano 1990; Pinacoteca Comunale di Deruta, a cura di F.F. Mancini, Perugia 1993; Piero della Francesca. Il polittico di S. Antonio, a cura di V. Garibaldi, catalogo della mostra, ivi 1993; Galleria Nazionale dell'Umbria. Dipinti, sculture e ceramiche: studi e restauri, a cura di C. Bon Valsassina e V. Garibaldi, ivi 1994; Il sistema museale regionale dell'Umbria, a cura di M. Montella, Venezia 1995; La collezione Burri. Arte contemporanea e scuola, a cura di G. Bonomi, Città di Castello 1995.
Tutela e restauro dei beni architettonici. - I gravi danni arrecati dalla seconda guerra mondiale comportarono numerosi interventi di restauro tra i quali si ricordano quelli dell'oratorio di Santa Cecilia e del monastero di S. Pietro di Perugia; della cattedrale, del palazzo Carrara, della Porta Sant'Angelo e delle mura medievali di Terni, la città umbra più danneggiata; del palazzo comunale, della cattedrale e del palazzo Trinci di Foligno; della cattedrale, della chiesa e monastero di S. Ponziano e del S. Salvatore di Spoleto. A partire dai primi anni Sessanta un'intensa e rilevante attività di tutela e conservazione dei beni architettonici è stata svolta dalla Soprintendenza ai monumenti e gallerie di Perugia (soprintendente G. Martelli); nel capoluogo sono state adottate nuove e avanzate tecnologie, in particolare con l'affermarsi del cemento armato, che consente di non alterare il significato storico e formale del bene da restaurare.
Di questi anni i più noti interventi sono: a Spoleto, il consolidamento delle coperture della cattedrale (1959-60; direzione lavori R. Pardi); a Gubbio, il restauro alle strutture di copertura e il consolidamento dei muri e volte del palazzo ducale (1962-63); a Panicale, il rifacimento delle coperture della chiesa di S. Sebastiano (direzione lavori B. Terzetti); a Perugia, il consolidamento delle coperture dell'oratorio di S. Andrea (direzione lavori B. Terzetti) e il restauro della basilica di S. Pietro (direzione lavori R. Pardi); a Narni, il consolidamento delle coperture della cattedrale di S. Giovenale e, a Orvieto, della chiesa di SS. Severo e Martirio; a Sangemini, il consolidamento delle fondazioni nella chiesa di S. Nicolò. Un altro intervento degno di nota è quello relativo all'edificio in piazza del Verzaro a Perugia, ora sede della facoltà di Magistero, ove oltre al consolidamento statico si è reso necessario ricavare nuovi spazi, al di sotto delle fondazioni, rispondenti alle esigenze funzionali della facoltà (1966-68; studio progettuale con il concorso della Soprintendenza per i BB.AA.AA. dell'U. e degli uffici comunali: progettista G. Nicolosi, direzione lavori G. Tosti).
Una menzione a parte meritano il restauro del palazzo papale di Orvieto, acquisito al demanio dello stato nel 1958, anno in cui la Soprintendenza ai monumenti e gallerie dell'U. (soprintendente G. Martelli), con i fondi stanziati dal ministero della Pubblica Istruzione, iniziò i lavori poi protrattisi per oltre vent'anni, e quello dell'ala settentrionale del palazzo dei Priori a Perugia con l'ampliamento della Galleria Nazionale dell'Umbria (1969-73; direzione lavori F. Santi con l'ausilio di D.A. Valentino della Soprintendenza). Con gli stessi fondi è stato restaurato nel Perugino il lazzaretto di Castel Rigone (1974).
Sempre negli anni Settanta sono stati effettuati i restauri: ad Assisi, della cappella di S. Martino della Basilica Inferiore (1974; Soprintendenza ai monumenti e gallerie dell'U.); a Perugia, dell'antico refettorio del Monastero di S. Pietro, ora Aula Magna della facoltà di Agraria (1975; progettista e direttore lavori G. Tosti); a Gubbio, quello di un gruppo di edifici unifamiliari nel quartiere medievale di S. Martino, interessato nel suo complesso a un progetto pilota di restauro a cura dell'Amministrazione cittadina (1976-77; progetto del comune in collaborazione con la Soprintendenza per i BB.AA.AA. dell'U., progetto di G. Greco e direzione lavori di B. Salvatici) e quello del Teatro Comunale, che era inagibile fin dal 1959 (1978; progettista e direttore lavori G. Tosti); ad Amelia (Terni), del Collegio Boccarini (1978; progetto di E. Corvi e C. Di Pascasio).
Un programma di interventi per la salvaguardia dei beni culturali colpiti dal sisma del 29 aprile 1984 ha dato l'occasione per approfondire una serie di problemi connessi con l'attività di restauro: ad Assisi (frazione Viole), nella chiesa di S. Potente, e (frazione Rivotorto) nella chiesa di S. Rufino d'Arce; a Nocera Umbra (frazione Salmaregia), nella chiesa di S. Maria Assunta, e (frazione Isola) nella chiesa di S. Giacomo; a Bettona, nella chiesa di S. Andrea; a Spello, nella Torre medievale di Borgo.
Grazie alla l. speciale 545 (29 dicembre 1987) sono stati realizzati numerosi interventi, ultimati tra il 1991 e il 1992, volti al consolidamento e restauro delle strutture d'interesse monumentale e archeologico in Todi e Orvieto. Si segnalano a Todi i restauri del palazzo del Vignola, della chiesa e convento di S. Fortunato, delle Mura Urbiche, del monastero delle Lucrezie, del palazzo dei Priori, della chiesa dei SS. Filippo e Giacomo, della chiesa della SS. Trinità, della chiesa di S. Francesco in Borgo e di S. Prassede; a Orvieto, quelli della chiesa di S. Paolo, della chiesa del Carmine, del palazzo dell'Opera del Duomo, della chiesa e del convento di S. Francesco, del palazzo Buzi, della chiesa di S. Agostino, dei palazzi Monaldeschi e dei Sette, del Teatro Mancinelli, del palazzo comunale e della chiesa dei SS. Apostoli.
L'U., oltre a essere una regione ricca di centri storici e di cultura, possiede un gran numero di teatri in gran parte realizzati da accademici locali attorno alla fine dell'Ottocento. All'inizio del secolo 19° i teatri attivi nella regione erano in media uno ogni due comuni; dopo gli anni Trenta si ridussero a trentadue, e ad appena dieci alla fine degli anni Settanta. All'inizio degli anni Ottanta è nata l'idea di una iniziativa regionale per la rivitalizzazione dei teatri storici, e nel 1984 la Regione ha elaborato un Progetto per la formazione di un circuito teatrale regionale con il restauro e il riutilizzo di 19 teatri storici (presentato al ministero del Bilancio per il finanziamento mediante il Fondo Investimenti e Occupazione, FIO, il progetto ha ottenuto finanziamenti nel 1985 e nel 1988, ai quali si sono poi aggiunti finanziamenti regionali).
I lavori sono stati immediatamente appaltati dalla Regione che ha scelto di eseguirli direttamente, proprio per dare un carattere unitario alle scelte tecniche e alle modalità di attuazione. Il progetto riguarda 19 teatri (i 2/3 dell'intero parco teatrale di proprietà pubblica), ubicati in 17 comuni distribuiti un po' in tutta la regione: dal capoluogo con il Teatro F. Morlacchi, a Gubbio con il Teatro Comunale, a Foligno con il Teatro Auditorium S. Domenico, a Spello con il Teatro Civico e l'Anfiteatro Romano, a Spoleto con il Teatro Caio Melisso e il Teatro Nuovo, a Umbertide con il Teatro dei Riuniti, a Citerna con il Teatro M. Bontempelli, a Nocera Umbra con il Teatro Alphatenia, a Trevi con il Teatro Clitunno, a Panicale con il Teatro Cesare Caporali, a Montecastello di Vibio con il Teatro della Concordia, a Orvieto con il Teatro Mancinelli, a Todi con il Teatro Comunale, a Bevagna con il Teatro F. Torti, a Monteleone di Spoleto con il Teatro Comunale, a Norcia con il Teatro Civico, a Monteleone di Orvieto con il Teatro dei Rustici. I lavori, in gran parte terminati, comprendono il restauro architettonico, il consolidamento antisismico, il miglioramento della funzionalità e l'adeguamento alle norme di sicurezza. Una seconda fase di opere, relativa ai palcoscenici, agli impianti speciali di scena, alle finiture interne, al restauro delle decorazioni pittoriche e agli arredi delle platee, dei palchi e delle sale, è in corso di ultimazione in quasi tutti i teatri e in attesa di finanziamenti per i restauri degli altri.
Tutela dell'ambiente e del paesaggio. - La Regione dell'U. ha assunto il problema dei beni culturali e ambientali come questione centrale e qualificante del più generale impegno per un assetto equilibrato del territorio e uno sviluppo ordinato degli insediamenti umani e produttivi, nonché delle infrastrutture sociali. Il Piano Regionale di Sviluppo (PRS 1982-85) e il Piano Urbanistico Territoriale (PUT), approvato con l. regionale n. 52 del 27 dicembre 1983, sono i due fondamentali documenti di programmazione a medio termine per la politica economica e territoriale della regione.
Il primo è primariamente inteso a delineare "i contenuti economici e le azioni per ottimizzare le potenzialità di sviluppo"; il secondo definisce "i vincoli e le condizioni al contorno di carattere territoriale" di cui tener conto nelle azioni di politica economica e individua le "aree di particolare interesse naturalistico-ambientale" destinate alla creazione di parchi naturali d'interesse regionale (territoriali e fluviali) e le scelte fondamentali che dovranno guidare la pianificazione e gestione di queste aree speciali, fissando al tempo stesso le relative norme di attuazione. In attesa che il PUT diventasse operante, erano state approvate alcune iniziative legislative aventi il carattere di norme urbanistiche transitorie (D.L. 1249 del 7 maggio 1974 "Prime norme di politica urbanistica regionale"; l. regionale del 27 giugno 1974 "Stralcio al Piano Regionale di Sviluppo 1973-75").
Un altro intervento di pianificazione promosso dall'Ente Regionale è stato il Programma Integrato Mediterraneo-Umbria (PIM) che, individuando un quadro organico di azioni nei settori strategici indicati dalla Regione, ha sviluppato ulteriormente alcune linee d'intervento all'interno dei parchi e delle riserve naturali, al fine di rendere compatibili con alcuni usi antropici la tutela delle risorse naturali e ambientali di cui la regione è ricca. L'elaborazione di un Piano-quadro per i Parchi Regionali dell'U. si colloca in successione non solo temporale, ma anche logica e processuale rispetto agli altri documenti programmatici (PUT e PIM), e intende rappresentare una risposta più avanzata ai problemi della tutela e della valorizzazione posti dalla necessità di far convivere il sistema dei parchi con gli altri sistemi esistenti nel territorio.
La Regione dell'U., quindi, con deliberazione 1566 del 17 marzo 1987, ha affidato l'incarico di elaborare il Piano-quadro, che costituisce lo strumento di programmazione generale del Sistema Parchi-Ambiente, a un raggruppamento temporaneo di cinque imprese. L'incarico si riferisce ai parchi territoriali del Monte Cucco, del Monte Subasio, dei Monti Sibillini, dei Monti Coscerno-Aspra; ai parchi fluviali del Nera e del Tevere; alle zone di protezione di Colfiorito e del Trasimeno (quest'ultima estendibile anche alla zona del Monte Pausillo). Il Piano-quadro ha preso in considerazione, tra le aree parco studiate, sia i parchi ''in senso stretto'' (e cioè definiti come tali dal PUT), sia alcune aree in vario modo caratterizzate dalla presenza di risorse naturali di particolare pregio, indicate nel PUT come "aree di particolare interesse naturalistico-ambientale".
Inserendosi in una sequenza di provvedimenti legislativi e di atti amministrativi lo stesso Piano-quadro non rappresenta l'elemento terminale del processo di programmazione regionale, sia perché a tale documento dovranno far seguito strumenti di pianificazione di dettaglio che potranno correggerne le indicazioni, sia pure in modo parziale, sia perché il dibattito più generale su questa materia ha ormai chiarito che la programmazione di un parco non dev'essere concepita nei termini di un'eccezionalità assoluta e definitiva, quanto in funzione dell'incontro, che si vuole favorire, tra esigenze di conservazione e bisogni di valorizzazione, termini questi ultimi due soggetti a frequente revisione. Vedi tav. f.t.