Umberto I, re d’Italia
Il re della svolta autoritaria della fine del 19° secolo
Figlio e successore del primo re d’Italia, Umberto I sostenne una politica colonialistica e favorì la repressione dei nascenti movimenti popolari. Di tendenze autoritarie, morì vittima di un attentato compiuto da un anarchico per vendicare i manifestanti uccisi dall’esercito a Milano nel 1898, in occasione della protesta contro l’aumento del prezzo del pane
Umberto I nacque nel 1844 a Torino da Vittorio Emanuele II e Maria Adelaide, figlia di Ranieri d’Asburgo. Ebbe una formazione prevalentemente militare ed era già generale nel 1866, quando partecipò alla terza guerra d’indipendenza, combattendo nella battaglia di Custoza. Nel 1868 sposò la cugina Margherita di Savoia, figlia del duca di Genova, che gli diede un figlio, il futuro Vittorio Emanuele III. Dopo la presa di Roma (1870) si stabilì nella nuova capitale.
Salito al trono alla morte del padre, nel 1878, Umberto I ebbe alto il senso dell’unità nazionale, che manifestò con numerosi viaggi in tutta Italia. In occasione di alcune catastrofi – un’inondazione nel Veronese nel 1882, un terremoto a Casamicciola (Ischia) nel 1883, la diffusione di un’epidemia di colera a Napoli e in Piemonte nel 1884 – partecipò personalmente, insieme alla regina Margherita, ai soccorsi, meritandosi l’appellativo di «re buono».
Umberto I proseguì la politica del padre, incoraggiando il governo di Agostino Depretis ad avvicinare l’Italia agli imperi dell’Europa centrale, e dopo l’occupazione francese della Tunisia (1881), che interessava anche l’Italia, si giunse nel 1882 alla firma della Triplice Alleanza tra Italia, Austria-Ungheria e Germania. Umberto I appoggiò con vigore anche la politica di espansionismo coloniale dei governi di Depretis e di Francesco Crispi. Le iniziative diplomatiche e militari nel Corno d’Africa consentirono di acquisire la Somalia e l’Eritrea, mentre fallì, in seguito alla sconfitta subita dagli Italiani ad Adua (1896), il tentativo di conquistare l’Etiopia. Il re avrebbe voluto cercare la rivincita, ma Crispi, di fronte alle proteste del paese, si dimise, ponendo fine all’avventura coloniale.
Di idee conservatrici, Umberto I assistette con preoccupazione alla crescita del movimento operaio e contadino. In quegli anni sorsero leghe, cooperative e camere del lavoro, furono organizzati scioperi, occupazioni di terre e manifestazioni e, accanto ai movimenti anarchici e repubblicani, nacque nel 1892 un forte Partito socialista. Di fronte al pericolo ‘rosso’ il re, ammiratore dell’energico imperatore tedesco Guglielmo II e del militarismo prussiano, appoggiò la politica autoritaria di Crispi e dei governi successivi (Antonio Starabba di Rudinì, Luigi G. Pelloux). Approvò la repressione militare dei Fasci siciliani e dei moti anarchici in Lunigiana operata dall’ultimo governo Crispi (1894). Nel 1899 appoggiò il tentativo del generale Pelloux di rafforzare i poteri del governo e di limitare i diritti dei cittadini con una serie di leggi liberticide, ma tale disegno venne meno per la dura opposizione in parlamento e nel paese, nel corso di quella che fu definita la «crisi di fine secolo». Il re era già stato oggetto di due attentati: l’uno a Napoli nell’anno della sua incoronazione a opera dell’anarchico Giovanni Passanante, l’altro nel 1897 a Roma, per mano dell’anarchico Pietro Acciarito.
Nel 1898 ebbero luogo i tragici fatti che decisero la sorte del re. A Milano il generale Bava Beccaris sparò cannonate sulla folla che manifestava contro l’aumento del prezzo del pane, provocando, secondo le fonti ufficiali, 82 morti e 503 feriti e, secondo altre fonti, oltre 300 morti e un migliaio di feriti. Umberto I conferì al generale per «il servizio reso alle istituzioni e alla civiltà» la Croce di grande ufficiale dell’ordine militare di Savoia, una delle massime onorificenze del regno.
Per vendicare le vittime di Milano e punire il comportamento tenuto dal sovrano, un anarchico italiano che viveva in America, Gaetano Bresci, tornò in Italia per uccidere Umberto I. L’attentato ebbe successo e il re cadde a Monza il 29 luglio 1900, nei pressi della Villa Reale.