CASSINA, Umberto e Cesare
Imprenditori nel campo dell’arredo, Umberto e Cesare, nacquero a Meda (in provincia di Milano), rispettivamente il 14 marzo 1900 e il 10 febbraio 1909, da Amedeo e Adele Colombo. Furono il primo e il terzo di quattro fratelli: Umberto, Maria, Cesare e Giuseppina.
Umberto e Cesare crebbero in un ambiente già fortemente caratterizzato dal punto di vista dell’attività professionale. Meda – cittadina della Brianza di tradizione contadina – all’inizio Novecento vantava già una lunga consuetudine per quanto riguardava la lavorazione artigiana del mobile in stile, in particolare nella produzione di sedie. Fin dal XVIII secolo, infatti, le manifatture della corte reale francese acquistavano a Meda i fusti, ossia lo scheletro in legno grezzo della sedia che, grazie a valenti cadregari-intagliatori, sarebbero poi diventati prodotti finiti di alta qualità.
In tale contesto la famiglia Cassina si era già distinta poiché, fin da quel periodo, era impegnata nel settore dell’ebanisteria sotto l’appellativo di legnamari in Meda, con incarichi rilevanti confermati, tra altri, dalla realizzazione del pulpito del duomo di Como.
All’epoca della nascita dei due fratelli, portava avanti la tradizione di famiglia, attraverso una piccola attività, lo zio Gilberto, il quale, aveva dato il via alla produzione in serie di mobili e tavolini da lavoro di contenute dimensioni, che richiedevano abilità da tappezziere per essere trapuntati internamente.
È probabilmente per quest’ultimo motivo che nel 1920, il giovanissimo Cesare, a soli 11 anni, iniziò un intenso apprendistato, che gli comportò notevoli sacrifici come pendolare tra Meda e Milano: inizialmente lavorò presso il laboratorio Fratelli Novaresi, successivamente dal tappezziere Pedretti (che Cesare considerò, per tutta la vita, come un maestro).
Il precoce tirocinio di Cesare, che lo portò ad acquisire una notevole perizia e a diventare il «primo tappezziere finito di Meda», fu fondamentale nel plasmare la sua personalità di futuro imprenditore. A sostenerlo con forza in questo percorso fu il fratello Umberto, il quale, capace e intelligente, preciso e metodico, essendo maggiore di una decina d’anni, ebbe sempre su di lui un notevole ascendente. «Cesare per tutta la vita assecondò sempre il fratello Umberto, e di fatto dipendeva da lui, nonostante dagli anni Cinquanta fosse diventato il motore dell’azienda» (Adele Cassina, 2007, p. 68).
A partire da questi anni andò costituendosi la speciale sintonia e complementarità tra Umberto e Cesare, decisiva per il seguito delle loro vite; esistenze che rimarranno sempre strettamente legate alle vicende della loro azienda, con la quale si identificarono totalmente (come del resto è accaduto a diverse figure di imprenditori, fondatori di attività divenute emblema del design di prodotto in Italia).
Il percorso di formazione di Cesare terminò nel 1927, anno in cui lo zio Gilberto e il padre Amedeo si separarono. Umberto prese le redini e fondò la Ditta Cassina Amedeo, accogliendo come socio il giovanissimo Cesare. Dal 1935 l’attività assunse invece il nome di Figli di Amedeo Cassina. Mobilie tavolini di fantasia, perché l’idea era di incentivare la consueta produzione con la realizzazione di poltrone e divani, introducendo pionieristicamente in tutta la zona la manifattura degli imbottiti.
Per tutti gli anni Trenta e fino al termine della guerra, Umberto continuò ad avere il ruolo guida della società: attento amministratore e programmatore, la gestiva con pragmatismo, mentre Cesare lavorava all’ombra del fratello maggiore.
Solo dopo la guerra in Cesare sarebbe emersa la sua attitudine di promotore, ricercatore e sperimentatore dimostrandosi, rispetto al fratello, più intuitivo e incline ad assumersi il rischio di ciò che poteva rappresentare il nuovo.
La prima sede della società sorse in due locali della casa di famiglia, all’epoca al civico 8 di via Solferino, a Meda, dove rimasero fino alla metà degli anni Quaranta. Una parte della produzione consisteva in tavolini da lavoro in mogano e acero massiccio, dalle forme e con decori in stile ottocenteschi: arredi in linea col gusto tradizionale borghese di quegli anni e perciò piuttosto richiesti.
Pur molto attenti a lavorare in economia, Umberto e Cesare iniziarono l’attività con un debito di tremila lire; debito che estinsero probabilmente abbastanza presto, dato che già dal 1928 la Ditta Cassina Amedeo iniziò ad affermarsi non solo nell’area del mercato milanese e in quello di Roma, ma ci furono significativi segnali di apertura anche in ambito internazionale, con le piazze di Parigi, Il Cairo e Buenos Aires, fino a contemplare, con i primi anni Trenta, le Colonie d’Oltremare.
In questa fase, in cui il design non era di fatto presente (del resto, il termine non era neppure in uso nel nostro Paese), il disegno della maggior parte dei vari pezzi in catalogo fu affidato a Umberto. Oltre ai suddetti tavolini, i fratelli realizzavano poltrone e salotti in stile ‘900, dei quali i maggiori acquirenti a livello nazionale furono i grandi magazzini La Rinascente e il Mobilificio Fogliano di Napoli.
La tensione al rinnovamento dei modelli procedeva di pari passo con la razionalizzazione del sistema di lavorazione, con l’acquisizione di macchinari e con la cura della distribuzione. Tutte iniziative che accompagnarono l’incremento della produzione degli imbottiti, a indicare lo specifico ambito lavorativo e produttivo che andò affermandosi progressivamente come punto di forza della società e che stabilì, da lì in avanti, da un lato la nuova tradizione dell’attività produttiva, dall’altro il porsi di Umberto e Cesare tra i precursori nel settore del mobile di design in Italia.
Il 1928 risultò un anno significativo anche dal punto di vista della crescita stessa della famiglia Cassina. Fu l’anno in cui nacque Franco, figlio di Umberto e di Angioletta Galimberti, che entrò a lavorare in azienda nel giugno 1945, all’età di 17 anni, appena terminati gli studi di ragioneria.
Cesare invece nel 1938 si sposò con Thea Rho e nel 1939 nacque Adele, la loro unica figlia che rimase orfana di madre a soli 4 anni e Cesare si prese cura di lei.
Diversamente dal cugino Franco, Adele non ebbe mai un ruolo ufficiale in azienda, perché, come lei stessa ha spiegato, «La mentalità dell’epoca prevedeva che stessi a casa o al massimo mi occupassi della parte amministrativa della società» (Defilippo, 2017). Se è vero che la figlia di Cesare ebbe un ruolo defilato nell’impresa di famiglia, si può ritenere che fu presente in via ufficiosa sia quando il padre le chiese di recarsi a Roma per occuparsi del neonato showroom nel 1961, sia attraverso il marito Rodrigo Rodriquez (che Adele sposò nel 1963), il quale entrò in azienda, in qualità di manager delle relazioni col personale, dal 1962 al 1964 (tornò poi in via definitiva a partire dal 1973).
Durante gli anni della guerra l’attività produttiva non si arrestò del tutto. Indotti dalla situazione contingente, i Cassina, grazie alle loro attrezzature tecniche, furono in grado di passare per poco tempo anche alla produzione di penne stilografiche. Al termine del conflitto, però, l’azienda poté riprendere il suo corso contestualmente al suo trasferimento in un nuovo stabilimento in via Busnelli, sempre a Meda (edifico che era stato acquistato già nel 1939, ma requisito durante il periodo del conflitto dalla FACE Standard).
Il dopoguerra vide Umberto e Cesare impegnati nel passaggio della loro società dall’essere una solida ma contenuta realtà artigianale – di fatto gestita fino a quel momento da due «modesti artigiani brianzoli» (Santini, 1981, p.18) – a quella di piccola-media industria.
Fu in quella fase che i ruoli dei due fratelli si delinearono secondo un nuovo equilibrio: Umberto ancora in quello di amministratore, Cesare invece cominciò a gestire il settore commerciale e a tenere le relazioni con gli architetti.
Per quanto riguarda inoltre l’impostazione operativa, andò consolidandosi la peculiarità dell’azienda (allo stesso tempo suo punto di forza), vale a dire la proficua interazione fra una solida capacità produttiva meccanizzata e un insieme di fedeli operai-artigiani che lavoravano con maestria sui dettagli dei prodotti, risultando così interlocutori altrettanto determinanti per i progettisti con cui c’era già stata occasione di collaborare e per quelli che a mano a mano sarebbero arrivati.
Se Umberto, infatti, per tutti i Trenta, fu l’autore del disegno della maggior parte dei pezzi in catalogo, in misura contenuta c’erano già stati dei contatti con progettisti esterni, prodromi delle future cooperazioni. Paolo Buffa e Luigi Vietti furono i primi architetti arredatori coinvolti, sia per il disegno dei prodotti sia per interi ambienti assemblati.
Nonostante il proposito dei fratelli di mantenere la produzione orientata verso il moderno ma con consapevolezza, ovvero senza abbandonare il rapporto con il passato, andò rafforzandosi in Cesare la determinazione di proiettarsi verso il nuovo: di immaginare, di prefigurare un linguaggio espressivo per i prodotti che pur tenendo fede al valore della tradizione prendesse le distanze da quelli che ormai erano gli stili obsoleti.
L’idea di proseguire sulla strada delle consulenze progettuali esterne trovò terreno fertile nel contemporaneo decollo del disegno industriale italiano. Franco Albini rappresentò il primo reale tentativo, nel 1946, di connettersi con il mondo del design, senza però approdare a risultati concreti. Le ragioni si possono ricondurre al gusto della clientela dell’azienda, che presumibilmente non era ancora pronta ad abbandonare la tradizione del mobiletto o poltroncina in stile, per aderire a una cultura dell’abitare che fosse costituita da elementi di arredo di rigorosa ed elegante essenzialità, in linea con gli sviluppi del design di prodotto già definiti dal Razionalismo nordeuropeo.
Se quella occasione di collaborazione con la cultura progettuale non diede frutti concreti, aprì la strada al più fortunato incontro con Gio Ponti, padre del design italiano, personaggio geniale col quale Cesare entrò immediatamente in sintonia. L’opportunità fu data, in questo caso, dal bisogno della marina mercantile italiana di recuperare e costruire dal dopoguerra molte navi passeggeri. Architetti come Ponti, Nino Zoncada, Gustavo Pulitzer, chiamati a disegnarne gli eleganti interni, necessitavano di realtà industriali del tipo di quella di Cesare e Umberto.
E proprio per la realizzazione di arredi destinati alle navi, Ponti entrò in contatto nel 1950 con i due fratelli, dando a sua volta un contributo significativo al percorso dei Cassina verso il mondo dell’arredo progettato, vale a dire rendendo concreta la cooperazione fra industria e progetto, essenza stessa del design di matrice industriale (stante la forte componente di lavoro manuale nel prodotto). Iniziò così per l’azienda di Meda il proficuo periodo delle forniture per i transatlantici – dall’Andrea Doria alla Raffaello, dalla Michelangelo alle navi della flotta Costa –, che caratterizzò il periodo tra la fine dei Quaranta e tutti i Cinquanta.
Più in generale, l’incontro con un progettista come Ponti – a sua volta fortemente convinto del valore della tradizione – e l’accurato lavoro eseguito per la realizzazione della sua prima sedia, la Leggera (1952), rappresentarono a quel punto il coronamento di ciò in cui i fratelli credevano e che ambivano attuare: l’intenzione di avvalersi di collaborazioni qualificate esterne all’azienda; il valore irrinunciabile del sapiente lavoro delle maestranze artigiane e, soprattutto, la volontà di guardare al nuovo salvaguardando il legame con la consuetudine nel settore del mobile.
Il traguardo fu del tutto raggiunto con la messa in produzione, nel 1957, della Superleggera: il prodotto che fece fare all’azienda il salto di qualità nel mondo del design. In contemporanea, le commesse per luoghi di accoglienza – dai ristoranti agli alberghi – giocarono un ruolo altrettanto chiave nel portare questa realtà imprenditoriale a dotarsi di attrezzature e metodologie che le consentirono da lì in avanti un effettivo processo di produzione in serie.
Dopo Ponti, Cesare e Umberto coinvolsero anche Gianfranco Frattini, Ico Parisi e Carlo De Carli – autore, quest’ultimo, nel 1954 della sedia modello 683, che valse all’azienda, nello stesso anno, il suo primo Compasso d’oro.
Nel decennio decisivo di affermazione del design italiano nel mondo, Cesare e Umberto consolidarono l’immagine della loro azienda a livello internazionale. I cambiamenti furono visibili anche dal punto di vista della comunicazione grafica: se all’iniziale denominazione Figli di Amedeo Cassina era già stata affiancata dal 1952 (per mano di Giancarlo Pozzi) una grande C rossa, con al suo interno una piccola lettera a (in ricordo del nome del padre Amedeo), nel 1970 Bob Noorda progettò la nuova immagine coordinata introducendo il logo Cassina S.p.A., mantenuto fino al 1991, quando il marchio divenne unicamente Cassina.
Con gli anni Sessanta, Cesare divenne sempre più protagonista sulla scena dei principali avvenimenti che segnarono il decennio. Era ormai arrivato a esprimere appieno le sue qualità caratteriali e competenze professionali acquisite fin dall’adolescenza, rivestendo sempre meno il ruolo pratico di competente tappezziere per assumere invece quello di illuminato imprenditore di una realtà industriale che si avviava al definitivo passaggio verso la dimensione manageriale.
Dal punto di vista organizzativo, difatti, il rigido modello di gestione famigliare iniziò a cambiare man mano che entravano in azienda altre figure e in conseguenza del fatto che l’impresa andò progressivamente crescendo di dimensioni.
Il primo significativo ingresso era stato di Franco, figlio di Umberto, che già aveva iniziato a contribuire con ruoli crescenti alla conduzione e sviluppo dell’azienda dal 1945; poi fra il 1962 e il 1964 con Rodrigo Rodriquez che, ritornato dal 1974, valorizzò la solida organizzazione produttiva e commerciale portando l’azienda al riconoscimento internazionale, introducendo inoltre un approccio più manageriale che tuttavia non sempre collimava con quello, più di stampo famigliare, voluto da Umberto.
Intanto Cesare, grazie alla sua capacità di riconoscere il talento delle persone, a partire dalla metà del decennio intraprese altri proficui rapporti con i designer: con Afra Bianchin e Tobia Scarpa (il loro divano Soriana portò al secondo Compasso d’oro nel 1970), con Vico Magistretti (col quale Cesare elaborò l’idea del fortunato divano Maralunga, che valse alla Cassina il terzo Compasso d’oro nel 1979), con Mario Bellini e alla fine degli anni Settanta anche con Toshiyuki Kita.
Pensando a una possibile espansione produttiva dell’azienda – come a una sorta di gemmazione –, per realizzare con tecnologie avanzate prodotti destinati alla grande serie e all’ampia distribuzione, nel 1965 Cesare si buttò con entusiasmo in un’ulteriore vicenda imprenditoriale, questa volta in sinergia con un altro illustre imprenditore della Brianza, Piero Busnelli. Nacque così la C&B (dalle iniziali dei loro nomi). Un’esperienza appassionante – per questo nuovo marchio Tobia Scarpa e Mario Bellini disegnarono rispettivamente i divani Coronado (1966) e Amanta (1966) – ma altrettanto travagliata, che si concluse per Cesare dopo soli otto anni, nel 1973, con la decisione di cedere le quote azionarie a Busnelli nel momento in cui fu chiaro che era andata delineandosi un’inattesa situazione concorrenziale tra le due realtà industriali che vanificava le intenzioni con cui era partita l’iniziativa.
Durante la sua pur breve esistenza la C&B aveva portato come conseguenza un altro significativo evento: la creazione di un centro di ricerca e sperimentazione tecnologica pensato per incentivare entrambe le realtà imprenditoriali, ma inteso tuttavia per operare in autonomia, sganciato cioè da immediate necessità commerciali. Intitolato inizialmente (1969) Centro Cesare Cassina, una volta sciolta la società con Busnelli (che proseguì chiamando l’azienda da quel momento B&B) divenne semplicemente Centro Cassina.
Se la vicenda della C&B ebbe un peso rilevante per la Cassina, va comunque ricordato anche un precedente e simile episodio in cui Cesare era stato coinvolto ancora da un’audace imprenditore del mondo del design.
Più giovane di Cesare, ma altrettanto appassionato del suo lavoro, Dino Gavina lo invitò nel 1962, insieme ad altri esponenti del mondo del design, a partecipare al decollo di una neonata azienda, la Flos, destinata alla produzione di apparecchi di illuminazione. Gli iniziali progetti ideati dai fratelli Castiglioni e da Tobia Scarpa rappresentarono il fondamento del successo di questa piccola realtà produttiva. Cesare e Umberto, pur interessati ai meritori sviluppi, lasciarono tuttavia la Flos alla sua crescita individuale (dal 1964 venne acquisita e diretta da Sergio Gandini), senza intraprendere alcun tipo di collegamento diretto con la loro azienda.
Era ancora il 1965 quando Cesare, ormai osservatore attento del mondo del progetto, intuì che una parte del pubblico poteva essere interessato all’acquisto di quelli che erano già diventati gli archetipi del design contemporaneo. La messa in produzione, in termini filologici, dell’eredità lasciata dai maestri del Movimento moderno si presentava ancora come ulteriore occasione di collegamento con i fili della storia. All’inizio si trattò di una ristretta serie di progetti di Le Corbusier; gradualmente fu arricchita dalle opere di numerosi altri architetti (Gerrit Rietvield, Charles Rennie Machkintosh, Erik Gunnar Asplund, Frank Lloyd Wright, Charlotte Perriand e infine anche Franco Albini), ne derivò la collezione Cassina I Maestri, sotto la curatela scientifica, dal 1973, di Filippo Alison.
Altamente rispettato, nell’ultimo decennio di vita Cesare continuò a rivestire un ruolo fondamentale e il carisma della sua figura andò crescendo. L’istintiva curiosità, mai venuta meno, il vero e proprio ‘fiuto’ per le persone e la salda esperienza maturata fin lì, lo spinsero ancora una volta, l’ultima, verso il nuovo. Si trattò in questo caso di un’‘avventura’ imprenditoriale, che ebbe più che mai il sapore di un azzardo, una sorta di incursione in un territorio lontano dal suo, se si considera il percorso compiuto fin lì dalla sua azienda, che sempre ‘con misura’ si era allontanata dalla tradizione e che proprio in quei primi anni Settanta stava portando avanti la collezione su I Maestri.
Ma le esperienze della generazione di designer legata all’avanguardia radicale che si stavano svolgendo in quel periodo, pur essendo ideologicamente lontane dal mondo di Cesare, suscitarono il suo interesse. Così, nel 1972 diede avvio alla Bracciodiferro. Di fatto, un laboratorio di sperimentazione ad alto livello, per la produzione di piccole collezioni di oggetti a tiratura limitata, che vide coinvolti, come protagonisti, i giovani Gaetano Pesce, Alessandro Mendini e Francesco Binfarè, quest’ultimo nel ruolo di assistente di Cesare nella ricerca e sviluppo. Nonostante si fosse trattato di «un concentrato di energia progettuale e volontà sperimentale ad altissimi livelli che si unirono nel desiderio comune di creare un periscopio che potesse guardare più lontano» (Lehmann, 2007, p. 238), la Bracciodiferro ebbe vita breve.
La conclusione di questa vicenda, accompagnò gli ultimi anni di esistenza di Cesare, che si spense il 9 settembre 1979 a Carimate (Como). Fino alla fine la principale passione rimase la sua azienda, con la quale si era totalmente identificato. Nei momenti in cui essa non lo aveva assorbito completamente, ci fu spazio anche per altri hobby, la fotografia, in particolare, e per i viaggi, molti dei quali realizzati negli ultimi anni, quando accanto a lui ci fu la compagna Giovannina Boeretto.
Vico Magistretti una volta osservò come Cesare (col quale ebbe un rapporto di speciale sintonia) fosse stato capace di compiere, nell’arco della sua vita, un salto di mentalità, di coscienza e di comportamento, che generalmente avrebbe richiesto due o persino tre generazioni (Santini, 1981, p. 24). Affiancato e corroborato dal fratello Umberto, Cesare è stato in grado di compiere quella peculiare alchimia di doti naturali e competenze alla base del successo di chi conduce un’attività imprenditoriale; così facendo, non ha agito solo nell’interesse della sua azienda, ma ha contribuito a definire ‘il modello italiano’ delle ‘fabbriche del design’.
Dopo la scomparsa di Cesare, anche Umberto non ebbe più un ruolo centrale in azienda. La presidenza venne assunta dal figlio Franco a partire dal 1982 (che la mantenne fino al 2005), mentre Rodrigo Rodriquez rimase amministratore delegato fino al 1991.
Nel 1989 Umberto ricevette il riconoscimento di cavaliere del lavoro. Morì il 6 novembre 1991, nell’anno in cui l’azienda assunse in via definitiva la denominazione di Cassina e ricevette ancora un Compasso d’oro, questa volta per il suo ruolo culturale. Ma già un anno prima della scomparsa di Umberto, l’azienda passò di proprietà per l’80% al gruppo francese Strafor e nel 2005 venne acquisita dal gruppo Frau (controllato dal fondo di private equity Charme Investments, che dal 2014 è stato a sua volta assorbito dall’azienda americana Haworth, della quale ancora oggi la Cassina fa parte).
P. C. Santini, Gli anni del design italiano. Ritratto di Cesare Cassina, Milano 1981; Franco Cassina, Rodrigo Rodriquez, Adele Cassina, in La fabbrica del design. Conversazioni con i protagonisti del design italiano, a cura di G. Castelli - P. Antonelli - F. Picchi, Milano 2007, pp. 55-71); B. Lehmann, Bracciodiferro. Un laboratorio in avanscoperta, in Made in Cassina, a cura di G. Bosoni, Milano 2008, pp. 238-243; I. Defilippo, Crescere respirando design e diventare imprenditrice di un marchio proprio. Conversazione con Adele Cassina, in Il Sole 24ore, 7 luglio 2017, com/2017/07/07/crescere-respirando- design-e-diventare-imprenditrice-di-un-marchio-proprio-conversazione-con-adele-cassina/# (17 sett. 2020).
Foto: per cortesia Ufficio Stampa Cassina